Prologo*
C’è sempre speranza.
Anche quando il buio
ci ammanta fra le sue strette spire, annebbiandoci la vista e
impedendoci di scorgerla fra le nuvole che coprono
l’orizzonte.
Ma lei, proprio come
il sole, è lì sopra, lontana ma splendente.
Sempre presente sotto
la coltre di nubi.
C’è
sempre speranza.
Sembrava
giorno.
Le
fiamme che lambivano le case, gli animali e le persone illuminavano la
notte conferendole un aspetto folle, inumano. Urla di bambini, donne e
uomini riempivano il silenzio facendo rabbrividire chiunque le
sentisse, ma nessuno era corso da loro per offrire aiuto. Nei paesi
vicini i genitori tenevano stretti i figli tremanti, chiudendo gli
occhi e pregando che finisse.
Eppure
le grida continuavano.
L’intero
villaggio bruciava fra le fiamme, e i suoi abitanti con lui. Chi
correva chiamando per nome l’amata, chi correva in una
ricerca disperata dei figli, chi correva per salvarsi. Fra di loro,
centinaia di soldati dall’armatura nera e scarlatta
trucidavano chiunque capitasse loro a tiro.
La
luna fissava impassibile, dall’alto, quella distruzione.
Una
ragazza, come tante altre, correva a perdifiato, urlando il nome del
padre, buttando lo sguardo tutto intorno, cercando di evitare i soldati
e i suoi stessi compaesani, ormai diventati più bestie che
esseri umani. Lacrime le scendevano lungo la guancia candida e il collo
a cigno, cerchiandole gli occhi e facendola rassomigliare ad uno
spettro vagante.
-Padre!
Padre!- urlava, correndo senza badare al lungo vestito verde che la
intralciava.
Ed
infine, lo vide. Steso sulle macerie di una casa che, un tempo, era
stata una delle più belle del villaggio. Il suo colorito
pallido stonava con gli accesi colori del fuoco e delle armature
nemiche. Lo sguardo della ragazza scivolò sul suo petto,
dove una grossa trave di legno spuntava insanguinata.
La
ragazza sentì la testa girare, il mondo farsi sfocato e il
cuore rallentare i suoi battiti. Fece per correre verso di lui, quando
un’ombra scarlatta passò proprio sulla sua testa,
alimentando quelle fiamme che stavano consumando tutto. Il mostro
atterrò poco lontano da lei, spostando le macerie con un
semplice movimento della lunga coda squamata. L’uomo sulla
sua groppa voltò la testa a destra e a sinistra,
contemplando quello scempio. La ragazza sentì una rabbia mai
provata invaderla da dentro e, con la vista offuscata dalle lacrime, si
slanciò in avanti verso il mostro. Non le
importava più di morire. La prospettiva delle lunghe zanne
acuminate del mostro era molto più allettante di una vita
passata a ricordare quell’episodio terrificante.
Fu
come guardarsi dall’esterno. Si vide correre urlando verso
lui, verso il mostro che cavalcava il mostro, con in mano
nient’altro che un pugnale spuntato raccattato
chissà dove, nel ca0s. L’uomo voltò la
testa protetta dall’elmo in tempo per vederla avanzare verso
di lui con un’espressione folle. Scese con tutta calma,
venendole incontro con la lunga lama , dello stesso colore del suo
mostro, che toccava il terreno scuro, bruciato. Non l’aveva
neanche sguainata.
La
ragazza si buttò su di lui con la forza della disperazione e
della rabbia, provando ad attaccarlo in qualsiasi modo, brandendo il
pugnale alla ceca. Fu semplice per il cavaliere afferrarle la mano e
torcerla in modo che quello le scivolasse dalle dita.
La
ragazza allora, singhiozzando dal dolore, cercò di liberarsi
prendendo a pugni il suo nemico, abbassando il capo per non dover
guardare in quegli occhi dannati. L’uomo non si oppose,
ricevendo pacatamente i suoi colpi.
Poi,
presa dalla stanchezza e dal dolore, la fanciulla alzò lo
sguardo, incrociando i propri occhi azzurrissimi con quelli neri del
suo nemico. Fu un attimo, e svenne fra le sue braccia.
L’uomo
l’afferrò prima che toccasse terra, tenendola
dolcemente come tenesse un bambino. Ne esplorò a lungo il
volto rigato dallo sporco e dalle lacrime, spostandole, con un dito
guantato, una ciocca di capelli scuri che le era scesa a coprirle la
fronte. L’alzò con delicatezza e, con il suo
corpo, salì sul drago ponendola davanti a sé e
circondandola con le braccia per impedirle di cadere.
Infine,
il mostro aprì le lunghe ali rosse e spiccò il
volo, allontanandosi insieme alla ragazza e al suo cavaliere da quella
devastazione.
E
il villaggio precipitò nel silenzio. Un silenzio carico di
morte.
Un lampo di luce le
offuscò la vista mentre, con uno scatto repentino, si
sollevava a sedere urlando a pieni polmoni. Immagini sfocate e voci
lontane, come sentite dalla fine di un lungo tunnel, la circondavano,
ma la ragazza, con in mente solo le fiamme e la distruzione, non
ascoltava niente.
Era consapevole solo
dei ricordi e del suo cuore che, rinchiuso nel suo petto come in una
gabbia, batteva all’impazzata. Due mani fresche le
circondarono il viso, posandole sulla fronte una pezza bagnata. La
ragazza chiuse gli occhi con un inconsapevole sospiro di sollievo.
-Ha la febbre molto
alta, mio signore- sentì debolmente una voce femminile,
preoccupata.
-Ma ha superato la
notte, no?- rispose, invece, un tono di voce maschile, più
lontano.
-Si, ha un sistema
immunitario molto forte. Bisogna aspettare solo che passi-
continuò la voce femminile e la ragazza si sentì
stendere.
Ma non voleva
più stare ferma. Si sentiva bruciare e la cosa la spingeva
ad agitarsi e a gemere. Le stesse mani fresche di prima le
accarezzavano una guancia e le passavano la pezzuola ovunque.
-Morti. Tutti morti-
parlava lei, con gli occhi strizzati e la gola che le bruciava.
-Cosa..?-
-Tutti!-
urlò la ragazza improvvisamente, facendo trasalire la
guaritrice –Tutti- ripeté con un singhiozzo.
-Non si può
fare niente per calmarla un po’? Se continua così
ci attirerà addosso tutte le guardie del palazzo-
commentò tranquilla la voce maschile, adesso vicina come
quella femminile.
-Si, certo,
però è rischioso nella sua situazione..-
-Non importa, lo
faccia. Nessuno deve sapere che lei è qui.-
La ragazza
sentì passi che si allontanavano ed una porta che si
chiudeva. Tutto era confuso, distorto dal fuoco della febbre che la
bruciava da dentro. Un sospiro, mani che le trafficavano intorno ed una
lieve puntura al braccio. Per la prima volta la ragazza
riuscì ad aprire gli occhi gonfi e lucidi. Aprì
la bocca per parlare, ma le sfuggirono solo fugaci suoni
incomprensibili. Il volto che aleggiava sopra di lei le sorrise
gentile, dolce.
-Povera piccola..
adesso dormi-
-..adesso dormi,
piccola mia. Domani è un nuovo giorno-
Un uomo che salutava
la figlia con un bacio sulla fronte per la buonanotte.
-Dormi- le ingiunse di
nuovo la guaritrice
E lei
scivolò nel sonno.
*
Quando aprì
di nuovo gli occhi, la fanciulla sentiva la mente molto più
sgombra e lucida. Sbatté le palpebre lentamente, cercando di
evitare che un fascio di luce, proveniente da chissà dove,
le ferisse gli occhi.
Mosse incerta la mano
destra, provando a sgranchirsi le dita e qualcuno le prese, fermandole.
La ragazza si bloccò, all’erta.
-Buongiorno. Come ci
sentiamo?- la salutò una voce.
La conosceva. Era la
stessa che l’aveva assistita e guidata in quei giorni pervasi
di follia, in preda alla febbre. La ragazza alzò lo sguardo
su di lei, incrociando due occhi verde bosco, contornati da sottili
rughe di espressione. La guaritrice che le stava davanti, con
espressione dolce e corti capelli neri che le circondavano il viso,
poteva avere al massimo una ventina d’anni eppure la sua aria
matura la faceva sembrare più grande. Indossava un lungo
camice bianco, candido, che le feriva la vista per il suo riverbero
alla luce del sole. La guaritrice se ne accorse e si spostò
all’ombra.
-Temevamo non ce
l’avresti fatta, sai?- le disse, spostandole da vicino alcuni
strumenti che la fanciulla non riconobbe
-Quanto tempo..?-
provò a dire la ragazza con voce roca
-Da quanto tempo sei
qui?- la aiutò l’altra –Cinque giorni-
-Cinque giorni?!- ci
mise qualche secondo a ricordare a rendersi conto della situazione.
Scattò a
sedere come qualche giorno prima, con gli occhi azzurrissimi sgranati.
-Il mio villaggio, le
fiamme, mio padre! O mio dio..- mormorò, alzando una mano a
spostarsi i capelli dalla fronte.
Sentiva il suo corpo
così estraneo. Che stranezza.
Il tono della
guaritrice si tinse di incertezza.
-Si, beh, di questo
parleremo dopo. Piuttosto, come ti chiami?-
La fanciulla ci mise
qualche minuto a ricordare, a scavare nella propria memoria. Le
sembrava tutto estraneo, incomprensibile ed alieno. Come se stesse
vivendo la vita di un’altra. Anche il suo nome lo sentiva
lontano e vicino insieme.
-Earine..-disse,
guardandosi intorno con circospezione.
Si trovava in una
vasta camera da letto, dai muri di un beige molto chiaro che brillava
al contatto con il sole. A destra stazionava un letto singolo, con le
coperte accuratamente rimboccate e il cuscino pulito. In un angolo
Earine poteva scorgere una grande scrivania piena zeppa di libri e
pergamene, di un legno chiaro che s’intonava con il colore
dei muri. Di chiunque fosse la camera, doveva essere una persona amante
della cultura, vista anche la piccola libreria rasente al muro del lato
sinistro, proprio affianco ad una finestra spalancata sul giardino
sottostante. Nel complesso era una camera davvero molto bella,
luminosa. Proprio com’era la sua.
-E’ un nome
bellissimo, mia signora- commentò allegramente la guaritrice
Earine la
guardò stranita. Nessuno l’aveva mai chiamata
“mia signora”.
-Ha un qualche
significato particolare?- chiese cordialmente la donna, muovendosi di
qua e di là per far ordine.
Earine era stesa su di
una piccola branda costruita per necessità, posta in un
angolo remoto della camera, lontana dalla finestra e dal letto e
soprattutto lontana dalla porta.
-Ehm, dovrebbe
significare “del mare” o
“marino”. Qualcosa del genere- fece lei,
continuando a guardarsi intorno con sospetto.
Dove si trovava?
L’ultima cosa che ricordava era.. un paio di occhi scuri,
neri, che la fissavano imperscrutabili da sotto un elmo scarlatto.
Earine scosse la testa, sentendosela subito martellare da un forte mal
di testa.
-Cos’è
successo? Dove mi trovo?- chiese ansiosa, fissando la guaritrice
Quella, come prima,
rispose con lo stesso tono incerto –Dovrai aspettare il
ritorno del mio signore..-
-Io non voglio
aspettare proprio nessuno!- sbottò la fanciulla, scendendo
dalla branda.
Quello che non aveva
messo in conto era la debolezza del suo corpo dopo la febbre.
Barcollò subito, reggendosi al muro per non cadere, ma non
si fece fermare ed avanzò decisa verso la porta. Voleva,
doveva, capirci qualcosa. La guaritrice, dopo aver fatto un
esclamazione sorpresa, accorse da lei cercando di frenarla.
-Mia signora, ti
prego, aspetta-
Earine la
scostò con un gesto deciso e, sebbene più debole
di lei, riuscì ad allontanarla. Passò accanto
alla finestra e fece in tempo a scorgere un ampio giardino, del verde
più brillante che avesse mai visto, e una grande diramazione
di edifici che si estendevano fino all’orizzonte. Earine si
bloccò a guardarlo, sorpresa. Essendo vissuta per tutta la
vita –diciannove anni- in un piccolo paesino sperduto vicino
a Dras-Leona, Earine non conosceva le vastità delle
città capitali o la folla delle strade maestre di
Uru’baen e Gil’ead. Perciò non
potè che fermarsi ad osservare quello spettacolo maestoso e
spaventoso insieme con la bocca socchiusa e gli occhi luccicanti.
Dietro di
sé sentì la guaritrice avvicinarsi, approfittando
della sua distrazione. Earine si voltò nuovamente per
fronteggiare la donna che, nella mano, aveva uno strano strumento a
cilindro con la punta acuminata. Decisamente qualche oggetto per
somministrare dei liquidi. Quando Earine si rese conto che la
guaritrice voleva sedarla era troppo tardi: era già scattata
verso di lei. Con un movimento agile afferrò il polso della
donna rigirandolo verso il basso per farle mollare la presa. Quella,
per tutta risposta, le assestò una gomitata al fianco,
facendole vedere le stelle. Lasciò andare il braccio della
donna, portandosi una mano al fianco.
Non poteva far altro
che farsi sedare, era troppo debole per lottare. Ma, proprio mentre la
donna avanzava verso di lei con quello strano oggetto sormontato da un
ago, una spada dalla lama rosso sangue comparve dal nulla, puntandosi
non su di lei, ma sulla guaritrice.
Quella, tremando da
capo a piedi, poggiò l’oggetto da una parte,
alzando le mani. Earine voltò il viso, per vedere chi fosse
il suo salvatore. Un ragazzo alto, ben piantato, era entrato mentre le
due stavano lottando, perciò entrambe non se
n’erano accorte. Aveva un fisico asciutto, tonico, che era
possibile vedere sotto la semplice tunica che indossava e dai muscoli
del braccio abbronzato che stringeva la spada. Aveva lunghi capelli
neri che, in sintonia con gli occhi, gli donavano una bellezza
tenebrosa. Il suo viso celava segreti che Earine non riusciva ad
identificare.
-Mi pare che la nostra
ospite si sia ripresa- commentò il ragazzo con voce pacata
La guaritrice
annuì frettolosamente, rigirandosi fra le mani il bordo
della tunica bianca. Era terrorizzata.
L’uomo la
guardò per qualche altro istante, poi abbassò la
spada e le indicò la porta con un cenno del capo. La donna
si avviò talmente in fretta che Earine capì che,
se avesse potuto, avrebbe corso. Quando la porta si chiuse alle sue
spalle, Earine si rese conto di essere addossata alla finestra,
semi-seduta sul suo davanzale. Si aggiustò tenendo
d’occhio il ragazzo che, buttata la spada sul letto, si
dirigeva con calma verso la scrivania.
Sotto lo sguardo
perforante della ragazza, quello prese una bottiglia di vino dal terzo
cassetto in basso ed un paio di bicchieri da una mensola.
Versò il vino mostrando le spalle alla ragazza, sicuro che
non avrebbe tentato m0sse di alcun tipo. Una volta finito, si
girò nuovamente verso di lei ed avanzò per
porgerle il bicchiere.
Ma, a pochi passi da
lui, la ragazza si perse in quegli occhi nero pece, riconoscendoli. Si
alzò molto lentamente, presa dallo sconcerto e dalla
sorpresa.
-Tu..-
mormorò, fissandolo
Quello allora si
fermò, ricambiando il suo sguardo con un’occhiata
fredda.
-Tu!- urlò
Earine, lanciandosi sul ragazzo.
Lui posò i
bicchieri con una velocità sovraumana, per impedire che si
rompessero, e si alzò appena in tempo per accogliere la
fanciulla fra le braccia e bloccarle i polsi proprio come aveva fatto
quella sera di cinque giorni fa. A differenza di quel giorno,
però, Earine era molto più debole, reduce dalla
febbre, e non poteva far molto contro di lui. Nonostante questo
continuò a lottare e a dibattersi come una forsennata,
costringendo il ragazzo e voltarla e a stringerle le braccia dietro la
schiena. Le scappò un gemito di dolore.
-Che diavolo stai
facendo?- le chiese il ragazzo all’orecchio.
-Cerco di ucciderti-
rispose Earine roca, continuando a dibattersi.
Stanco di quella
lotta, il ragazzo la prese e la sbatté contro un muro,
costringendole la mani in una presa ferrea e inchiodandola con i suoi
occhi nerissimi. Earine alzò la testa, fiera.
-Ti consiglio di
smetterla se non vuoi morire sul serio- la minacciò lui, le
labbra ad un soffio dalle sue
Ma Earine non si
lasciò intimorire –Che n’è
stato del mio villaggio?-
Il ragazzo la
lasciò andare di colpo e la ragazza scivolò lungo
il muro, massaggiandosi le braccia dove –era sicura-
sarebbero spuntati presto alcuni lividi. Ma, tutto sommato, poteva
ritenersi fortunata di non aver riportato ferite più gravi.
-E’ stato
raso al suolo- le rispose lui con un tono leggero come se stesse
commentando il tempo.
Una sottile ruga di
dolore solcò la fronte della ragazza che, però,
decise di non far intravedere al ragazzo la sua debolezza.
Perciò ricacciò indietro le lacrime e
ingoiò i singhiozzi, trattenendosi dal tremare. Le ci volle
un notevole sforzo per farlo, soprattutto se nel frattempo le immagini
della sua casa, del padre sorridente, di Bart il barista, suo amico da
tempo immemore, dei suoi boschi e della vallata vicina, la assalivano.
-Ma..
perché?- domanda stupida. Sapeva già la risposta.
E infatti il ragazzo
le lanciò uno sguardo sospettoso e stranito.
-Per i vostri contatti
con i Varden. Se l’Impero non riesce a mantenere
l’ordine all’interno, come farà a farlo
all’esterno?-
-Forse non dovrebbe
farlo- ironizzò la ragazza –Sappiamo tutti che
Galbatorix è..- ma prima che potesse rispondere la ragazza
si ritrovò l’altro ad un centimetro dal viso, con
un’espressione mortalmente seria.
-Sentimi un
po’, ragazzina- iniziò, prendendola per la gola
–Non so neanche io cosa mi abbia spinto a salvarti, in mezzo
a tutta quella gente, ma adesso sei qui, okay? Non posso mandarti via
perché ci sono quelle fottutissime guardie che seguono ogni
mia mossa, e non voglio ucciderti. Le spie di Galbatorix sono ovunque e
lui stesso può sentire ogni parola anche quando non te
l’aspetti. Se scoprisse che ti ho lasciata vivere, quando i
suoi ordini erano di sterminare l’intera popolazione, mi
punirà. E una volta che avrà finito, io
punirò te. Sono stato chiaro?-
Ormai Earine non
respirava più e il suo viso iniziava a tendere al viola.
Senza aspettare risposta, allora, il ragazzo la mollò
alzandosi e avvicinandosi alla scrivania. Afferrò un
mantello e se lo chiuse intorno alle spalle e sotto la gola.
Rinfoderò la spada nella sua guaina e si avvicinò
alla porta, afferrandone la maniglia.
-Esco. Tu rimani qui e
non aprire a nessuno- le ingiunse, senza neanche girarsi, poi
uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Earine si
ritrovò improvvisamente sola, con il respiro ancora
scellerato e la gola che le faceva male per la presa del ragazzo.
In che casino mi sono
cacciata? Pensò, disperata.
*
Quando il ragazzo
rientrò il camera, trovò Earine accovacciata
sulla branda con il viso nascosto tra le ginocchia ed il pranzo,
portato dalla guaritrice, deposto in un angolo insieme alla cena,
intatto. Chiuse la porta e si fermò ad osservarla, ben
conscio del fatto che la ragazza stava aspettando una sua qualsiasi
mossa. Aveva avuto modo di scambiare solo poche parole con quella
ragazza, eppure già la trovava insopportabile.
Perché diavolo l’aveva salvata?
Eppure, mentre
guardava i suoi lunghi capelli di un castano molto scuro, mossi, e il
suo viso candido nascosto fra le braccia, il ragazzo poteva risentire
quello strano presentimento che l’aveva pervaso appena
l’aveva vista corrergli incontro, con
un’espressione folle.
Scrollando le spalle,
avanzò, incurante di quella presenza silenziosa, voltandosi
di spalle e lasciandosi cadere il mantello sulle spalle.
Afferrò una tinozza vicina, colma d’acqua e, dopo
essersi sfilato camicia e pantaloni, si sciacquò con cura,
lavandosi dallo sporco. Poi, pulito, s’infilò il
completo composto da una semplice tunica e un pantalone, pronto per
andare a dormire. Fece per scostare le coperte quando la sua voce lo
raggiunse.
-Come ti chiami?- era
tanto flebile che il ragazzo, seppur con un udito finissimo, quasi non
la sentì.
-Murtagh- rispose
voltandosi a guardarla
Aveva alzato il viso
ed adesso lo guardava con occhi cerchiati di rosso, spiritati un
po’ per le lacrime trattenute un po’ per la febbre.
Era, inoltre, mortalmente pallida.
-Murtagh.. quel
Murtagh?- gli chiese
-Ne conosci altri?-
commentò freddamente lui, sedendosi di botto sul letto e
lasciandosi andare ad un sospiro di stanchezza.
Earine,
dall’altro lato della stanza, piegò la testa da un
lato, pensierosa.
-Sai cosa diceva mio
padre di te?-
Lui la
guardò senza dir niente, ma lei lo prese per un tacito
invito a continuare.
-Che sei schiavo del
tuo stesso destino- continuò a lei, con voce sommessa
–Imbrigliato in cose più grandi di te che non
riesci a controllare. Non un carnefice, una vittima-
Murtagh
continuò a non rispondere, fissandola con sguardo perforante
ed indagatore. Non aveva il diritto di dire certe cose, gli
richiamavano alla mente le parole di una persona a lui familiare..
-Però sai
che ti dico? Io non sono d’accordo-
Lo sguardo della
ragazza adesso bruciava di determinazione e ira.
-Per fare certi atti
ci vuole consapevolezza. Non si possono uccidere degli innocenti a quel
modo senza essere in qualche modo accondiscendenti. Tu sei un
assassino- la ragazza pronunciò le ultime parole con
determinata lentezza, come a voler far comprendere meglio il concetto
al suo interlocutore.
Murtagh si
infilò sotto le coperte, ignorandola, e spegnendo la luce
nel piccolo lume accanto al letto con una parola dell’Antica
Lingua.
-Buonanotte- disse e
si rigirò dall’altro lato.
Eppure, nel silenzio
della notte, Murtagh quasi riusciva a sentire il sordo dolore
martellare nel petto della ragazza.
_______________________________________________
Ehssì, gentile pubblico, mi sono anche data ad Eragon
ùù che volete fare, sono una persona dalle molte
passioni ** ma andiamo al dunque. Pochi giorni fa stavo girovagando per
la cartella video di mio padre e.. sorpresa! Eragon il film. Attirata
nuovamente da draghi e simili, me lo sono visto, tutto, poi in camera
ho riafferrato il libro e me lo sono riletto. Poi ho ri-iniziato Eldest
e.. eccoci qui xD ritorno di fiamma!
Devo dire di aver letto parecchie Fic su Eragon, e davvero non mi
aspettavo certi lavori davvero molto belli. Che dire, spero solo di
essere alla vostra altezza ragazzi ç-ç sappiate
da adesso che aggiornerò settimalmente e, in caso di
problemi o simili, posterò per poi la prima parte con il
dovuto avviso.
Che altro c'è da aggiungere? Ah si, un grazie a chi commenta
e a chi legge, come sempre. Siete il nutrimento degli scrittori
<3
Si comincia <3
Amaerize: Grazie inanizutto per i
complimenti, di certo sono graditi ** si, non ho mai scritto prologhi
così corti, però questa volta ho voluto mandare
un messaggio diverso dal solito. Più misterioso, ma al tempo
stesso evidente. Prendetelo come una voce fuori campo della
protagonista <3 Grazie ancora!
Baci
honeyS: Eccoti allora il primo
effettivo capitolo *___* sono felice che ti abbia intrigata, era
proprio il suo scopo <3 grazie mille per i complimenti!
Besos
-Vì
|