Africa
centrale, 1855
Il
sole stava sorgendo sul vasto altipiano, creando lunghe ombre nere fra
le fronde dei radi alberi della savana. Nei vasti prati tra le nodose
acacie e i possenti baobab non vi era traccia di nessun animale. Era
tutto immenso nel silenzio del primo mattino.
I soldati avevano iniziato a marciare da un paio di ore, cantando i
loro cori che spezzavano l'immane silenzio. Erano diretti ad un
villaggio tribale nei pressi delle cascate dedicate alla loro regina
Vittoria.
Una volta avvistate le capanne, le avrebbero bruciate e ne avrebbero
catturato gli abitanti, aumentando il numero dei
negri che seguivano incatenati l'uno all'altro il manipolo degli
Inglesi.
La savana era una terra arida e povera di cibo. Quando uno dei
prigionieri moriva di stenti, fuggendo così al suo destino
di schiavo, i soldati non lo seppellivano. Lo spogliavano dei pochi
beni rimasti e, dopo una rudimentale depilazione, l'arrostivano al
fuoco. La gustosa testa era riservata alla truppa, mentre i resti degli
arti venivano concessi agli indigeni, che osservavano questo orribile
rituale senza più emozionarsi.
Il caldo opprimente di quei giorni aveva fatto delirare gli uomini,
rendendoli meno coscienti e liberandoli da ogni inibizione. La prossima
preda sarebbe stata la valvola di sfogo degli istinti più
sanguinosi del predatore.
Il piccolo Joseph era andato a caccia di scimmie verso mezzogiorno. I
suoi genitori non si spaventavano più se si avventurava da
solo nel bosco ai piedi delle grandi cascate. Sapevano che loro figlio
era coraggioso e abile, nonostante avesse solo otto anni. Joseph si
arrampicò con agilità su un albero di baobab,
facendo attenzione a non spaventare la scimmia che vi si era nascosta.
La caccia gli dava un piacere enorme. Quando prendeva la preda fra le
sue mani e la fissava negli occhi terrorizzati provava un senso di
invincibilità e lo sferrare colpi col sasso appuntito era
per lui la liberazione della propria libidine più feroce.
Ora la scimmia si era rifugiata sulla sommità dell'albero.
Per Joseph non era molto difficile raggiungerla, ma doveva essere il
più cauto possibile e ciò richiedeva un certo
impegno.
Stava saltando verso un ramo, quando si sentirono in lontananza colpi
di fucile e schiamazzi di gente. Cadde rovinosamente a terra. Il
bambino disperava nel ritrovare la scimmia e si concentrò
allora ad individuare la fonte del rumore sempre più
crescente. Quello che vide da dietro un cespuglio fu la prima delle
spaventosi visioni a cui dovette assistere.
Una lunga nuvola di polvere procedeva per la savana e puntava al
villaggio. Al centro si riconoscevano degli uomini non molto alti, con
una strana uniforme rossa e dalla pelle bianca. In mano avevano lunghi
fucili, molti dei quali sparavano verso gli abitanti del villaggio, che
si erano già accorti di tutto e iniziavano a gridare
disperati. Alla fine della colonna, Joseph vide alcuni suoi simili
legati con catene che procedevano lentamente in un penoso corteo.
Sembravano morti ritornati in superficie dalle viscere della Terra.
Iniziò
a correre verso casa il più veloce possibile, graffiandosi
con i rovi e sporcandosi tutto. Non sapeva perchè stesse
tornando al villaggio, forse sperava di poter salvare i genitori.
Qualcosa però gli diceva che era troppo tardi. Il bosco era
esteso e i soldati erano di sicuri già arrivati. Ma lui
continuava a correre a più non posso.
L'aria iniziò ad essere impregnata del fumo dei roghi,
mentre le grida si facevano più vicine. Inciampò
in un sasso. Joseph lo osservò meglio e scoprì
con orrore che quello era un braccio umano mutilato. Capì di
essere giunto al villaggio. Si trovava nello spiazzo centrale, invaso
dal fumo e dalla polvere. Uomini dalla camicia rossa entravano nelle
capanne, ne portavano fuori gli abitanti e poi le bruciavano. Nei visi
terrorizzati riconobbe amici e parenti, che lo fissavano come se
volessero dirgli di fuggire. Ma lui rimaneva in piedi al centro della
turba, paralizzato dalla paura e dallo choc.
Una mano lo afferò alle spalle e lo tirò indietro.
"Guarda John, che bel negretto!"
" Ah ah ah, lo uccidiamo o vuoi farlo soffrire un pò?
Sarebbe un peccato non vederlo piangere"- la mano di un altro uomo gli
aveva preso il viso e lo tastava con violenza - "Sai una cosa?
Mettiamolo insieme agli altri schiavi, al mercato nero i ricchi froci
pagano fior di sterline per giovanotti così!"
"Hai sempre ragione John, incateniamolo e poi continuamo a divertirci
con gli altri negri."
Con una forte presa gli tesero le mani all'indietro e gli misero delle
pesanti catene. Joseph non sapeva perchè non avesse reagito.
Aveva però temuto di morire, ma sentendo quella lunga
discussione in quell'idioma sconosciuto, aveva posto un'ingenua fiducia
nei due soldati. Lo scaraventarono in un angolo e lo lasciarono
lì.
Poi i due uomini iniziarono a perquisire altre capanne,
finchè non entrarono in quella dei suoi genitori. Rimasero
dentro un tempo che per Joseph sembrò infinito. Si sentirono
urla, scossoni, risate, colpi di fucile. Joseph ormai sapeva di essere
solo al mondo e di non avere più speranza di rivedere i suoi
genitori. Pianse.
I due inglesi riemersero all'esterno.
"Hai ragione sulla prestanza
fisica dei negri! Hai visto quanto è lungo
questo coso!" - il soldato con aria divertita mostrò
all'altro un lungo pezzo di carne nera penzolante - "Poi John, le negre
sono delle vere puttane, te la danno anche se le stai uccidendo."
"Ah ah ah ah ah ah!" - la risata beffarda era un linguaggio che anche
Joseph capiva.
I due entrarono di nuovo nella capanna e uscirono tenendo fra le mani
una testa mozzata
"Ora giochiamo un pò a calcio! Tieni!"
"Presa, era un tiro semplice, prova questo" - la lunga gamba
sferrò un calcio alla testa, formando una parabola nell'aria
polverosa e acre.
Quel tetro pallone colpì Joseph e rimbalzò vicino
a lui. Il bimbo riconobbe il viso della madre, con gli occhi aperti in
una smorfia di estremo dolore.
|