Eccoci alla
fine… Non è un
granché, come al solito i miei “The end”
sono pessimi, ma spero che sia almeno
accettabile.
La canzone che ho usato è ancora Never let you go,
di Justin Bieber.
I ringraziamenti li ho già fatti
la scorsa volta, quindi non mi dilungo troppo, anche perché
sono a rischio
pianto :’(
Ringrazio Layla, freency, Tokietta86, Isis 88,
Utopy
e tly
per le recensioni allo scorso
capitolo e ringrazio tutti
voi,
tutte le persone che hanno messo questa FF fra le preferite, le seguite
e in
quelle da ricordare, tutte quelle che hanno recensito, tutte quelle
sono
riuscite, con le loro parole, le loro emozioni, i loro sorrisi e le
loro
lacrime (anche quelle, soprattutto quelle), il loro sostegno, a far
vivere
questa storia a me, personalmente, rimarrà sempre nel cuore.
Spero che anche
per voi sia lo stesso. Grazie
davvero.
Spero di rivedervi presto, un
bacio enorme e un abbraccio.
Vostra,
_Pulse_
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24. Epilogo: Morale della favola
Un angelo camminava per le strade
d’Amburgo con il sorriso sulle labbra
e le mani nelle tasche.
Potrebbe essere
l’inizio di una
bella favola, ma la sua,
di favola, è
iniziata moltissimo tempo fa.
Raggiunse una villetta
appena
fuori dal centro urbano, la osservò dall’esterno
– un grande giardino curato,
una bella automobile parcheggiata nel vialetto di fronte al garage
– e
ridacchiò nel sentire una voce e dei pensieri in particolare
che provenivano
dall’interno: non era cambiato per niente.
Un ragazzo
uscì in veranda
tenendo per mano la sua bimba di dieci anni e mezzo, con i capelli
biondi e gli
occhi castani che alla luce del sole prendevano una sfumatura dorata.
(Certo,
non era davvero sua figlia, però le voleva bene come se
fosse sua). Le
sorrideva teneramente e la guardava con gli occhi pieni
d’amore mentre le
raccontava una storia.
«Papà,
ma gli angeli esistono sul
serio?», gli chiese la bambina, incuriosita, alzando il viso
per poterlo
guardare negli occhi.
«Certo che
esistono!», rispose
convinto, nascondendo anche a se stesso quella malinconia che gli aveva
velato
lo sguardo. «Se mamma non fosse un angelo credi che sarebbe
ancora qui a
sopportarmi?»
Linda li raggiunse e
accarezzò i
capelli di nuovo biondi del ragazzo, dandogli un bacio affettuoso sulle
labbra.
«Potrebbe esserci una speranza», gli rispose
divertita.
Entrarono in auto
discutendo
ancora sull’argomento, il ragazzo mise in moto e si
girò con il busto verso i
sedili posteriori per fare la retromarcia, quando rimase senza fiato:
accanto
alla figlia c’era un Franky sorridente, che
incrociò il suo sguardo.
«E dove
vivono, gli angeli?»
Tom la sentì
parlare, ma non capì
quello che la bambina gli aveva chiesto, sempre più
interessata. Boccheggiava
come un pesce fuor d’acqua, incredulo, senza riuscire a fare
altro.
Era passato
così tanto tempo... Aveva sperato, persino pregato,
così ardentemente il suo
ritorno che vedendolo
non ce la faceva a credere che fosse davvero lì.
«In Paradiso,
tesoro», rispose Linda
al suo posto, poi si soffermò a guardare il marito: aveva
gli occhi fissi sul
sedile accanto a Jole, come se ci fosse realmente qualcuno e questo lo
sconvolgesse.
«È
davvero bella», disse Franky a
Tom.
La sua voce gli
sembrò così…
assurdamente familiare, tanto che tutto quel tempo a sperare che
tornasse gli
scivolò addosso, riportando a galla ricordi su ricordi, come
se non li avesse
mai lasciati.
«La tua
vita», aggiunse l’angelo
a scanso di equivoci, anche se il ragazzo in quel momento sembrava del
tutto
incapace di capire quello che stava accadendo intorno a lui.
Tom non fece in tempo a
rispondere che l’angelo scomparve ridendo della sua
espressione più che
frastornata.
Linda, con la fronte
corrugata,
gli portò una mano sulla guancia e lo guardò
negli occhi. «Amore, è tutto ok?»,
gli chiese leggermente preoccupata. Il ragazzo annuì,
stiracchiando un sorriso.
«Allora muoviamoci, altrimenti arriveremo domani da Bill e
Zoe.»
***
Zoe posò
nella culla la loro
meravigliosa bambina, dopo averla fatta addormentare, e Bill
l’abbracciò da
dietro, baciandole delicato la tempia e sfiorandole la fede che portava
all’anulare, identica alla sua. Si sorrisero guardandosi
negli occhi e poi uscirono
dalla stanza da letto per tornare in salotto, dove li stavano
aspettando Georg
e Gustav con le loro relative compagne e David, Susan e Mirko, il loro
bambino
dagli occhi verdi e i capelli neri – somigliava al padre,
perciò anche a Franky
– di quasi un anno più piccolo di Jole.
«Tom non
è ancora arrivato?»,
chiese Zoe, sedendosi sul divano, accanto a Susan.
«Dovrebbe
arrivare a momenti», la
informò Gustav con un sorriso rassicurante.
Era piuttosto in ansia,
non per
lei, ma per Bill: era lui che se la prendeva per quelle cose. Infondo
compiva
solo un mese, non un anno! Ma per lui ogni pretesto era buono per
festeggiare e
trovarsi tutti insieme e, sotto quel punto di vista, aveva ragione.
Qualche minuto dopo il
campanello
trillò e il marito si precipitò alla porta,
attraversando il salotto addobbato
a festa, evitando di inciampare sulla marea di palloncini che aveva
costretto
tutti a gonfiare. Quello che si era divertito di più era
stato Mirko, che ne
aveva sempre uno fra le mani.
«Sempre gli
ultimi, eh?!», gridò
con le mani sui fianchi, verso gli ospiti.
«Scusaci, zio
Bill!», disse
quella vocina adorabile che non poteva essere altro che di Jole.
«Non ti
preoccupare piccolina»,
le sorrise solare baciandole la fronte. «So che
è colpa di quello scellerato del tuo papà!
È sempre colpa sua!»
Proprio mentre lo
nominava,
spuntò dietro Linda e Jole, con un’espressione
tutt’altro che tranquilla sul
viso: sembrava teso, agitato come se stesse trattenendo dentro di
sé qualcosa
molto più grande di lui. Lo guardò negli occhi e
capì che doveva essere
successo per forza qualcosa.
«Tom, che
hai?», gli chiese e lo
face entrare, insieme alle sue due donne. Jole andò subito a
giocare con i
palloncini con il coetaneo, mentre i grandi si riunirono nel salotto,
contagiati dall’ansia del chitarrista.
«Che ne so,
è da prima che è
così!», disse Linda, tenendogli stretto il
braccio.
«Un
attimo», disse Tom, come se
avesse avuto un’illuminazione.
«Dov’è Evelyn?»
«In camera,
l’ho appena fatta
addormentare…», rispose Zoe, la fronte corrugata.
«Perché?»
Tom schizzò
verso la camera in
cui sapeva di trovare la bambina e Bill, Zoe, Georg, Gustav e David lo
seguirono, incuriositi oltre che preoccupati. Il chitarrista
aprì la porta e di
nuovo quel blocco alle vie respiratorie, quando scorse la figura di
Franky,
completo di ali sulla schiena, accanto alla culla della bambina di Zoe
e Bill.
«Franky»,
mormorò Zoe con gli
occhi velati dalle lacrime.
L’angelo si
voltò lentamente e
incrociò il suo sguardo. «Ciao, Zoe.»
La ragazza, ormai donna,
moglie e
mamma, gli corse in contro e lo strinse forte al petto. Rise, notando
che era
diventata più alta di lui, rimasto lo stesso sedicenne di
allora.
«Ehi, io non
invecchio», le
rispose. «Sei
veramente
bellissima, sai?»
«Grazie»,
tirò su col naso,
staccandosi. Franky si voltò verso Evelyn e le
sfiorò la guancia con un dito.
«E
lei… lei è semplicemente
fantastica», commentò a bassa voce, rapito dalla
bellezza di quella bambina
piccolissima.
«Ha preso
tutto dal papà»,
rispose la ragazza, andando a prendere per mano Bill, ancora
pietrificato sulla
soglia assieme a tutti gli altri.
«Nah, sono
certo che avrà i tuoi
occhi.» Sorrise, in quel modo tenero di sempre. Suo.
«Ha dei pensieri così…
puri. Vi vuole un bene immenso.»
Restarono qualche
secondo in
silenzio. Franky contemplò il visetto tondo di Evelyn e
trovò un senso ad
ogni cosa. Sorrise, sinceramente contento per ciò che la sua
piccola donna era riuscita a costruire anche senza il suo aiuto
costante. Sorrise,
perché
era riuscita a crearsi una vita piena di felicità e di
amore. Sorrise, perché
nei suoi ricordi non c’erano più lacrime, solo
sorrisi per i tempi passati.
«Ma dico, sei
scemo?!», spezzò il
silenzio Tom, gli occhi sgranati.
Tutti si voltarono verso
di lui e
lo guardarono truce, dicendogli di abbassare la voce o avrebbe
svegliato la
bambina. Troppo tardi:
Evelyn iniziò a piangere e
l’angelo prontamente infilò
le mani nella culla, la sollevò e se la portò al
petto, guardandola
teneramente.
«Shhh, era
solo il mio stupido
migliore amico», le sussurrò, e come per magia la
bimba si calmò e in poco
tempo si riaddormentò. Franky però non la rimise
nella culla, la tenne stretta
a sé.
«Sono passati
dieci anni, pezzo
di cretino», gli disse allora il chitarrista, controllando il
tono di voce. «Avevi
detto presto!»
«Ho fatto
prima che ho potuto,
davvero.»
«Ci sei
mancato tanto», aggiunse
Bill.
«Io non posso
dire lo stesso,
visto che ero sempre con voi.»
«Per quanto
rimarrai?», chiese
suo zio David.
L’angelo
sospirò e in quel
momento ripose Evelyn nella culla. «In realtà,
devo tornare su fra… un quarto
d’ora esatto.»
«Che cosa,
così poco?!»
«Mi dispiace,
ragazzi», sollevò
le spalle. «Sono passato solo per un saluto.»
«Oh,
bello», borbottò Tom,
cercando di fare il duro, anche se i suoi occhi mentivano a tutti:
erano
arrossati e lucidi. «Dovremo aspettare altri dieci anni per
vederti?»
«Mah, chi lo
sa», ridacchiò. «Vi
voglio bene ragazzi, sono felice per voi, sono orgoglioso di voi. Non
posso
fare altro che dirvi di continuare così.»
Tom scattò in
avanti e lo
travolse con un abbraccio e che sorprese tutti, oltre che il diretto
interessato.
Si staccarono solo dopo attimi interminabili, si guardarono negli occhi
e
sorrisero.
«Sai,
c’è una cosa che ho
capito», gli confessò Tom. «Ed
è questa: l’amicizia, come l’amore, non
muore
mai.»
«Ce
n’è voluto di tempo prima che
lo capissi!», accennò una risata.
«Meglio tardi che mai.»
[Cuz
this life's too long
and this love's too strong
So baby, know for sure that
I'll
never let you go
Perchè
questa vita è così lunga
e questo amore è così forte
Allora piccola, sappi che
non ti lascerò mai]
THE
END
{A te, Ales, a cui ho dedicato tutto questo
e che so non avrai mai un “The End”.
Ti voglio un bene dell’anima.
Tua, sempre, Aria.}
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