Titolo:
Nel giardino
del Ministro
Personaggi:
Cornelius Caramell
Generi:
Malinconico,
introspettivo
Note
personali:
1)
Il Medimago Ackerley
non è un OC: Stewart Ackerley viene realmente citato durante
la
Cerimonia di Smistamento del Calice di Fuoco (pag. 156, edizione
italiana).
2)
La stanza 847 non è
stata scelta a caso. Digitando le cifre 8, 4 e 7 con un qualsiasi
cellulare, si ottiene la parola vip. Ho voluto
imitare il
codice 62442 (aka magic) che conduce dalla cabina
telefonica
stregata al Ministero della Magia.
3)
La storia si è classificata prima (con notevole shock
dell'autrice) al contest Forgotten
(happy) endings indetto da Collection
of Starlight.
C'era
stato un tempo in
cui Cornelius era stato qualcuno.
Qualcuno
di veramente
importante, davvero, poiché non c'era nessuno che non
conoscesse il
suo nome. Nessuno, in tutta la Gran Bretagna, ignorava chi fosse
e cosa rappresentasse.
Era
un tempo diverso,
il suo.
Cornelius
inclinò il
capo con una smorfia pensierosa e scrutò fra i tulipani e i
ciclamini del suo giardino.
A
volte, credeva di
amare il profumo dolciastro della fioritura, la brezza impalpabile
che scuoteva le fronde rosee dei ciliegi e il sentiero di terra che
s'intrecciava tortuoso fra le siepi. Poi, si ricordava di quell'altro
tempo e odiava quel dannato giardino tanto da odiare la
stessa
primavera.
La
stessa vita.
Sollevò
il braccio
destro, posò il palmo grinzoso sul vetro della finestra e fu
attraversato da un brivido freddo.
Gelido.
Desiderò
che il
giardino ghiacciato che lo teneva prigioniero si sciogliesse.
Prigioniero
della neve a primavera.
Nessuno
avrebbe dovuto
dimenticarsi di lui.
Del
profumo della vita.
Cornelius
annuì al
proprio riflesso con espressione risoluta.
«Io
sono il Ministro
della Magia».
Ma
era un altro tempo,
il suo.
Nonostante
quelli della
Manutenzione Magica avessero incantato le finestre di quell'ala del
San Mungo per mostrare un florido prato primaverile, l'aria era
satura di impalpabile gelo.
Il
nuovo reparto per
lungodegenti si estendeva lungo la parte occidentale del vecchio
edificio. Era la zona più tranquilla e silenziosa
dell'intero
ospedale (e come avrebbe potuto essere altrimenti? Non c'erano
né
bambini capricciosi né vittime di magie accidentali
né Medimaghi
ansiosi e frenetici). C'erano solo le mura – bianche, fredde
e
asettiche – e quell'atmosfera di soffocante
religiosità.
L'uomo
era stato
avvisato che avrebbe avuto difficoltà a parlare con il
paziente
della stanza 847, ma aveva insistito ugualmente con il Medimago a
capo del reparto, un tizio dall'aria annoiata di nome Ackerley.
Mentre
attraversava a
passi nervosi il lungo corridoio, si interrogava sui motivi che lo
avevano condotto lì. Da mesi, ormai, si riprometteva di
visitare
quel vecchio reietto, ma ora che aveva finalmente trovato il coraggio
di farlo, desiderava solo cambiare strada e insabbiare nuovamente la
voce della propria coscienza. Non era sicuro di sapere perché
avesse preteso tanto di parlare con lui. Non era nemmeno certo di
avere qualcosa da dirgli, in effetti.
Ho
mai realmente
avuto qualcosa da dirgli?
Si
aggiustò gli
occhiali sul naso, fece un respiro profondo e abbassò
cautamente la
maniglia.
Cornelius
Caramell
sedeva su una poltrona di vimini davanti alla finestra, con addosso
solo una vestaglia color porpora dai risvolti sciupati. La sua
schiena era curva ed i capelli scendevano radi
sulle spalle.
Teneva le dita nodose intrecciate in grembo e gli occhi persi fra i
ciliegi immaginari del parco.
È
sbiadito nel tempo.
Il
visitatore estrasse
la bacchetta magica dalla cintura ed Evocò una seggiola di
legno
accanto all'anziano mago. Più ne osservava il volto sbiadito
e più
si convinceva di guardare la persona sbagliata.
«Signor
Caramell?» lo
chiamò in un sussurro ansioso, inclinando appena il capo.
«Signor
Ministro?».
Le
palpebre di Caramell
tremarono impercettibilmente. Ruotò il collo con una
lentezza
estenuante e gli rivolse un'occhiata impassibile.
«Signor
Ministro, si
ricorda di me?».
Dovette
attendere
pazientemente qualche minuto e ripetere un paio di volte la domanda,
prima che le labbra dell'anziano mago si storcessero nell'ombra di un
lieve sogghigno.
«Harry
Potter»
mormorò debolmente con voce gracchiante.
«Sì,
signore»
rispose Harry con affettata gentilezza.
Socchiudendo
stancamente gli occhi, Caramell tornò a scrutare con aria
distante
il paesaggio oltre il vetro lucente.
«Ti
piace il giardino,
Harry?» gli chiese improvvisamente.
«Sì,
signore. È
davvero molto bello».
«Sciocco»
ribatté il
vecchio, scuotendo la testa con un sorriso sfrontato. «Non
è un
vero giardino. Sai cosa questo
significhi?».
«No,
signore».
«Nessuno
si cura di
lui».
Harry
s'irrigidì. Non
era preparato per la piega che quella conversazione stava prendendo
–
qualunque essa fosse. D'un tratto, si rimproverò per
l'azzardata
scelta di recarsi in quella stanza. Non c'era alcun
motivo per
il quale lui dovesse essere lì.
Eppure, dopo aver saputo del repentino peggioramento delle condizioni
di salute di Cornelius Caramell, il mostro della coscienza aveva
alzato la voce e non lo aveva più abbandonato.
L'errore
è stato
suo.
«Vedi
quel salice,
laggiù?» indicò con un vago cenno del
capo Caramell. «I suoi rami
piangono perché lui non ha mai avuto il coraggio di alzarsi.
Oh, la
natura è così umana,
talvolta».
«Lo
è, signore».
Caramell
lo scrutò con
espressione greve.
«Tu
sai chi sono io?».
«Cornelius
Caramell»
annuì Harry con una smorfia triste. «Il Ministro
della Magia».
Il
volto di Caramell si
distorse in un sorriso di ebbra allegria.
«Prima,
sì»
ridacchiò. «E poi, no».
«Non
capisco,
signore».
«Guarda
il mio
giardino» disse, indicando distrattamente un punto indistinto
fra i
cespugli e i rovi. «Ti piace?».
Harry
sospirò
rassegnato, si tolse gli occhiali e si massaggiò debolmente
le
tempie. Nonostante non fosse ancora certo del perché avesse
provato
quell'immane desiderio di vedere Caramell, si era ormai convinto che
sarebbe rientrato a casa con l'animo ben più oppresso di
quando ne
era uscito.
Caramell
se ne era
andato e l'uomo con cui tentava di parlare era soltanto una triste
impronta divorata dal tempo. E lui, Harry, stava perdendo il proprio
rincorrendo qualcuno che non esisteva più.
«Ti
piace il mio
giardino?» ripeté con insistenza Caramell.
Harry
fece un lieve
cenno affermativo con la testa.
«Sì,
signore»
rispose con voce atona. «Ha un giardino molto
bello».
«Quando
sono nel
giardino, là fuori, io sono
il Ministro della
Magia. Ma qui...» aggiunse, sollevando gli occhi al
soffitto
bianco e mostrando i palmi delle mani verso la parete,
«...sono solo
io. Tutto il giorno. Io».
«Signor
Ministro, non
so fin dove lei possa capirmi» disse Harry, esitante,
«ma voglio
che lei sappia che mi dispiace. Avrei dovuto agire
diversamente quando mi è stata concessa l'occasione. Avrei dovuto,
forse». S'interruppe per umettarsi nervosamente le labbra.
«Ma
avevo diciassette anni e la ritenevo più colpevole di quanto
fosse.
Non è mai stato un uomo cattivo, in fin dei conti, ed io ho
concesso
la clemenza a maghi e streghe dalla coscienza molto più
sporca della
sua».
«Oh,
no, Harry Potter.
La colpa non era loro».
Harry
inarcò appena il
sopracciglio sinistro.
«Prego?».
«La
colpa era di
coloro che guardavano il mio salice ed i suoi bassi
rami. Lo
guardavano, mese dopo mese, giorno dopo giorno, chinarsi sempre
più
verso la terra. E nessuno – nessuno – che si
decidesse ad
aiutarlo a rialzarsi verso il sole. E quando le sue foglie arrivarono
a sfiorare i fili d'erba, decisero che non valeva più la
pena di
guardare. Oh, tante furono le idee di ciò che si sarebbe
dovuto
fare!» esclamò con gli occhi sgranati.
«Alcune perfino argute. Ma
tutte dopo, Harry Potter. Dopo che il mio salice
era caduto e
nessuno lo guardava più. E il tempo – ah, il
tempo! - era già di
un altro».
Con
un respiro
profondo, Harry si alzò in piedi e si lisciò una
piega immaginaria
sui pantaloni scuri. Si costrinse a sollevare il capo verso
l'anziano. Sentì il proprio disagio aumentare nel vedere
l'espressione di assente gaiezza di Caramell. Deciso ad interrompere
quell'infruttuosa e deprimente conversazione, tese rigidamente la
mano destra. Caramell parve studiare con estrema attenzione il suo
gesto di congedo, come se stesse tentando di capirne il significato.
Guardò Harry con un sguardo benevolo e sorrise.
«Se
non mi dovessi
trovare più, Harry Potter, cercami in giardino. Sotto le
fronde del
mio salice. È il mio posto preferito».
Harry
annuì
meccanicamente.
«Arrivederci,
signor
Ministro» terminò laconico, abbassando il braccio
con aria
sconfitta.
Mentre
si avvicinava
rapidamente alla porta e si chiedeva per quale motivo lo avesse
salutato con un “arrivederci”,
la voce di Caramell si levò
roca nella stanza e lo costrinse a fermarsi.
«Ti
piace il mio
giardino, Harry Potter?».
Harry
serrò le dita
con forza attorno alla maniglia di ottone, senza trovare il coraggio
di voltarsi un'ultima volta verso di lui.
«Sì,
signor Ministro.
È un giardino molto bello».
«Sì»
annuì
Caramell, sfiorando con i polpastrelli il vetro della finestra.
«Sì.
È davvero un giardino molto bello, il mio».
Cornelius
Caramell si
era addormentato da poco, quando sentì qualcuno scuotergli
con cauta
insistenza il braccio sinistro.
«Signor
Ministro?» si
sentì chiamare. «Signor Ministro, è ora
di andare».
Nel
dormiveglia,
Cornelius mugugnò qualche ordine incoerente e
tentò di girarsi sul
fianco destro. Era così stanco che non aveva nemmeno voglia
di
maledire quel fastidioso uomo, chiunque egli fosse.
«Signor
Ministro, la
prego di alzarsi» ripeté con urgenza la voce.
«Si sta facendo
tardi e non possiamo iniziare senza di lei».
Sebbene
a fatica,
Cornelius dischiuse piano le palpebre e tentò di riconoscere
un
volto noto nel profilo contorto di quel seccatore. Notò una
chioma
rosso fuoco e fece una smorfia indispettita.
«Weasley»
mormorò
seccato. «Perché mi hai svegliato?».
Percy
Weasley si
aggiustò pomposamente gli occhiali sul naso e si
allontanò dal
letto. Cornelius lo osservò avvicinarsi alla finestra della
sua
stanza e scrutare con un sorriso deliziato verso il giardino.
«Dobbiamo
andare,
signor Ministro» disse. «Aspettano solo
lei».
Cornelius
fece uno
sbuffo stizzito e si liberò dalle coperte candide. Era
piuttosto
scocciato all'idea di dover rinunciare ad un'altra notte di sonno ma,
d'altronde, era pure sempre il Ministro della Magia. Raggiunse il
giovane davanti alla finestra e sistemò meccanicamente il
nodo alla
cravatta.
«Il
suo cappello,
signor Ministro» disse Percy, tendendogli la bombetta verde
acido.
Se
la infilò
rapidamente sulla cima della testa e scavalcò la finestra
prima con
una gamba e poi con l'altra.
«Per
tutte le
sottogonne di Morgana» si lamentò.
«Weasley, ricordami di dire a
quelli della Manutenzione Magica che queste entrate secondarie sono
da rivedere assolutamente».
«Io
l'ho sempre detto,
signore».
Si
avviarono a passi
lesti lungo il piccolo sentiero sterrato. Il vento scuoteva appena
l'erba verdeggiante e i ciclamini. Gli allori e le ginestre
brillavano al mite sole primaverile e i ciliegi in fiore emanavano un
aroma piacevolmente dolciastro tutt'intorno.
«È
una bella
giornata, almeno».
«Lo
è, signor
Ministro. Le piace il giardino?».
«Sì»
rispose
gentilmente. «È davvero un bel giardino. Ben
fatto, Weasley».
Mentre
procedevano nel
loro cammino, Cornelius iniziò a scorgere i primi presenti.
Al suo
passaggio, Griselda Marckbanks chinò educatamente il capo.
Lui
ricambiò il cortese saluto. E Mafalda Hopkirk, con quel suo
buffo
mantello rosso, e poi Perkins, Cresswell, Diggory, Mockridge e quel
pazzo di Newt Scamander, perfino.
Lentamente,
la numerosa
folla giunta dal suo Ministero della Magia
iniziò ad
applaudire. Passando loro davanti, Cornelius fu pervaso da un'immane
senso di soddisfazione.
«Buongiorno,
signor
Ministro!» gridava qualcuno.
«Ottimo
lavoro, signor
Caramell!».
«Eccezionale,
Ministro! Eccezionale!».
Cornelius
sorrise
radioso e sollevò le mani al cielo, mentre camminava lungo
il
sentiero del giardino e superava un buffo salice dai rami alzati.
Era
il suo tempo,
quello.
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