lilium
Lilium
Era passato già un mese da
quando tutto era avvenuto, ma sembravano trascorse sole poche ore. I
ricordi erano vividi più che mai, senza il rischio che qualcuno
dimenticasse. Le macerie erano ancora lì, visibili agli occhi di
tutti, cicatrici di una città ferita, ma non morta. Ed anche i
combattenti della prima linea avevano le loro cicatrici da mostrare.
C’era tra loro, però, anche chi come il tenente, promossa
da breve al grado di capitano, Riza Hawkeye nascondesse le
proprio cicatrici, testimonianze indelebili di tutte le battaglie
combattute in nome di un ideale più giusto.
Ogni volta che tornava a casa dopo una guerra, era come se un pezzetto
di lei venisse strappato. Questa volta, però, era stato diverso.
La sua freddezza, il suo autocontrollo, il suo essere donna avevano
affrontato una prova durissima, che lei ancora non era sicura di esser
riuscita a superare.
L’esperienza l’aveva tanto segnata che faticava a dormire
la notte e, sebbene non ne avesse più motivo, temeva le ombre.
Non si era mai sentita così fragile. L’infrangibile e
tenace pilastro di piombo si era trasmutato in un ninnolo di cristallo.
Tutta colpa degli Alchimisti e di uno in particolare.
Lei si era sempre prodigata nel coprirgli le spalle, aveva votato
interamente la sua esistenza alla difesa di quell’uomo, spesso
incosciente e mosso sempre da un pizzico di follia; proprio come un
leale cane da guardia. “Fino all’inferno”, aveva
detto una volta.
Come d’abitudine prese le pistole e salutò il suo Black
Hayate, prima di uscire di casa diretta all’ufficio. Ora non era
più al servizio del generale Roy Mustang, ma, se le avessero
chiesto di rinunciare al nuovo ruolo per ritornare a seguire
l’Alchimista di Fuoco, avrebbe lasciato tutto, senza alcuna
esitazione.
Non c’erano state molte occasioni per vedersi, per scambiare due
parole, ma lei avvertiva che lui la teneva d’occhio, e
segretamente ne era lusingata.
Segretamente.
Nessuno riusciva a capire quali fossero i pensieri prodotti dalla mente
dell’imperturbabile militare “Occhio di Falco”,
tranne lui. Uno sguardo e tutto gli era chiaro, comprese le sue
emozioni, che, chissà per quale strano motivo, fingeva di
ignorare.
Entrò nell’ufficio, sempre ordinato, arredato con
sobrietà. Ogni giorno era un profumo nuovo: rose, lillà,
garofani, iris. Quel mattino erano gigli, bianchi e rosa.
Era un mistero, sul quale non aveva mai voluto indagare, come mai ogni
mattina sulla scrivania ci fosse un nuovo mazzo di fiori freschi. Lei
sicuramente non aveva dato istruzioni perché ciò fosse
fatto, tuttavia le faceva piacere. I colori sgargianti dei fiori
conferivano un po’ di vivacità all’ambiente,
innaturalmente bianco ed ancora piuttosto spoglio.
Si mise subito al lavoro, immergendo il naso in noiose scartoffie. Ora come ora era grata di tutta quella noia.
Amava l’azione, guidata sempre da una buona dose di
razionalità e ben pianificata, ma al momento sentiva il bisogno
di una vacanza, di riposo e tranquillità, perciò era ben
contenta di tutto quel lavoro d’ufficio.
Stava rileggendo un vecchio rapporto, quando bussarono alla porta.
«Avanti» disse senza alzare lo sguardo da tutti gli
incartamenti, convinta che fosse un sottoposto con nuovi documenti da
firmare e controllare.
«Sempre al lavoro…». Aveva parlato una voce familiare, sarcastica e velatamente allegra.
Riza sollevò di scatto lo sguardo e si alzò in piedi. «Generale Mustang».
«Via, via con tutte queste formalità. Sono solo venuto a fare un salutino».
Con il consueto passo sicuro di sé si avvicinò alla
scrivania e si sedette di fronte alla donna dall’espressione
sorpresa e leggermente disorientata.
«Avrei voluto passare prima. Essere generale implica molto lavoro
da fare. Troppo. Come vorrei che fossi tu la mia assistente! Sarebbe
tutto più facile, ma non ho il coraggio di chiedertelo
soprattutto perché sembra che tu ti sia sistemata molto bene
qui».
Riza non poté fare a meno di sorridere. Il suo comandante sapeva
bene come rigirare la frittata. Aveva chiesto non chiedendo. Aveva
sempre ammirato quella sua retorica tagliente, che aveva contribuito a
portarlo a livelli alti nonostante la giovane età.
«Nella sua posizione, le basterebbe ordinarmi di diventare la sua assistente personale ed io eseguirei».
«La vera domanda è: tu lo vorresti?».
Il tenente colonnello, spiazzata da quella domanda così diretta, preferì dunque dare una non-risposta.
«Io eseguirò qualunque ordine mi verrà dato dal mio superiore».
Quelle parole portarono per un istante la mente di Roy lontano, in un passato impresso a fuoco nella sua memoria.
Rivide una giovane Riza, che gli mostrava la schiena bianca, nuda,
coperta da un complicato tatuaggio. Era la seconda volta che si trovava
davanti ai segreti dell’Alchimia del Fuoco, come era anche la
seconda volta che si trovava di fronte a Riza Hawkeye seminuda ed
inerte.
Lui, Don Giovanni patentato, che era stato con un numero indefinito di
donne, tra l’altro tutte bellissime, non poteva giudicare da meno
quella ragazza, dal corpo flessuoso ed aggraziato. Era proprio un
peccato doverlo nascondere sotto un’anonima divisa militare.
Tuttavia mai un pensiero “impuro”, se così si poteva
definire, apprezzamenti esclusi (ma per evitare anche quelli avrebbe
dovuto essere cieco), aveva sfiorato la mente del giovane alchimista
riguardo quella ragazza.
Fissava la schiena e non pensava di certo alla pelle vellutata e
tiepida o al seno scoperto. Vedeva solo quella schiena marchiata dalla
maledizione di una conoscenza troppo pericolosa da serbare e le braccia
di Riza lungo i fianchi, con i pugni chiusi. Lei stava solo aspettando
che lui agisse, ma lui non riusciva a trovare la forza per compiere
quel gesto, che proprio lei gli aveva chiesto. Come poteva solo pensare
di deturpare per sempre una creatura così bella,
quell’angelo che aveva perso le ali e con loro l’innocenza?
Come poteva sovrapporre un nuovo marchio, una nuova sofferenza su
quelle spalle così delicate, su quel sinuoso dorso?
Lei pazientemente aspettava, consapevole di aver chiesto una cosa difficile.
Uno schiocco di dita.
Riza portò le braccia al petto, in un riflesso inconsapevole, per difendersi e serrò gli occhi.
Roy abbassò lo sguardo, assalito dai sensi di colpa. Si
aspettava urla di dolore, un pianto disperato, ma nulla di tutto
ciò avvenne.
Intravide una singola lacrima cadere al suolo producendo un suono più assordante di un grido.
Fu in quel momento che ebbe la conferma che Riza Hawkeye non era assolutamente come tutte le altre donne.
Il generale tornò al presente, cercò di sorridere, con
scarsi risultati, e decise che era meglio cambiare discorso. Era venuto
in quell’ufficio con uno scopo ben preciso, che doveva
assolutamente portare a termine. Facilissimo a dirsi, ma per quanto
riguardava il farsi, al momento avrebbe preferito affrontare uno
scontro all’ultimo sangue con homunculi, chimere e quante
più creature malvagie potevano esserci.
«Come stai?» domandò molto banalmente.
«Bene, grazie. Lei?»
«Direi bene anch’io».
“Non sembrerebbe” pensò tra se la donna. Avvertiva
in lui qualcosa di diverso. Che fosse imbarazzo? Impossibile, si
rispose, dandosi della sciocca.
«Sicura di stare bene. La ferita alla gola…». Questa
volta fu sicura di aver intravisto l’ombra del senso di colpa, in
quelle fortezze impenetrabili, che erano i suoi occhi.
«In perfetta forma. Non deve preoccuparsi» cercò di
rassicurarlo sfoggiando un mezzo sorriso. «Piuttosto, la sua
vista?».
«Tutto a posto. Sono tornato come prima, anzi, è tutto tornato com’era prima».
«Non potrei trovarmi più d’accordo».
«Posso chiamarti Riza?» chiese all’improvviso il
generale, interrompendo quelle monotone chiacchiere di circostanza.
«Certo» rispose di getto, con un filo di sospetto,
perché proprio non riusciva ad intuire quali fossero le
intenzioni del suo superiore.
«Tu invece chiamami Roy e dammi del tu. È un
ordine». Allo sguardo storto e di rimprovero del tenente
colonnello aggiunse un frettoloso «Per favore».
«Posso sapere il motivo di questo suo ordine bizzarro?».
«Nessuno in particolare. Mi sembra giusto dopo tutto il tempo che
ci conosciamo e tutto quello che abbiamo passato insieme. Ma se ti
dispiace…» lasciò la frase in sospesa, rammaricato
che le sue buone intenzioni fossero state travisate.
Ciò che più aveva lasciato perplessa Riza era stato il
fatto che il suo generale avesse chiesto il permesso per fare una cosa
tanto banale, come chiamarla per nome. Roy Mustang non chiedeva, mai.
Agiva e poco gli interessava di cosa pensassero gli altri a riguardo.
Questa volta, però, agire si stava dimostrando molto, molto
più difficile del previsto. Era in quella stanza da oltre dieci
minuti e non aveva fatto il minimo progresso; ancora non era riuscito
ad arrivare al sodo, stava tergiversando come uno scolaretto. Doveva
darsi una mossa.
Ora o mai più, si disse. Coraggio Roy! Trova qualcosa di
intelligente da dire. Dov’è finita tutta la tua tanto
osannata esperienza da rubacuori. Non puoi permettere che la tua
reputazione da Casanova crolli così miseramente. Sei un
combattente valoroso, per l’amor di Dio!
«Ti sono piaciuti i fiori?».
«Avevo immaginato fossi tu». In realtà la sua era più una certezza, o meglio ancora, una speranza.
«Immaginato?»
«Certi misteri è bello che rimangano tali. Ma forse, voi
uomini di scienza, non la pensate allo stesso modo. Comunque grazie. Li
ho apprezzati molto». La verità era che temeva di rimanere
delusa se, cercando di capire il mittente di quel dono floreale, avesse
scoperto che dietro non c’era un certo ufficiale.
«Mi fa piacere. In fondo, sono o no il tuo fiorista preferito?».
Un accenno di risata e calò il silenzio. Silenzio di discorsi
inespressi, di pensieri martellanti, di sentimenti repressi troppo a
lungo. Ma le prospettive riguardo ad un cambiamento in positivo erano
rosee. Roy aveva avuto tempo per riflettere durante le notti passate
insonni ad osservare il soffitto ed era finalmente giunto ad una
conclusione: voleva una sola donna al suo fianco per il resto dei suoi
giorni. Una donna che gli era rimasta sempre vicino, sostenendolo in
silenzio ed accorrendo a sorreggerlo quando stava per precipitare,
caricandosi su quelle spalle delicate tutti i suoi esagerati pesi. Da
sempre, nei suoi ricordi, quelli che valeva la pena rivivere di tanto
in tanto, c’era lei accanto a lui, ma, involontariamente, il suo
era stato un guardare senza vedere veramente. Solo ora si rendeva conto
di come i suoi capelli fossero simili a sottili fili d’oro, gli
occhi a profondi granati incastonati tra le lunghe ciglia nere, le
labbra a rosse fragole; chissà se anche il sapore era dolce come
quello di una fragola? La bellezza di Riza era semplice e austera, che
quasi metteva in soggezione.
«Posso avere il piacere di invitarti a cena?»
domandò con semplicità. Con Riza il sorriso sghembo da
malandrino e lo sguardo ammaliatore sarebbero stati inutili, oltre al
fatto che sarebbe stato come barare, e questa volta voleva fare tutto
come si deve, nessun inganno, solo ed esclusivamente il Roy Mustang
sincero e pronto a mostrare tutte le sue debolezze, che lei avrebbe
interpretato come motivo di ulteriore ricchezza.
«Come?». Per una volta non celò la sorpresa che quelle poche parole avevano scatenato.
«Mi farebbe piacere invitarti a cena. Non come collega, ma come
uomo che invita la donna che ama ad un appuntamento galante». La
lingua si era mossa articolando quelle parole, prima che il cervello
mandasse l’impulso. Ma forse era stato meglio così. Senza
ombra di dubbio ora la situazione avrebbe preso una piega interessante.
Riza Hawkeye non era solita farsi prendere alla sprovvista, era
addestrata ad affrontare qualunque situazione, qualunque imprevisto,
qualunque cosa, tranne, ovviamente, questa.
Non sapeva nemmeno quale emozione provare in quel momento. Gioia?
Sconcerto? Incredulità? Imbarazzo? Soddisfazione? Un mix di
tutte queste sarebbe andato più che bene, decise.
«Mi ama» mormorò fra sé, come se esprimere il
concetto a voce alta rendesse tutto più reale. Si aprì in
un sorriso radioso che coprì con una mano per paura di sembrare
una sciocca, che dopo tanto tempo vede realizzato il suo più
grande sogno segreto.
Il generale le lasciò un po’ di tempo per metabolizzare il
tutto, ma si spazientì ben presto. «La tua
risposta?» chiese mal celando un leggera apprensione.
«Sì».
Due lettere furono più che sufficienti per far battere due cuori all’unisono e farli traboccare di felicità.
I piedi di Roy si mossero senza che il loro proprietario avesse dato
l’ordine. Abbracciò stretto, giusto per essere più
sicuri che non sfuggisse, il suo tenente colonnello, la sua fedele
guardia del corpo, la sua donna, la sua anima.
«Sono un idiota. Ti ho avuta vicina per anni e solo ora, quando
ho rischiato di perderti per sempre, mi sono reso conto di quanto tu
sia indispensabile alla mia vita. Senza te sono inutile. Sappi che da
questo momento in poi le cose cambiano: sarò io a guardarti le
spalle e a proteggerti».
Con estrema naturalezza Riza circondò il torace dell’unico
uomo che avesse mai amato più di se stessa. Un semplice gesto
che sintetizzava tutti i sentimenti e tutte le emozioni, che nemmeno un
lungo e complicato discorso avrebbe potuto esprimere.
E si scambiarono il primo di una lunga serie di baci.
Le labbra di Roy si posarono con dolcezza sulla guancia arrossata della, finalmente, sua Riza.
***
Il ciondolo d’argento e perle di sua madre recuperato dal
portagioie recluso in un angolo dell’ultimo cassetto del
comò. Qualcosa di vecchio.
Il lungo abito di seta ricamata e leggero chiffon fatto fare su misura
nella più costosa boutique di Central City. Qualcosa di nuovo.
La spilla con lo zaffiro regalata da Roy per il loro secondo
anniversario appuntata sul corpetto rigido dell’abito. Qualcosa
di blu.
Il semplice fermaglio dorato preferito di Rebecca sistemato con
maestria a tenere su l’acconciatura intricata. Qualcosa di
prestato.
Non avrebbe scommesso nemmeno mezzo centesimo di vedersi un giorno
dentro ad un abito da sposa. Ma avrebbe scommesso ancora meno su un
possibile matrimonio di quel farfallone di Roy Mustang.
L’immagine dell’Alchimista di Fuoco legato “fin che
morte non ci separi” ad una donna era stata per molto tempo una
ridicola fantasia. Ed ora stavano per compiersi entrambe le cose: Riza
nel vaporoso abito bianco e Roy alla fine della navata ad attenderla.
Come minimo si sarebbe abbattuto un cataclisma di dimensioni cosmiche
per bilanciare la straordinarietà di quell’evento. Ma di
quello si sarebbe preoccupata più tardi.
Rebecca finì di sistemarle il velo e le lisciò per l’ennesima volta le pieghe della gonna.
«Ora sei pronta» dichiarò soddisfatta.
Il suo riflesso sullo specchio le restituì un sorriso carico di emozione.
Raccolse il bouquet di gigli bianchi e rosa ed uscì con passo
sicuro dalla stanza. Si fermò giusto un secondo poco prima della
porta della chiesa.
Addio Riza Hawkeye. Benvenuta Riza Mustang.
***
Era mattina presto. I boccioli rugiadosi dei gigli erano ancora chiusi
e l’aria era frizzante. Stava iniziando una splendida giornata di
sole.
Riza era sveglia già da un paio d’ore e stava osservando
il suo giardino ben curato da dietro la finestra del salotto, in mano
una tazza fumante di tè.
In tutti quegli anni molte cose erano cambiate, ma in fondo tutto era
identico ad un tempo. Anche quando Roy era apprendista presso la casa
di duo padre era lei quella che si svegliava per prima ed andava in
cucina a preparare la colazione per tutti. Certo, all’epoca
dormivano in stanza separate, ma anche ora che condividevano lo stesso
letto non sarebbe bastata una cannonata per tirare giù dal letto
quel pigro di suo marito.
Bagnò le labbra con un sorso di tè. Ancora troppo caldo.
Posò quindi la tazza sul mobile al suo fianco e ritornò a
guardare fuori dalla finestra. I raggi del sole di primavera si
riflettevano sulle gocce di rugiada dei fiori, delle foglie e
dell’erbetta corta creando magnetici giochi di luce. Uno dei
tanti spettacoli della natura!
Un paio di braccia l’abbracciarono da dietro. Erano ancora tiepide. Un bacio lieve sulla cicatrice del collo.
«Che bella giornata» sussurrò per non turbare troppo quella pace con la sua voce profonda.
Riza accarezzò quelle braccia che la stringevano con protezione.
Roy appoggiò il mento sulla spalla della sua compagna, che
chiuse i profondi occhi nocciola godendosi fino in fondo
quell’attimo di intima quotidianità.
«Non riuscivi a dormire?» le chiese con gentilezza.
«Pensavo…».
«A cosa?».
«A tante cose diverse».
«Per esempio?».
«A mia madre. Mi chiedevo cosa penserebbe di me vedendomi adesso».
«Sarebbe di sicuro molto orgogliosa».
Un sorriso si affacciò sul viso di entrambi.
«Sai prima mi è venuto in mente quando stavi a casa dei
miei per studiare l’alchimia. Poi, guardando i gigli mi è
venuto in mente Hughes». Fece una pausa in attesa di una qualche
reazione di Roy.
«Credo che potremmo portargliene alcuni» continuò con tranquillità.
«Secondo te, lui aveva già capito tutto?» domandò a bruciapelo.
Riza capì immediatamente a cosa si stesse riferendo.
«Penso di sì. Oppure non ti avrebbe ripetuto tante volte
che dovevi trovarti moglie. Si era accorto di tutto, però voleva
che noi lo capissimo da soli, senza troppi aiuti».
«Se avessi saputo che il matrimonio porta così tanti vantaggi mi sarei sposato molto prima!».
Riza strinse più forte una delle sue mani e la guidò sul
ventre arrotondato, proprio nel punto in cui il loro bambino stava
tirando un calcetto.
«Credo dovremmo chiamarlo Maes».
Roy cominciò ad accarezzare la pancia, al cui interno era
custodito il suo tesoro più prezioso. «Maes Mustang. Mi
piace. Suona bene».
E si scambiarono un bacio. Labbra su labbra.
Note finali:
Sinceramente
non so proprio cosa pensare. Per questa storia ho ripreso in mano la
penna dopo un lungo periodo di pausa forzata. Credo che i risultati
siano evidenti. Si tratta di tre quadretti ( diciamo pure che il primo
è un enorme affresco e gli altri due sono un paio di acquerelli
su fogli A4) legati tra loro dalla presenza dei gigli. La parte
iniziale è forse troppo lenta e pedante, influenzata dal fatto
che ultimamente sto studiando Virginia Woolf, e dunque monologo
interiore e flusso di coscienza vanno alla grande! Il primo quadretto
è anche il più lungo perché serve da introduzione
a tutto ciò che viene dopo.
Il mio
timore maggiore è quello di scrivere personaggi OCC, quindi
tendo a perdermi nei meandri della mente di quei poveretti.
Spero che, in qualche modo, vi sia piaciuto e riesca a trasmettere qualcosa.
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