il coraggio della fenice
Io, io che ho conosciuto la
Morte, che sono stata cullata
dalle sue feroci braccia, le carni straziate, che ho assaporato il mio
sangue nella bocca e
l'oblio del nulla, che sono morta e ho visto morire... come posso
permettere che accada di nuovo?
Nessuno dovrebbe
morire.
La morte non si
dimentica, ed è strana questa frase,
perchè agli umani non è stato concesso di tornare
indietro... varcata la soglia del Regno dei Morti, la porta resta
sigillata alle proprie spalle.
Io sono tornata
indietro, il Signor Sesshomaru mi ha salvata, in
una notte di sangue e terrore, dopo una corsa inutile e mortale, e
adesso sono qui, abbracciata ad una rupe, sospesa nel vuoto, io e la
mia paura, singolare compagna di questa disperata avventura, a sfidare
ancora la gelida Signora del buio, per beffarla ancora, almeno in parte.
Ricordo, indelebile,
il sangue, tanto, troppo, puzzo di morte e fango,
mio padre, mia madre, mio fratello, vite spezzate, e io che corro,
corro ancora, corro via, e gli occhi scuri di mia madre, e ancora il
sangue, sangue dalla sua bocca a sporcare e rovinare tutto, ogni
ricordo...
Ed io, seppur per poco
ostaggio del niente, ricordo, nonostante non vi
sia nulla da ricordare, ogni sospiro spezzato ed ogni battito mancato,
e ho deciso di non correre mai più via e di non fuggire, di
lottare, con il mio fragile corpo da umana, di oppormi, ai Demoni che
abitano queste montagne ed alla Morte stessa che aleggia attorno, ed
è per questo, per non vedere più morire nessuno,
che sono
qui, che ho affrontato questo viaggio, in lotta contro il tempo, per
salvare una vita e impedire che una minaccia di morte si compia, prima
del tramonto...
Povero Jaken, sono la
sua unica speranza, gli insetti l'hanno morso e
il veleno lo ucciderà se non tornerò in
tempo... Sesshomaru è andato via e quindi devo cavarmela da
sola, ho tanta paura, anche se c'è Ah- Un a coprirmi le
spalle... e continuo, continuo ad arrampicarmi e non guardo in basso,
verso il baratro, e mi avvicino a quella pianta... nessuno dovrebbe
morire... io non lo permetterò, non permetterò
che accada
di nuovo... non voglio vedere più nessuno morire.
La bimba tende al
massimo il suo corpo, si allunga per raggiungere la
pianta, si alza sulle punte dei piedini nel poco spazio disponibile e
ghermisce i sottili ramoscelli in un ultimo sforzo... ma la roccia
frana, quella piccola sporgenza è troppo instabile
e
friabile e si frantuma sotto i suoi piedi.
La piccola cade,
urlando un nome e la sua paura, mentre la Morte tende
di nuovo le sue braccia dal buio del baratro, sullo sfondo di un
tramonto e sul suono dell'urlo di un drago a due teste, che nonostante
la sua natura demoniaca da semplice animale da monta ha compreso
l'inevitabile sentenza di morte.
Ma una luce azzurrina
accoglie la bimba, e la salva dal buio, dalla
morte e dal baratro, come la rete salva l'equilibrista dal suolo,
lasciando intatto il suo volo.
La creatura si posa su
uno spuntone di roccia, elegante, silenziosa, nivea ed algida nella sua
abbagliante fierezza demoniaca.
Regge la
bimba stretta al petto con il suo unico braccio,
lei è piccola, minuscola rispetto a lui e non fa fatica a
sostenerla con quell'unico arto.
La guarda, con occhi
d'ambra e miele, osserva il suo volto contratto, spaventato, nonostante
l'abbandono dell'incoscienza.
Ella stringe in mano
una pianta, il braccio abbandonato lungo il corpo.
Il demone prende la
pianta, richiama a sé il drago e vola via, abbandonando quel
luogo.
La Morte ritira le sue
braccia, silente e sconfitta.
Anche questa volta,
è stata beffata.
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