Alla
persona più cara del mondo, a Katia.
Perdona il ritardo, ancora buon compleanno.
Ti voglio bene.
Unita
a me
“Prima o poi accadrà
anche a te e
vedrai che sarà bellissimo! Anche io ero spaventata, all’inizio, ma
poi-“
“Io non ho paura! E queste
cose
non mi interessano!”
Un rossore pallido sulle
guance,
l’espressione noncurante.
“E’il momento in cui ti senti
di
essere davvero unita a chi ami. Prima o poi accade a tutti.”
“Bla, bla, bla. Ti ho già
detto
che non mi interessa e poi nessuno avrebbe il coraggio di farmi una
cosa
simile, sai quale fine farebbe.”
“Io no ne sarei così sicura.
Minato, ad esempio, credo che-“
“Mi hai proprio stufato,
Mikoto.
Tornatene da lui e falla finita.”
Passi incerti e umore pensoso,
mentre torna a casa.
Da
quando Mikoto le aveva raccontato certe
cose, Kushina non
riusciva più a sentirsi sicura in presenza di Minato.
Aveva il terrore di vederlo liberarsi all’improvviso di tutti suoi
vestiti e di
saltarle addosso.
Dannata
Mikoto e dannati i suoi racconti! Non c’era stata cosa peggiore di
doversi
sorbire, terrorizzata, tutto il riassunto della migliore – a suo parere
–
serata della sua vita: non si sapeva come, ma quel pezzo di ghiaccio
del suo
fidanzato Uchiha si era sciolto un poco e, senza averlo premeditato, i
due
avevano fatto l’amore.
“Ecco!”
aveva esclamato Kushina, trionfante a quella confessione “Lo sapevo!
Questo
prova ancora di più la mia teoria!”
Sin
da quando Mikoto si era fidanzata con l’Uchiha, Kushina aveva sempre
pensato
che dovesse esserci qualcosa di losco sotto. Insomma, cosa poteva
volere un
ragazzo così serio e austero, di una delle più antiche famiglie del
villaggio,
dalla sua spensierata compagna? Avevano soltanto diciotto anni! Beh, in
quel
momento lo aveva saputo. Ecco cosa voleva da lei, privarla della sua
dignità di
donna, sottometterla a sé, magari
sbandierando ai quattro venti ciò che era accaduto. Tutti stronzi e
calcolatori, gli uomini, fino all’ultimo! Faceva bene a tenersene
lontana.
Mikoto,
però, non la pensava affatto come lei, anzi, si era neppure offesa per
quello
che l’amica le aveva detto. Aveva abilmente ribaltato la situazione e
l’aveva
gettata nello sconforto più totale. In quel momento anche Minato, così
gentile
e perfetto nei modi, gli sembrava cinico e calcolatore. Già, erano
tutti uguali
gli uomini!
Se
Minato ultimamente la seguiva come un ombra doveva pur esserci un
motivo e
finalmente Mikoto le aveva aperto gli occhi. Da lui non se lo sarebbe
mai
aspettato, proprio no.
“Gliela
farò vedere io!” si decise allora, combattiva, mentre ritornava a passo
lento
verso casa e, gradualmente, quelle sensazioni di paura, di tradimento
si
trasformavano in rabbia verso quel sorriso onnipresente che riusciva a
confortarla – senza saperlo – in ogni momento. Si era fidata di lui, si
era
fidata di lui, continuava a ripetersi mentre le lacrime che avevano
preso a
bagnarle gli occhi si trasformavano in determinazione, gli aveva
raccontato
tante cose, gli aveva donato gli ultimi otto anni della sua vita e
doveva
essere ripagata in quel modo. Bell’amico, che si era dimostrato.
Salì
le scale strofinandosi infuriata gli occhi, abbandonò frettolosamente
le scarpe
dietro la porta e corse in cucina. Le serviva un bicchiere d’acqua. Fu
allora
che notò che la finestra era aperta più ampiamente di come l’aveva
lasciata
prima di uscire. Si guardò intorno, cauta, e scorse un biglietto
ripiegato più
volte posato sul piano culinario, appena sotto la finestra. Sorrise non
appena
riconobbe la calligrafia fitta o ordinata di Minato, ma all’improvviso
le
ritornarono in mente le parole di Mikoto e lo aprì con rabbia,
strappandolo in
qualche punto. Diceva: “Perdona il modo ortodosso, ma avevo paura che
sotto lo
stipite della porta potesse andare perso. Mi farebbe molto piacere
passeggiare
con te, questa sera. Si dice che quest’anno Sandaime-sama abbia dato il
meglio
di sé per organizzare la festa. Fammi sapere presto, Minato.”
Accartocciò
il biglietto nel palmo della mano e lo lanciò lontano. Come osava, come
osava
invitarla per andare alla festa insieme? In quel momento tutto era
palese:
anche Minato si era rivelato stronzo come tutti gli altri. Avrebbe
dovuto
immaginarlo, pensò, furibonda, mentre le lacrime riprendevano a rigarle
le
guance, era troppo, troppo perfetto. E dire che aveva persino
cominciato a
lasciarsi andare, quando era con lui. Con lui stava bene.
Sarebbe
uscita con lui, quella sera: doveva vendicarsi, metterlo in ridicolo
davanti
all’intero villaggio. Non avrebbe neppure dovuto pensare di farle ciò
che
voleva farle. Uscì quasi subito per andare ad accettare l’invito;
prima, però,
corse ad indossare altre due o tre maglie. Non valeva la pena di
rischiare e
buttare all’aria il suo piano proprio prima della vittoria.
Per
la prima volta in tutta la sua vita, Kushina si sentiva realmente indifesa. Seduta su una panchina appena
lontana dalla via principale del villaggio, continuava a lanciare
occhiate
preoccupate tutt’intorno, cercando la giusta posizione perché il kimono
che
portava non le scoprisse le gambe o lasciasse intravedere le mutande,
tanto era
profondo lo spacco sul lato del vestito. Aveva provato ad indossare dei
pantaloni ed una maglietta al di sotto del vestito, ma l’unico
risultato che
aveva ottenuto era stato quello di far risaltare ancora di più le curve
del suo
seno e del suo sedere al di sotto della stoffa lavorata ad intarsio.
Ovviamente
così non poteva andare – avrebbe solo
peggiorato le cose che erano già abbastanza gravi – quindi era stata
costretta
ad indossare solo il kimono, che anche da solo
faceva tranquillamente trasparire le sue curve. Già di cattivo umore,
cominciò a ripensare al pomeriggio appena trascorso: con Minato non era
accaduto nulla di trascendentale. Ovvio, lui attendeva la sera.
Disgustata,
scosse la testa e riuscì a dismettere la sua espressione appena in
tempo per
vedere Minato, anche lui nel suo kimono, correre ansante verso di lei.
“Perdona
il ritardo,” si scusò tra i sospiri “ho terminato di studiare tardi
quelle
carte per Jiraiya sensei di cui ti ho parlato oggi pomeriggio. Mi
dispiace.”
Mentre Kushina rifiutava ogni parola con un cenno annoiato della mano,
Minato
le si avvicinò all’improvviso e le posò un dito sulle labbra. La
ragazza si
immobilizzò.
“Hai
il rossetto sbavato in questo punto” azzardò Minato. Sapeva quanto era
permalosa Kushina, soprattutto nei momenti di festa, e non voleva
rischiare di
farla arrabbiare per causa sua o di qualcun altro. Lei lo guardò male e
allontanò violentemente la mano del ragazzo dal suo viso terreo.
“Grazie
tante!” ribatté, acida “Me lo sono messo da sola, cosa pretendevi?” e
cominciò
a camminare verso il centro del villaggio. In realtà il rossetto
l’aveva
applicato male apposta, per risultare più sgraziata e dare un ultima
possibilità a Minato per fargli dimenticare le sue intenzioni. Però, da
quello
che era accaduto, pareva che lui fosse davvero determinato ad andare
fino in
fondo. Nervosa, si allontanò.
Molte
volte, mentre camminavano tra la folla di gente allegra e senza
pensieri, i
loro fianchi si sfiorarono. Ogni volta che accadeva, Kushina alzava lo
sguardo
verso Minato, inferocita, e lui sorrideva.
Non
aveva neanche il buonsenso di nascondere quello che aveva intenzione di
fare,
che sfacciato! Questo faceva arrivare a Kushina sovraccarichi di sangue
alla
testa dalla rabbia. Una volta la mano di lui si era avvicinata
pericolosamente
alla sua e aveva tentato di afferrarla , ma quando le sue dita avevano
cominciato a sfiorarla, la ragazza era corsa via a vedere una collana
che l’aveva
colpita su una bancarella.
Circa
a metà serata, quando ormai la stanchezza cominciava a farsi sentire e
i piedi
a fare male per via di quelle scomode scarpe con cui ella non sapeva
affatto
camminare, Minato propose di trovare un posto dove vi fosse meno
confusione.
“Ti va?” le chiese.
Ecco
che cominciava a mettere in atto il suo piano! Kushina si guardò per un
attimo
intorno: c’era poca gente; di solito le persona aumentavano prima dei
fuochi d’artificio.
Non era ancora il momento giusto per metterlo in ridicolo davanti a
tutti. Se
avesse giocato il suo gioco, lo smacco finale sarebbe stato ancora più
grande e
allettante. Accettò. Minato sorrise, felice, e la prese per mano,
trascinandola
via. Kushina non si arrabbiò, ma lo lasciò fare: non c’era nulla di cui
avere
paura, continuava a ripetersi, lo avrebbe disintegrato, ma più la
mano di Minato stringeva la sua, più
si sentiva eccitata e intimorita insieme. Cosa le stava succedendo?
Dove erano
finite la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta? Perché, nonostante
le sue
intenzioni, Minato continuava a farla sentire… al sicuro? Egli si fermò
in un punto dove gli alberi erano più fitti e si lasciò cadere
stancamente
sotto uno.
“In
realtà” ammise “non è che qui ci sia molta tranquillità, dato che non ci
siamo allontanati molto dal cuore della
festa, ma non ce la facevo più a camminare.” La fissò un attimo e
continuò:
“Qualcosa non va, stasera? Se stranamente silenziosa.”
“Sono
arrabbiata” mugugnò lei in risposta, cercando di non guardalo.
“Capisco.”
Minato non indagò oltre: accaldato, cominciò a farsi aria con una mano,
mentre
i suoi occhi vagavano attenti nel cielo. Ad un certo punto, quando
anche la
lieve brezza che aveva rinfrescato la serata smise di soffiare, Minato
si
slacciò il kimono e, lasciatolo scivolare sul terreno, restò a petto
nudo.
Kushina, il volto terreo, inorridì; ecco che il suo incubo peggiore
prendeva
forma proprio dinnanzi ai suoi occhi! Sconvolta, abbassò lentamente gli
occhi.
Che cos’era quella sensazione che le attanagliava lo stomaco e riusciva
a farla
rabbrividire in piena estate? La paura, il terrore che lui potesse
soltanto
sfiorarla la immobilizzavano. Aveva paura. Furibonda con se stessa,
sentì
alcune lacrime scappare al controllo delle palpebre e bagnarle le
ciglia. Non
gli avrebbe mai permesso di toccarla, mai.
“Che
caldo! Non lo senti anche tu, Kushina? Ma come fai a sopportare quel
vestito?” le domandò improvvisamente
Minato abbassando gli occhi sul suo viso. Kushina, gli occhi ancora
lucidi,
scoppio.
“Magari
vuoi anche che mi tolga questo vestito, non è vero? Come puoi trattarmi
come
una stupida? Credi che io non abbia capito?” Minato sgranò gli occhi,
preoccupato. “Perché piangi, Kushina? Cosa è successo?”
“Non-sto-piangendo!”
ringhiò lei facendo un respiro profondo e serrando gli occhi per
ricacciare
indietro le lacrime. “Smettila di trattarmi come se non sapessi nulla!
Io ho
capito tutto!”
“Tutto
cosa?” chiese il ragazzo, incalzante. Cercò la sua mano di nuovo, ma la
ragazza
la allontanò.
“So
che vuoi portarmi a letto!” esclamò Kushina, furibonda. I suoi capelli
danzavano come una nuvola di fuoco trasportata dalla rabbia. Minato
spalancò la
bocca e arrossì completamente. “Io… io non voglio… portarti a letto.”
mormorò
imbarazzato, fissandosi le ginocchia. Kushina, incredula, non riusciva
a
staccare gli occhi da lui. Arrossì terribilmente.
“No?”
ripeté, sconvolta.
“No.” mormorò lui.
Stupida. Che stupida che era stata.
Stupida, stupida, stupida. Come aveva potuto credere che Minato potesse
farle
una cosa simile? Che figura orribile aveva fatto! Come in trance,
arrancando
sugli zoccoli di legno, si levò in piedi e corse via, inciampando nei
rami,
senza voltarsi. Ma in pochi secondi Minato la raggiunse. Esitante, le
sfiorò un
braccio e la guardò negli occhi: piangeva, piegata dalla sconfitta che
lui
stesso le aveva inflitto.
“Lasciami
stare, Minato.” borbottò lei immediatamente, abbassando gli occhi. “Ho
creduto
di essere così importante per te da poter correre questo rischio.”
“Allora
siamo in due.” affermò sinceramente Minato avvicinando il volto al suo
“Anch’io
speravo di essere importante per te. Ma ti giuro, non ho mai
approfittato di
nessuno.”
“Non
era quello, scemo.”
“Mi
perdonerai per averti impaurita?”
“Non
avevo paura!” sibilò lei, tirando su con il naso. “Pensavo solo di non
averti
conosciuto davvero.”
Nascose
gli occhi al suo sguardo affondando la testa nel suo petto. Era stata
sconfitta, era caduta, non riusciva a guardarlo negli occhi, ma,
stranamente,
non le importava più. Voleva soltanto sentire in qualche modo la sua
presenza,
stare bene di uovo. Sorpreso da quel gesto, Minato le sfiorò piano la
schiena
con la mano raccogliendo tutto il suo coraggio.
“Che
fai, non mi baci?” bofonchiò allora Kushina sommessamente “Mikoto ha
detto che
soltanto così si può cominciare a sentirsi una cosa sola.”
Ad
un tratto tutto il villaggio tacque e il cielo cominciò ad illuminarsi
dei
fuochi di artificio. Mentre tutti i colori dello spettacolo
rischiaravano la
sera, Minato sollevò piano il volto della ragazza e la baciò. Il kimono
prese a
scivolarle dalle spalle.
“Davvero avevi così tanta
paura
di me?”
Due corpi che si stringono
sull’erba, di nuovo quel rossore sulle guance.
“Se stai cercando di
sdrammatizzare,
non è il modo giusto.”
“Ci tenevo soltanto a saperlo.”
“Non ti è bastato avermi sotto
di
te?”
“No. Io voglio averti unita a me.”
Un paio di occhi verdi si
chiude,
ridente, e il cielo ritorna buio e silenzioso.
Tanti auguri a Katia, tanti auguri a
Katia!!! Questa fanfiction è tutta per te, carissima, anche se
in ritardo! Spero che possa piacerti almeno un po'! ^^
Sarebbe dovuta essere NaruHina, ma si è trasformata in una
MinatoKushina che, tra l'altro, volevo scrivere da secoli. E' una
storia semplice, di come non ne scrivevo da un po' (tanto) e spero che
i personaggi siano IC. Diciamo che è un tentativo di ritornare a
scrivere per una serie che ormai non mi ispira più, ma spero sia
comunque un lavoro decente.
Se vi state chiedendo a quale festa siano andati, beh, non lo so. Non
mi sapevo decidere, quindi ho lasciato all'immaginazione di chi
legge (se mai qualcuno leggerà). ^^
Spero davvero di ricevere pareri: personalmente, questa storia
mi piace (ed è una delle poche), ma vorrei sapere cosa ne pensa qualcun
altro che non sia "coinvolto" quanto me.
Grazie.
Ayumi
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