18
luglio 2008
Alzai la
testa dalla scacchiera, per
guardare l’ora sul display del cellulare. Burton mi aveva di
nuovo incastrato
per un’interminabile partita a scacchi quando, in
realtà, l’unica cosa che avrei
voluto fare prima del concerto era rilassarmi con un buon libro. Per
fortuna,
di lì a poco qualcuno sarebbe venuto a chiamarmi per
l’intervista… sì, dovevo
essere davvero disperato, per considerare un’intervista come
una via di
salvezza!
All’improvviso
si aprì la porta, e
sulla soglia comparve… un angelo. Sì, non
c’era nessun altro modo di definirla,
se non un angelo. Era la donna più attraente che avessi mai
visto in tutta la
mia vita. Vestita in modo semplice, i capelli lunghi e ricci, gli occhi
brillanti e luminosi di chi, oltre alla bellezza, può
contare su un’intelligenza
fuori dal comune.
“Scusate…
lo so, avrei dovuto
bussare, ma la porta era aperta e… ho anche sbagliato
stanza! Cercavo Nutini!” disse,
arrossendo.
“La
porta accanto!” indicò Migè,
ridacchiando.
Si
scusò di nuovo, per poi chiudersi
la porta alle spalle, sorridendo.
Annuii,
come ipnotizzato.
Non mi
accorsi nemmeno della voce
esultante di Burton, ero rimasto a fissare la porta con gli occhi
sbarrati e la
sigaretta in bocca.
“Scacco
matto!”
Una mano
mi passò davanti agli occhi.
“Oh…Ville, sei tra noi?”
“Eh?”
borbottai distrattamente, tentando
di spegnere la sigaretta che non avevo neanche acceso.
“Sì…ok, bravo, hai vinto
di nuovo. Vado a fare un giro, ci vediamo dopo. “ E uscii
dalla stessa porta da
cui, solo pochi minuti prima, era apparso il mio angelo.
Mi
sentivo strano. Esattamente come
ci si sente dopo una colossale sbornia… strano è
dire poco, visto che non
toccavo una goccia di alcool da più di un anno.
25
luglio 2008
“Questa
canzone è dedicata a…. abbiamo suonato a un altro
festival, una settimana fa,
qui in Svizzera e… è stato uno sballo
e… mi è capitato di incontrare la ragazza
più carina che io abbia visto negli ultimi anni, mi ha
lasciato senza fiato… e…
non lo so, probabilmente non è qui, stasera, ma…
deve sapere che è la cosa più
carina che cammina su questa terra. Ho pensato a lei per gran parte
della
settimana e mi ha aiutato tanto a sconfiggere la mia depressione
e… non so se
mi ha visto, una settimana fa… ma è stato come un
miracolo…. Lei è entrata
nella stanza e mi sono sentito raggiante e stordito. Spero accada di
nuovo….
Vedremo… questa è per te,
baby…”
Partirono
le prime note di Join me in Death, e
chiusi gli occhi.
Non volevo guardare Migè, che sicuramente mi stava fissando
ad occhi
spalancati, non volevo guardare il pubblico, che probabilmente mi
considerava
il solito, patetico, poeta romantico.
Non
volevo neanche pensare che lei potesse essere davvero lì, a
vedermi rendermi
ridicolo davanti a tutti. Non potevo essermi innamorato di una persona
con cui non
avevo mai parlato… nemmeno sapevo il suo nome, nemmeno
sapevo se l’avrei vista
di nuovo. Sospirai, pensando a lei.
A lei,
che per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, mi aveva ricordato come
ci si
sentisse ad essere vivi.
Helsinki,
settembre 2008
“Quello
che sto per dirti
probabilmente non ti piacerà” esordì
Seppo, mentre mi sedevo con poca grazia
sul divano del suo ufficio.
“Non
avevo dubbi” ridacchiai. “Cosa
devo fare stavolta? Meet and greet con gente improponibile, darmi da
solo in
pasto alle fan inglesi…?” ridacchiai. Per fortuna
mi ero svegliato abbastanza
di buon umore…
“Niente
di tutto questo” rise Seppo
“vedo che sei preparato al peggio, quindi sapere che avrai
per una settimana
un’addetta marketing della Warner tra i piedi non dovrebbe
essere così grave,
no?”
“Una
settimana?” sbiancai “ tra i
piedi cosa vuol dire? Io devo lavorare, sto scrivendo, lo sai”
Seppo mi
lanciò un’occhiata molto
significativa.
“Ville,
siamo obiettivi. Non stai
facendo un cazzo, a parte stare chiuso in casa a cercare di mettere
insieme
qualcosa alla chitarra”
“Appunto,
sto lavorando” dissi
serio, accendendomi una sigaretta.
“Bene.
Oltre a continuare ad
ammazzarti di lavoro, ti occuperai di controllare Katie. Non mi piace
molto
l’idea di avere qualcuno della Warner qui a ficcare il naso.
Tienila occupata,
falle visitare Helsinki, portala in sala prove, quello che vuoi.
E’ solo per
una settimana, passerà in fretta.”
Spensi
la sigaretta. “Un rifiuto non
è contemplato, immagino.”
“Appunto.
L’hai detto. Su, non sarà
così terribile”
Helsinki,
ottobre 2008
Sbuffai.
Di nuovo. Ormai avevo perso
il conto delle volte in cui avevo sbuffato da quando avevo messo il
naso fuori
di casa, un’ora prima.
Ero
seduto sul mio divano preferito
del Loose ad aspettare questa famigerata Katie, davanti a
una… no, davanti alla
terza tazza di caffè. Era in ritardo, e oltre a detestare i
ritardatari, mi ero
anche alzato dal letto con il piede sbagliato. Non era un buon inizio,
assolutamente.
Poi la
porta si aprì. La sigaretta mi
cadde dalle labbra e uno sciame di farfalle sembrò iniziare
a prendere il volo
nel mio stomaco. No, forse questa settimana non sarebbe poi stata
così
orribile.
Katie
era lei… la ragazza che
mi aveva lasciato totalmente senza parole al
concerto in Svizzera.
La
settimana seguente si rivelò tutto
fuorchè orribile. Perché quando salti
giù dal letto alle 7 del mattino con il
cuore che ti martella in petto all’idea di rivedere una
persona , significa che
quella persona è davvero speciale. Come
era speciale ogni singolo momento passato con lei, in giro per
Helsinki, in
sala prove, o semplicemente seduti in un bar a parlare davanti a una
tazza di
caffè.
Ma una
settimana è poco tempo… davvero
poco, soprattutto quando vorresti trascorrere così il resto
della tua vita.
“E
così… dobbiamo salutarci”
sospirò
Katie “Grazie di tutto Ville, io… credo di non
essere mai stata così bene con
una persona che conosco appena” disse abbracciandomi.
Dapprima
perplesso, la strinsi a mia
volta.
Katie mi
guardò, soffocando una
risatina. “Hai una faccia…” disse,
guardandomi di sottecchi “a che pensi?”
Che
vorrei baciarti. Che vorrei avere il coraggio di dirti come mi sento da
quando
sei qui. Che vorrei che restassi qui, tra le mie braccia, per
sempre…
“Non
lo vuoi davvero sapere” tagliai
corto, con un mezzo sorriso. Non ero mai stato bravo ad esprimere i
miei
sentimenti, e di certo la storia con Jonna non mi aveva aiutato a
superare le
mie paure…
Tornai a
casa, rassegnato a tornare
alla solita vita. Ero stravaccato sul divano, strimpellando
distrattamente la
chitarra, quando sentii bussare alla porta. Sperai che non fossero le
solite
fan invadenti, magari era semplicemente Migè che tentava di
tirarmi fuori di
casa.
Aprii la
porta, e non avrei mai
immaginato di trovarmi davanti Katie.
“Ho
bisogno di sapere una cosa”
disse, a occhi bassi, restando sulla porta.
La
guardai, interrogativo. “Tutto
quello che vuoi”.
“Lumnezia…
quella dedica era… era per
me?”
Migè.
Qui c’era lo zampino di Migè,
senza ombra di dubbio.
“Se
fosse così… sarebbe un buon
motivo per non ripartire,
domani?” dissi,
trovando improvvisamente molto interessante la punta delle mie scarpe.
Katie
sospirò, gettandosi di nuovo
tra le mie braccia.
“Ville…”
sospirò “perché le cose non
sono mai semplici?”
“Perché
stai abbracciando il maggior
esperto al mondo in complicazione della propria vita?”
sorrisi, cercando le sue
labbra.
“No,
non è giusto” sospirò,
allontanandosi da me improvvisamente “Io… non
posso… scusami”
La
guardai, smarrito. Avevo davanti
una contraddizione vivente, in quel momento. Si capiva…si
vedeva. Mi voleva,
esattamente come la volevo io, ma affermava il contrario.
“Cosa..?”
“Sto
per sposarmi” sospirò “Lui è
un
giornalista di Kerrang, stiamo insieme da anni, viviamo insieme. Non
posso
fargli questo, io… scusami.”
Corse
via, fuori dalla mia vita, uccidendo
l’amore con un bacio. La guardai andar via dalla finestra
appannata, scrivendo
sul vetro quello che non avevo avuto il coraggio di dirle.
L’ennesima
dimostrazione che le
persone, forse per paura, forse per non mettersi in discussione,
scelgono sempre
il percorso più facile: decidono di innamorarsi di chi hanno
vicino.
E per
una volta di troppo mi trovai a
chiedermi cosa c’era di sbagliato in me. Perché
scelgo sempre la via più
difficile? Perché, a 33 anni, spero ancora che, per una
volta, una porta si
apra facendo entrare, come un raggio di sole, colei che
cambierà la mia vita?
Febbraio
2009
Non
avrei dovuto farlo, una vocina
nella mia mente mi imponeva di lasciar stare, ma non la ascoltai. Salii
sul primo
aereo per Londra, deciso a dirle addio da lontano, a vederla con i miei
occhi
mentre faceva quell’unico passo che la allontanava per sempre
da me.
Un’ombra
scura in fondo alla navata,
unico viso triste tra persone felici, la vidi avanzare verso
l’altare,
raggiante nel suo abito bianco.
Tornai a
Helsinki la sera stessa, senza
avvisare nessuno. Sotto una pioggia battente, chiamai un taxi e tornai
a casa.
Passai l’intera notte a scrivere, musica e testi di un album
che racconterà il
mio amore per lei, quello che non ho mai avuto la
possibilità di spiegarle a
parole.
E questo
è l’unico modo che mi resta.
Quando ascolterà l’album, quando ormai per noi due
sarà troppo tardi, capirà
ciò che provavo. E sarà un funerale acustico, per
un amore mai nato.
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