-Who
is the evil?-
Un Missing
Moment ambientato cinque
anni prima dell’inizio della
storia, che riprende i pensieri di Saitou, appena assunta, e dei suoi
colleghi, messi in relazione con quelli della Diclonius Lucy,
imprigionata della sua unità di contenimento del laboratorio.
FanFiction classificata
4° e Vincitrice del Premio "Miglior Sviluppo del Tema" al
Contest "Riflettori sui
cattivi" indetto da
AkaneMikael sul
Forum di EFP
FanFiction vincitice degli awards come "Best Ficlet", "Best Plot", "Best Villain" e "Best Fan Fiction" al ventinovesimo turno dei Never Ending Story Awards
Qui gli altri Awards vinti
«Loro sono cavie. Sono troppo pericolosi per essere lasciati
liberi, per questo vengono studiati e monitorati nel nostro
laboratorio».
“Questa
è
la nostra prigione. Molti di noi non
hanno mai visto il mondo esterno, e moriranno tra queste fredde mura,
riscaldate solo dal sangue delle vittime che riusciamo a mietere con
quelli che gli umani chiamano vettori.”
«Loro vivono solo per uccidere, uccidere noi uomini. Per
questo possiamo trattarli come vogliamo».
“Voglio
solo un posto
dove poter vivere… senza
dolori, né sofferenze.”
«Loro sono mostri, e si chiamano Diclonius».
“Loro
sono mostri, e
si chiamano… Umani.”
-Titolo: Who
is the evil?
-Autore:
XShade-Shinra
-Fandom:
Elfen Lied
-Genere:
Introspettivo, Malinconico, Dark, Sci-fict
-Rating:
Giallo
-Avvertimenti:
Missing Moment, One-Shot
-Disclaimer:
Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non
esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti
in essa narrati. Inoltre questi personaggi non mi appartengono
(purtroppo...), ma sono proprietà dei relativi autori;
questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma
solo per puro divertimento.
-Note: La
trama è divisa in due parti principali: la parte raccontata
con il P.o.V. di Saitou e, successivamente, quella con il P.o.V. di
Lucy.
Ho deciso di articolare in questo modo la FF per far capire meglio al
lettore i diversi punti di vista, le tematiche e le motivazioni che
spingono i diversi personaggi ad agire in quel determinato modo.
La particolarità della trama dell'opera "Elfen Lied"
[mi sono basata sull’anime anziché sul manga per
una questione di semplicità per quanto concerne
l’IC di Lucy, molto più fredda
nell’anime al contrario del manga, dove è molto
più sadica e psicopatica], ho voluto mostrare sia come la
vedono gli scienziati che come la vedono i Diclonius,
perché, a seconda che si tifi per la scienza o per le cavie,
la parte del vero cattivo si attribuisce diversamente. Potrebbero
essere anche entrambi o nessuno dei due… Ciò lo
lascio decidere a voi.
Buona lettura!
- Who is the evil? -
25
Gennaio 2011
La Silpelit #4 si
tocca
le piccole corna a punta e gioca con i propri capelli. Sembra piccola e
indifesa, trema e sta rannicchiata su se stessa, con le ginocchia a
coprirle il tronco nudo. Rimane ferma per ore così, anche
per dormire.
Le catene le
pesano ai
polsi e alle caviglie, procurandole delle piaghe.
Solo dopo diverse
ore da
quando le viene consegnato il cibo attraverso la porticina a tenuta
stagna, i
suoi vettori lo afferrano con lentezza, mentre gli occhi rimangono
vacui e spenti, come se fosse morta. Porta il cibo alla bocca e lo
mangia con svogliatezza, ma ancora nessuna espressione.
Dopo doversi anni
in
questo laboratorio, sembra che il soggetto #4 non abbia più
voglia di vivere.
Dott. Kakuzawa
|
«Questo rapporto è così strano...
» mormorai, mentre rovistavo nell’archivio,
accucciata tra le carte del suo superiore.
Ero stata da poco assunta in quel laboratorio, quel bunker
sull’isola, e mi era già stato affidato un compito
molto importante: diventare la madre adottiva della Silpelit numero
trentacinque, Mariko. Era solo una neonata e avrei dovuto badare a lei
in modo che diventasse buona come la Silpelit numero sette, Nana,
così da essere meno pericolosa una volta che avesse
sviluppato i propri vettori, all’età di tre anni.
Era importantissimo cercare innanzitutto di rendere docili quei mostri,
senza però ucciderli o causare danni alla loro crescita, o
non sarebbero più stati di utilità alcuna per gli
studi che si conducevano entro quelle quattro mura, al segreto di tutti
e da tutto.
Il rumore di un tonfo, seguito da un qualcosa che si infrangeva e un
gemito di dolore, preannunziò l’arrivo di
Kisaragi, la segretaria del supervisore Kurama. Si era laureata
all’Università Toudai a pieni voti, ma era una tal
pasticciona…
«Tutto bene, signorina Kisaragi?» le domandai,
alzandomi e raggiungendola nell’andito.
«Ehm, sì!» rispose, alzandosi un
po’ dolorante. Notai che aveva infranto l’ennesima
tazza di tè per il suo superiore.
Mi aveva riferito di non aver mai visto dal vivo un portatore, ma,
grazie al suo ruolo intimo con Kurama, era capace di carpire molte,
moltissime informazioni, anche se le teneva sempre per sé,
come voleva il suo ruolo.
«Hai visto il dottor Homori, per caso?» le
domandai, guardando a destra e sinistra, mentre le mie trecce ballavano
sulla schiena.
«No» pigolò con un goffo inchino.
«Ora mi scusi, dottoressa Saitou, ma devo asciugare questo
disastro!» mormorò, girandosi e correndo verso lo
sgabuzzino, probabilmente per prendere uno straccio, ma cadde
nuovamente lungo distesa, raschiando il mento in terra.
«Ah, Kisaragi!» esclamai preoccupata, ma lei si
rialzò subito.
«N-Non è ni-niente… Non è
niente!» farfugliò, marciando lungo la sua strada.
Scossi il capo e proprio in quel momento sentii i passi di qualcuno
dietro di me che si avvicinava.
«Scusa per il ritardo» la voce alle mie spalle era
quella dell’uomo che stavo aspettando, il dottor Homori.
Mi girai composta, sorridendo.
«Non si preoccupi» dissi, avvicinandomi a lui.
«Ti trovi bene qui?» mi domandò, non
senza notare lo sfacelo che c’era in terra «Hai
conosciuto Kisaragi, noto…»
«L’avevo già incontrata ieri»
dissi, stringendo il plico di moduli e la cartellina per gli appunti.
«Ora andiamo nella stanza di Mariko, per favore»
richiesi al collega, cominciando a camminare verso il laboratorio
superblindato contenente la Silpelit. «Voglio iniziare subito
a conoscerla e a badare a lei» sorrisi.
«Già la chiami per nome…»
notò. «Sarà un lavoro duro…
Ti ricordo che sono creature molto pericolose…» mi
spiegò, facendomi strada. «Api operaie che hanno
come unico scopo quello di servire la loro regina, uccidendo gli
umani».
«Non è un problema» sorrisi ancora.
«Se quella bambina dovesse darci dei problemi, la faremo
brillare».
«Hai già saputo che le sono state innestate delle
bombe per tutto il corpo?» mi domandò, sorpreso.
«Sì. Durante il colloquio con il direttore
generale Kakuzawa, che mi ha dato questo incarico, mi sono state
spiegate molte cose. Prima, infatti, ero nell’archivio per
cercare qualche informazione in più su come fosse andata la
crescita degli altri portatori».
Ero stata scelta dal direttore generale in persona. Mi aveva detto che
possedevo gli atteggiamenti, il sorriso, e soprattutto la voce ideale
per compiere questo delicato lavoro. Non avrei mai visto Mariko dal
vivo - le avrei sempre parlato attraverso dei microfoni nella sala
controllo -; il mio compito sarebbe stato semplicemente quello di farle
da insegnante ed essere per lei una figura materna, come Kurama lo era
con Nana. Avevano accertato che in questo modo la crescita del soggetto
era migliore e sembrava più pacifico. Una figura familiare
era necessaria per loro: tutti gli esseri viventi hanno bisogno di un
punto di riferimento per poter sopravvivere, in special modo se
così piccoli.
«Speriamo di non doverla menomare, una volta fuori
dall’unità di contenimento»
borbottò lo scienziato, sospirando tristemente. Sembrava
quasi che gli dispiacesse fare del male a quelle creature; mi era stato
detto che anche sua figlia nacque con le corna e venne uccisa dal
supervisore Kurama…
«Ma è proprio sicuro che non vedrò mai
Mariko?» domandai. Un po’ mi dispiaceva…
Non certo per lei, visto che si trattava pur sempre di un mostro, un
assassino in fasce, ma per me. Visto l’alto rischio di
trasmissione del virus dei vettori, avevano scelto me, una donna, per
questo compito, ma non ero la sola figura femminile là
dentro. Se non fossi stata ritenuta adeguata, mi avrebbero tolto la
portatrice numero trentacinque e con essa la possibilità di
studiare meglio i Diclonius.
«Penso se ne riparlerà tra cinque anni,
più o meno» borbottò. «Quando
inizierà ad essere usata per gli esperimenti sulla forza dei
vettori. Se avrà fatto un buon lavoro, avrà
ancora bisogno delle sue cure».
«Comprendo» annuii.
«E se andrà male, ci saranno sempre le mine
anticarro calibro cinquanta. Meglio uccidere uno di quei mostri che
rischiare anche solo una delle nostre vite».
Continuammo a percorrere il lungo corridoio, illuminato dalle luci al
neon che sfarfallavano appena, parlando sempre di Mariko,
finché non giungemmo davanti ad un andito verso il quale mi
girai, attratta da tutte le paratie e i sistemi di emergenza che ivi
erano.
Il dottor Homori notò che il mio sguardo si era soffermato
per un attimo di più verso quel corridoio, e rispose alla
domanda che non mi sembrava opportuno porre.
«Lì c’è la Regina»
breve e coinciso.
Sbiancai a quel nome.
«La Regina…» sussurrai, avvertendo poi
la mano del collega che mi si posava sulla spalla.
«Andiamo» sussurrò.
«Sì!» annuì, tenendo la
cartellina contro il petto e procedendo insieme a lui.
~†~
Dalle
profondità del luogo dove mi avevano rinchiusa,
precludendomi ogni cosa del mondo esterno, continuavo a vivere nel mio
perenne stato di torpore, come la calma prima della tempesta.
Mi chiamavano
“la Regina” e dicevano che le Silpelit erano le
operaie al mio servizio.
Poveri stolti.
Se la forza di un
sovrano si dovesse basare solo su quelli che loro chiamano
“sudditi”, allora sarei già morta qui,
in questa cella. Grazie ai miei poteri potevo avvertire la presenza
delle Silpelit rinchiuse in questa prigione e la mia rabbia cresceva
ogni giorno di più nel vedere come ci trattavano quegli
umani; coloro che non ci hanno mai voluti nel loro mondo e ci hanno
trattati come malattie, da studiare e debellare.
I nostri vettori non
sono nati per essere delle armi, ma come organo
riproduttore… però, voi ci avete costretti ad
usarli come mezzo di devastazione, e tutto per poter sopravvivere alla
vostra crudeltà e alla vostra paura del diverso.
Perché quando voi avete distrutto il mio mondo, che mi ero
creata con tanta difficoltà, io vi ho uccisi, facendo un
patto con il mio animo oscuro: insieme ci saremo create un luogo
perfetto. Perché, in fondo, io avrei solo voluto vivere come
voi: avere degli amici, avere qualcuno che mi amasse, poter
giocare… essere felice. Anche il più miserabile
essere umano sogna la felicità; perché io non
posso averla?!
Ora mi trovo qui,
confinata in queste fredde mura, dove nessuno mi si avvicina se non a
più di due metri di distanza, portata massima dei miei
vettori. Se solo avessi qualcosa da poterli lanciare
addosso… Mi basterebbe qualsiasi cosa: una penna, ghermita
dalle mie braccia fantasma, si tramuterebbe in un proiettile, capace di
trapassare i loro crani e darmi qualche secondo di godimento.
Qui non posso fare altro
se non pensare… Pensare al mondo esterno, al mio cane ucciso
davanti ai miei occhi dai compagni dell’orfanotrofio solo
perché posseggo delle corna… Come Aiko, che
è morta perché era mia amica e mi ha salvato da
un cecchino che io non avevo visto.
Aiko…
È per lei che
ora sono qui. Pur di salvarla, barattai la mia vita per la sua,
accettando di farmi rinchiudere in questo posto da Kurama,
così che lei fosse portata in ospedale.
Però… a nulla valsero i miei sforzi: Aiko
morì e con lei l’unica amica sincera che avessi
mai avuto. L’unica umana degna di stima, l’unica
persona in questo mondo che valesse tutto questo Inferno in un posto
dove mi tengono immobilizzata e segregata, senza potermi muovere, senza
aver niente da vedere a parte il buio e qualche guardia, senza nessuno
con il quale poter parlare… senza un po’ di
calore.
Una persona normale
avrebbe già perso la ragione, ma quella ormai mi era stata
già soppressa anni or sono… e tutto per colpa di
Kouta… quel ragazzino che prese in giro il mio
cuore… Ma Kouta ha già pagato per il male che mi
ha fatto, lo stesso male che ho giurato di fare a Kurama: vivere. Loro
due continueranno a vivere, mentre tutti i loro cari moriranno sotto i
loro occhi. Appena uscirò da qui, la prima a morire
sarà Kisaragi e subito dopo Yuka, la cugina di Kouta, che me
l’ha rubato.
Non si
salverà nessuno: vi massacrerò tutti, fino
all’ultimo.
Così, in un
mondo senza uomini, noi Diclonius potremo vivere in pace, senza
né guerre, né paure.
La Regina
libererà se stessa, poi le altre la seguiranno, e regneremo
in un mondo perfetto.
«Ehy,
mostro!» la voce di una guardia che mi chiamava in tono
aggressivo, mi arrivò come uno schiaffo, strappandomi dai
miei muti pensieri.
Dai piccoli fori che
avevo per vedere il mondo esterno, notai che avevano portato una pompa,
così da potermi lavare. Non per spirito pio e caritatevole,
ma solo perché non gli ammorbassi l’aria e non mi
ammalassi.
«Non fare
scherzi» mi disse, tra l’impaurito e il nervoso.
Nonostante fosse coperto da un collega armato fino ai denti, mi temeva.
Perché sapeva da quel loro manuale che studiavano a memoria
che per me era facile ucciderli, più facile che ammazzare
una mosca o affogare un bambino indifeso.
Aprirono il flusso
dell’acqua e iniziarono a lavarmi così, come fossi
un animale, con l’acqua gelida e senza nulla per potermi
asciugare.
Mi hanno da sempre
trattata come una bestia, ed io come tale mi comporterò:
riducendo i loro corpi a degli ammassi di carne inanimata, colorata di
cremisi.
Per il momento
attenderò che arrivi il momento propizio per andarmene di
qui, impaziente di fare giustizia.
La mia giustizia.
E
la domanda, a questo punto,
sorge spontanea…
Chi
è il vero cattivo,
in tutta questa storia?
§Owari§
Who is the evil?
XShade-Shinra
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