Le notti bianche
Nota: questa storia era
già stata postata parecchio tempo fa, forse qualcuno se ne
ricorda. In tutti i casi il merito per averla pubblicata, con
conseguente revisione, va semplicemente a Rolo perché mi ha
praticamente stressato l’anima :) quindi GRAZIE Rolo.
Le notti bianche
…O era stato forse egli creato
Per essere seppure un solo istante
Al tuo cuore legato?
(I. Turgenev)
Notte Prima
Gennaio. L’aria fresca, a tratti gelida, mi accarezzava
scompigliando gli abiti pesanti che indossavo, per quanto
potesse. La notte, scura e piena di stelle, mi avvolgeva. Uno spicchio
di luna mi sorrideva in tutto quel buio.
Era una di quelle notti magiche, notti in cui alzando gli occhi al cielo ti sfuggiva dalle labbra un Wow
estasiato, colmo di uno stupore impareggiabile e senza fine. Rimanevo
per ore -quando ancora ero troppo piccola per capire realmente come
fosse la vita reale- col naso all’aria a fissare il manto scuro
ricoperto da minuscoli puntini luminosi, cercando di riconoscere la
stella polare, e l’orsa maggiore a lei connessa. Viaggiavo di
fantasia all’epoca, assieme a Nojiko.
Ma quelli, erano altri tempi.
All’epoca, a soli sedici anni, di certo non era quella la prima
cosa a cui pensavo. Forse, quando ne avevo solo sei, sette anni, potevo
lasciarmi andare a simili fantasie. Fantasie da romanzetto rosa.
Di quelle in cui c’è una lei che aspetta il suo lui, due
ragazzi assolutamente normali che aspettano solo l’amore eterno
in una notte di luna piena, sotto un cielo mantato di nero. E poi
c’è un bacio che sa solo di amore e di futuro.
Non erano propriamente le prime cose che passarono per la mia mente all’epoca.
La mia vita non era un cumolo di parole stampate su di un pezzo di carta.
La mia vita era solo semplice realtà, mista ad un pizzico di
abitudine. In fin dei conti erano otto gli anni impiegati a scappare da
uomini il cui unico intento era quello di mettere le loro sudice mani
sulla giovane ragazza che li aveva appena derubati. E di certo quello
non era l’unico pensiero che attraversava le loro menti.
Conoscevo già fin troppo gli uomini nonostante la giovane età.
Non si sarebbero limitati a farsi restituire il malloppo. A loro, ai
pirati, di certo non interessava chi avessero di fronte. Nei migliori
casi mi avrebbero offerto una morte veloce su di un piatto
d’argento. Ma non ero così sprovveduta, sapevo cosa
sarebbe successo, quale fosse la mia seconda opzione. E ne rabbrividivo.
Non che la misera cifra rubata fosse poi così elevata, non mi
sarebbe bastata nemmeno per pagarmi una notte nella misera stanza che
mi ero permessa fino a quei giorni.
Pirati squattrinati.
Eppure, era come se ne gioissero nell’avere qualcuno da
inseguire, da raggiungere. Meglio ancora se una giovane donna come lo
ero io.
Di certo, la fine di quella mia corsa senza meta tra le vie solitarie
di quel piccolo paese fu ancora più strana. Forse, direi
più assurda con il senno di oggi.
Fermata, o per meglio dire bloccata, da una mano sbucata dal nulla.
Ne rido ora a quel che successe.
Mi ritrovai a seguire quello sconosciuto che mi aveva rudemente
afferrata per un polso. Confusa e spaurita. Me ne erano successe tante,
di acqua sotto ai ponti ne era corsa fin troppo, eppure mai, nemmeno
nelle mie più fervide fantasie mi sarei aspettata una simile
conclusione.
O forse, un inizio.
Quando ci si trova in situazioni simili, l’unica cosa possibile
da fare è correre, sperando di far perdere le proprie tracce ai
propri inseguitori, o sperando che si stufino di inseguirti. A me
quelle due opzioni sembravano precluse. Per essere dei vecchi e grassi
pirati, avevano fin troppo fiato e forza nelle gambe. Per di
più, non avevo un luogo dove rintanarmi e aspettare che si
allontanassero.
Non conoscevo così bene quell’isola. Non così tanto
da sapere dove rifugiarmi, ma conoscevo abbastanza bene le varie vie,
tanto da non correre il rischio di perdermi o di capitare per sbaglio
nella via dove vi era la locanda in cui alloggiavo. Far capire loro
dove alloggiavo equivaleva ad un puro e semplice suicidio.
La mia salvezza sbucò proprio da una di quelle traverse, completamente al buio, che costeggiavano la via che percorrevo.
Sentirsi strattonare non fu troppo piacevole, l’adrenalina che al
momento scombinava il mio corpo era salita notevolmente. Eppure,
c’era qualcosa in quel tocco che riuscì anche a calmarmi.
Forse perché quella mano era terribilmente calda e contrastava
visibilmente con l’aria gelida della sera.
Mi ritrovai a seguire quell’individuo che non riuscivo a scorgere
in viso. L’unica cosa che riuscì a capire fu che si
trattava di un ragazzo. Riuscivo a scorgere la linea delle spalle e
niente altro.
Non riuscì a spiegarmi il motivo, non in quel momento per lo meno, ma non avevo paura.
Senza accorgermene ci eravamo allontanati quel tanto da permetterci di
seminare i miei rozzi inseguitori. Non si sentivano più i passi
concitati seguirci e nemmeno le voci chiedersi dove ero finita.
Il sollievo mi colse e lasciai scappare un sospiro di sollievo. Sospiro
che spezzai quando finalmente realizzai di essere in compagnia di uno
sconosciuto di cui non conoscevo le intenzioni. Per quel che ne sapevo
poteva benissimo far parte di una ciurma di pirati, magari era proprio
un compagno di quegli altri pirati ed era pronto a difendere il loro
onore.
Mi sbagliai.
“Puoi andare ora, non ti inseguono più.” La sua voce
era bassa, ma non così tanto. Doveva essere un ragazzo
nonostante sembrasse molto più grande. Ma quando riuscì a
vederlo in volto ne ebbi la conferma. Una conferma più dettata
dall’orrore di trovarmi davanti un cacciatore di pirati.
Roronoa Zoro.
Era semplice già all’epoca riconoscere Roronoa Zoro, la
belva dell’Est Blue. I tre pendenti dorati all’orecchio
sinistro era il suo marchio di fabbrica, come del resto le tre katane
appese al fianco destro. Se c’era qualcuno di cui avere paura,
bhè, quello era proprio Roronoa, il cacciatore di pirati.
Tutti nell’Est Blue lo temevano. Tutti coloro che avessero sulla testa una taglia.
“Ehi, tutto bene?” Mi ero bloccata a fissarlo.
“Sì, sì. Tutto bene.” Avere il terrore di
essere scoperta era una giusta paura. Far parte della ciurma di Arlong
non giocava a mio favore, ma per mia fortuna la notte fredda, ed il
pesante giaccone che indossavo, mi aiutarono a non far capire al mio
salvatore chi aveva davanti agli occhi.
“Non si direbbe.” Scrollò le spalle come se nulla
fosse, dandomi l’idea di avere di fronte solo un semplice ragazzo
e non un cacciatore di pirati.
Solo un ragazzo che doveva avere forse uno o due anni in più di me.
“Allora buona fortuna.” Mi salutò con un vago cenno del capo e ricambia stordita.
“Eh?” Lo afferrai frettolosamente per un lembo del giaccone
che indossava costringendolo a fermarsi a metà tra la luce ed il
buio. “Come sarebbe a dire buona fortuna?”
Non aveva nulla di pericoloso, niente nella sua espressione mi poteva
far intuire che fosse quel famigerato cacciatore di pirati. Più
lo guardavo e più mi convincevo di aver preso un abbaglio.
“Sei Roronoa? Il cacciatore?” Mi rispose con un sorrisetto da schiaffi, capace di farmi saltare i nervi.
“Può essere.”
“Non sei un po’ troppo giovane per fare il
cacciatore?” Me ne uscì con una frase che mai mi sarei
sognata di dire. Non ero forse io la prima ad essere poco credibile
come cartografa di una ciurma di pirati? Mi morsi la lingua per la
cavolata appena detta, ma lui si limitò a fissarmi perplesso.
“E tu non sei un po’ troppo piccola per fare la
ladra?” Mi rese pan per focaccia per bene -non potevo certo
sapere che sarebbe stato il compagno di mille frecciatine in futuro-.
Mi strinsi nelle spalle elargendo un sorriso di circostanza, come a
voler sottolineare un dato di fatto.
“C’è chi fa il cacciatore e chi il ladro.” Un ghigno divertito gli increspò le labbra.
A quel tempo pensai che fosse strano. Avevo sempre creduto che Roronoa
Zoro, il temibile cacciatore di pirati, fosse un uomo senza scrupolo,
crudele. Mi ritrovai a rivalutare tutto nel giro di pochi minuti.
“Nami…” Senza accorgermene mi presentai. Non allungai la mano, ma a lui non importava.
“Zoro.” La semplicità con cui si presentò mi
lasciò per un attimo perplessa. Sembrava che il suo nome non
avesse importanza.
Come molte altre cose, all’epoca non riuscì a capire quel tono di superficialità.
Un suono secco e forte risuonò nell’aria. La mezzanotte
era scoccata e con lei un nuovo girono si affacciava. Era tardi ormai e
dovevo rientrare nonostante la pesca poco fruttuosa. Avrei voluto
continuare la mia caccia, ma per quella sera la mia buona stella mi
aveva sorriso anche troppo mandando sulla mia strada un perfetto
sconosciuto che mi aveva tolto dai guai.
“Devo andare.” Mi precedette, la sua espressione
impassibile e rivolta verso il campanile che si poteva scorgere al di
là dei tetti. “Buona fortuna e vedi di non cacciarti nei
guai.”
Fu quella l’ultima frase che mi rivolse prima di avviarsi,
dandomi le spalle, in una delle vie laterali buie. Nessun saluto se non
un lieve cenno con il capo.
Io semplicemente rimasi lì a fissarlo svanire.
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