La tua voce come un sussurro.

di ___runaway
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Aspettai qualche istante davanti alla tua stanza.
Dovevo dirtelo, ma non sapevo come.
È semplice, mi ripetevo, sono due parole.
Ti amo.
No, non lo era per nulla; non con te.
Bussai ma nessuno mi rispose. Decisi di entrare comunque.
Stavi dormendo. Eri rannicchiata sul letto; una minigonna ed una camicetta.
Bellissima nella tua semplicità.
In una mano dei fogli. Mi avvicinai incuriosito; mischiati a qualche fotografia, c’erano degli appunti di filosofia.
Sorrisi.
“L’unica cosa che vi chiedo è che io possa finire gli studi” ci dissi non appena iniziammo a parlare di lavoro con te.
Ed hai mantenuto la promessa; era dura, ma ce la stavi facendo.
Con delicatezza, presi gli appunti e le penne sparse sulla coperta. Li posai sulla scrivania. Poi mi avvicinai all’armadio e presi una coperta.
Osservai per l’ultima volta il tuo corpo prima di posarci sopra il pile.
Sarei dovuto andarmene, ma stare lì ad osservarti mi toglieva tutte le forze.
Era la sensazione più bella del mondo.
Cercando di fare piano, mi sedetti vicino a te.
Continuavo a guardarti.
I capelli mossi che si annodavano in riccioli proprio sul collo; le mani affusolate, lo smalto rosso; le labbra dischiuse a malapena mettevano voglia di sfiorarle.
Appoggiai la schiena alla spalliera del letto e sospirai.
Iniziai a pensare che non sarei mai riuscito a dirtelo; ed il problema era che non sapevo perché.
Tutto ad un tratto, dalla tua bocca uscì un mugolio.
“Nick”. Non era una domanda; era come se sapessi che mi trovavo lì accanto a te.
Non risposi.
Ti sei avvicinata un po’ a me, appoggiando la testa sul mio petto.
Per un istante, mi dimenticai come si respirava.
Mi accorsi che non eri ancora del tutto sveglia quando, presa la coperta, la mettesti sulle mie gambe.
Sentivo il cuore battere all’impazzata, il sangue pulsare nelle vene.
Non ce la facevo più, tenere quel segreto tutto per me era opprimente.
Ero sempre riuscito a comportarmi in modo da non sembrare innamorato; ma, più i giorni passavano, più stavo in tua compagnia, e più perdevo la testa.
“Martina,” iniziai a sussurrarti all’orecchio “devo dirti una cosa importante”. Dormivi, stavo parlando al vento.
“Martina,” il tuo nome così melodico, lo avrei ripetuto per ore “ti amo”.
All’improvviso mi sentii più leggero.
Forse non avevi sentito, ma per il momento mi accontentavo.
Forse chissà, il tuo inconscio aveva percepito tutto.

 

Mi svegliai con una strana voglia di Nicholas.
Ricordavo Kant. Forse prima di addormentarmi stavo studiando filosofia.
E allora tu che c’entravi?
Aprii gli occhi incerta.
Venni avvolta dallo stupore.
Eri proprio accanto a me.
“Oh, Nick” furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.
Ti sei voltato e mi hai illuminato con uno dei tuoi sorrisi perfetti.
Ingollai a fatica.
Senza dire niente, mi hai messo un braccio intorno alle spalle e mi hai stampato un bacio sulla fronte.
“Nick, io non so come mai…”.
“Hai sentito qualcosa?” eri nervoso.
“Eh? No. No, volevo dirti… In realtà, non so cosa devo dirti” ero confusa, troppo per i miei gusti.
Quel sorriso ancora sul tuo volto.
“Che ci fai qua?” chiesi infine, dopo un attimo di mente locale.
“Ti faccio da poggia testa” hai ridacchiato.
Sprofondai ancora di più nel tuo petto; in fondo, quello era un momento perfetto, non importava rovinarlo con domande inutili.
“In realtà, ero venuto a dirti una cosa, ma stavi dormendo. Non importa”.
“Ma ora sono sveglia. Dimmi”. La mia curiosità era salita.
Non hai risposto alla mia domanda.
Ti guardavo con aria interrogativa.
Mi hai lasciato un bacio sulle labbra.
“Ecco” la tua voce come un sussurro.
Le mie guance avvamparono, lo so.





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