Memories
Memories
Avrebbe
voluto cancellare il tempo. Avrebbe voluto rifugiarsi in semplici
ricordi; viveva di quelli.
Guardava
suo fratello e in quei profondi occhi nocciola rivedeva se stesso; se
stesso ed un milione e più di immagini che tornavano a farsi
nitide nella sua mente. Sorrideva perchè le ricordava.
Sorrideva perchè lo rendevano ancora vivo. Sorrideva perchè
suscitavano in lui estrema tenerezza.
Il
pianto di un bimbo di circa cinque anni era tutto ciò che si
poteva udire in quel giardino.
«Tom?
Hey, Tom, dove sei?» chiamò la madre, intenta a cercare
suo figlio, seguita dal secondo che se ne stava teneramente accollato
alla sua gonna. «Eccoti qua, piccolo. Che è successo?»
domandò la donna, inginocchiandosi davanti al bambino in
lacrime, mentre il fratellino sbirciava da dietro la sua schiena, con
un ditino in bocca.
«Mi
– mi sono fatto la – la pipì addosso.» singhiozzò
il piccolo, sentendo montare la vergogna dentro di sé.
«Oh,
tesoro. Non preoccuparti, capita!» lo rassicurò la
madre, piuttosto intenerita, prendendolo per la manina. «Come
mai ti sei fatto la pipì addosso?» chiese
successivamente, mente camminavano verso la porta di casa.
«Ho
visto un ragno e mi sono spaventato.» balbettò il bimbo,
strofinandosi un braccio sugli occhi e tirando su con il naso, mentre
il fratellino lo seguiva incuriosito.
Tom
aveva sempre avuto il terrore dei ragni e quello fu il primo episodio
a segnalarlo. Aveva sempre provato un po' di vergogna per se stesso
nel ricordarlo e spesso preferiva che nessuno lo facesse. Eppure Bill
trovava tutto quanto così tenero e privo di qualsiasi motivo
di vergogna.
Chiuse
gli occhi, tornando a pensare al primo giorno di scuola. Era tutto
così nuovo e strano per loro...
«Tom,
ma cosa dici? Il risultato è due, non cinque!» un
bambino moro, di circa sette anni, sbattè la manina sul
quadernino dove erano riportati una serie di piccoli calcoli, troppo
complicati per lui ma decisamente troppo semplici per un qualunque
adulto.
Il
gemellino, seduto affianco a lui e goffamente ricurvo sul suo foglio
scarabocchiato, alzò il capo ricoperto di folti capelli
biondicci, per specchiarsi negli occhi del moretto.
«Non
è vero, Bill, ho rifatto la somma tre volte e mi viene sempre
cinque!» ribattè quest'ultimo contrariato.
«Scommettiamo
che ho ragione io?!» detto questo, il moretto – più
comunemente chiamato Bill – prese a calcare nuovamente la sua
matita contro un pezzo di carta, mordendosi la lingua in segno di
concentrazione, e ripetendo quel calcolo così dubbio.
«Ecco!
Ecco, hai visto?! Avevo ragione io!» esclamò nuovamente
Tom, mostrando una sentita linguaccia al fratellino. Bill gonfiò
le guance, divenute improvvisamente color porpora, e decise di
rispondere a quella provocazione con una pacca dietro al collo di
Tom. Quest'ultimo adottò un'espressione quasi scioccata e
ripetè il gesto con un bel concentrato di forza in più,
al che Bill si alzò dalla sedia – di qualche centimetro più
alta di lui – e si voltò ad aprire il cassetto della cucina
per recuperare un'enorme padella, suscitando così le risate di
suo fratello.
«E'
più grande di te!» rise Tom, piegandosi su se stesso,
con le lacrime agli occhi, prima di ricevere una forte padellata
sulla testa che lo stordì per qualche secondo.
Non
ci volle molto per far sì che quella normalissima giornata di
compiti e studio si trasformasse in una vera e propria rissa
all'ultima padella.
Soffocò
una lieve risata.
Non
era l'unico episodio in cui era accaduto qualcosa di simile. Litigi
così violenti ed irrazionali erano tipici di casa Kaulitz a
quei tempi. Eppure non erano del tutto svaniti negli anni. Vi erano
giorni in cui lui e suo fratello Tom ripetevano alcune immagini
appartenenti solo al passato. Forse non subentravano padelle, ma era
certo che per la cucina volassero posate di vario tipo da una parte
all'altra della stanza.
Eppure
si erano sempre accettati l'un l'altro. Il loro rapporto era sempre
andato oltre ogni screzio, com'era giusto che fosse, ed il bene che
provavano a vicenda era decisamente più forte di ogni altra
cosa. Neanche una ragazza avrebbe potuto scatenare il loro la
competizione.
Da
minuti interminabili stavano giocando nell'enorme giardino che
circondava casa loro. A soli dieci anni, scherzavano azzuffandosi a
vicenda, mentre una bella bambina della loro stessa età li
osservava divertita, ridendo di tanto in tanto.
Improvvisamente
il moretto decise che era arrivato il momento di bere qualcosa di
fresco, così, dopo aver annunciato il suo momentaneo ritiro in
casa ai suoi due compagni di gioco, corse in cucina a recuperare una
bottiglietta d'acqua che si portò maldestramente alla bocca.
Si asciugò le poche gocce che erano scivolate lungo il suo
mento e ripose la bottiglietta al suo posto. Proprio mentre usciva
dalla cucina, gli venne in contro il biondino.
«Bill,
l'ho baciata!» esclamò quest'ultimo entusiasta. Il
moretto sgranò gli occhi e sorrise contento. Mentre il
fratellino svaniva in bagno, lui uscì in giardino, dove trovò
la bambina a giocherellare con una ciocca di capelli. Marciò
con sicurezza verso di lei, la prese per le spalle e posò
innocentemente le labbra sulle sue.
Il
loro primo bacio. L'avevano dato praticamente insieme. Tutta la loro
vita l'avevano trascorsa insieme. Avevano vissuto dell'altro attimo
dopo attimo, senza lasciarsi sfuggire nulla. Il loro era un rapporto
speciale, che andava oltre il semplice legame familiare.
Osservò
meglio il ragazzo dai cornrows color pece, seduto sulla poltrona di
fronte a lui, intento a seguire un programma televisivo di cui
personalmente non conosceva l'esistenza. Si concentrò a
studiare quel volto dai lineamenti così delicati eppure così
mascolini. Il cambiamento che esso aveva apportato era notevole. Così
come il look che aveva scelto di adottare, proprio come lui, a
dispetto di tutti i divieti imposti dalla madre Simone.
Quanto
avevano fatto penare quella povera donna...
«Che
diavolo avete fatto?!» l'urlo di una bella donna, dai capelli
biondi e gli occhi nocciola – proprio come quelli dei suoi figli
ormai dodicenni – si levò davanti all'entrata di quella
villetta di Lipsia. Davanti a sé i suoi “bambini” avevano
azzardato a fare ciò che aveva sempre severamente vietato,
sebbene non proprio esplicitamente.
Il
suo piccolo Bill la guardava con un'espressione quasi ingenua sul
volto. Il suo sopracciglio destro era trapassato da un anellino
metallico; i suoi occhi erano contornati di un colore nero, molto
pesante; le sue unghie dipinte dello stesso colore cupo.
Al
suo fianco Tom sorrideva beffardo. Il suo labbro inferiore era
contornato da due palline metalliche mentre il suo esile corpicino
era coperto da vestiti di almeno tre taglie più grosse della
sua.
Simone
sbattè ancora qualche attimo le palpebre, pregando mentalmente
perchè quell'assurdo spettacolo fosse unicamente frutto della
sua immaginazione; ma con suo grande dispiacere dovette accettare il
fatto che si trattasse proprio della cruda realtà.
«Ti
piace?» domandò ingenuamente Bill, con un radioso
sorriso stampato sul volto.
«Mi
– mi piace?» ripetè la donna incredula. «Filate
immediatamente in camera vostra e scordatevi di uscire per il resto
della settimana!»
Alla
fine era stato facile farle cambiare idea. O meglio, farla adeguare
ai fatti. Col tempo aveva imparato ad apprezzarli per le loro
stranezze e presto quelle “stranezze” erano diventate delle
caratteristiche positive che, se non fossero state presenti, non
sarebbe stata la stessa cosa.
Li
aveva sempre affiancati ed incoraggiati in ogni loro decisione;
persino il giorno in cui avevano deciso di creare un gruppo musicale
e viaggiare per il mondo.
Sorrise.
Ne
avevano passate davvero tante insieme ma avrebbero dovuto vivere
ancora un sacco di meraviglie e dolori. E l'avrebbero fatto
supportandosi, come sempre. Le loro anime avrebbero per sempre
vissuto unite, più forti ogni giorno.
Si
alzò dal divano e si avvicinò a Tom: si era reso conto
di quanto tenesse a lui e non glielo avesse mai – o raramente –
dimostrato a parole o gesti affettuosi, nonostante fosse piuttosto
scontato.
Si
abbassò verso di lui, gli prese il viso fra le mani e gli
schioccò un affettuoso bacio sulla guancia morbida.
Il
moro rimase esterrefatto per quel gesto così inaspettato e
decisamente inusuale tra di loro. Alzò lo sguardo su di lui,
osservandolo con infinita curiosità negli occhi, in cerca di
qualche strana spiegazione.
«Ti
voglio semplicemente bene, fratellino mio.»
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