Nota
pseudo-storica.
Akbar
il Grande (1542-1605) fu il terzo imperatore della dinastia Moghul.
Sovrano molto amato e appassionato uomo di cultura, durante il
proprio regno Akbar fondò un circolo intellettuale, il
Naveratna, parola sanscrita che significa “Nove
gioielli”. Il
circolo era composto da lui e da funzionari eruditi e fedeli; tra
questi si trovava Mahesdas Bhatt, soprannominato Birbal (grande
cervello).
Birbal
lavorò alla corte di Akbar dal 1556 fino alla morte, e fu
per
lui un fedele consigliere e carissimo amico. La sua grande
intelligenza e abilità nell'inventare soluzioni per ogni
tipo
di problema gli valsero una grandissima fama che ancora dura: Akbar e
Birbal sono infatti i protagonisti di una vastissima serie di favole
folcloristiche indiane estremamente popolari, tramandate di
generazione in generazione.
Birbal
cadde in battaglia circa vent'anni prima della morte di Akbar, mentre
combatteva contro alcune tribù afghane che minacciavano le
frontiere dell'impero Moghul. Si tramanda che la sua morte sia stata
il frutto di un tradimento; pare che la pericolosa manovra di entrare
nella gola – e quindi in un vicolo cieco dove gli avversari
erano
perfettamente organizzati – gli fosse stata comandata da un
ministro invidioso della sua posizione e del suo rapporto
privilegiato con Akbar.
Dopo aver avuto la notizia, l'imperatore si rifiutò di
mangiare, bere e presentarsi alla corte per due giorni interi.
L'unica
edizione italiana delle favole di Akbar e Birbal è la
traduzione, svolta da Marcella Maiocchi, dell'antologia di Eunice de
Souza, autrice ed insegnante indiana.
Petali
d'avorio
Un
lenzuolo di seta sembra essere sceso sulla terra, dove
le nivee pennellate della nebbia lavano via l'oro dal
bagliore del sole.
Nel
dolce canto dell'inverno, Delhi chiama a sé il silenzio e la
quiete perché i suoi abitanti gioiscano di una nuova pace,
timida e sottile, il cui cuore batte al ritmo della vita quotidiana.
La serenità è nei gesti, nelle
profondità degli
sguardi, ed accompagna il rullare lontano dei tamburi del tempo.
Tra
le strade quasi deserte della città solo pochi mercanti,
rannicchiati e infreddoliti sotto le loro tende, si curano del guizzo
scuro che passa tra di loro, o della scia di polvere che aleggia sopra
le
impronte degli zoccoli. Il pelo nero e lucente del cavallo ricorda
ancora le fredde dita di un'atmosfera lontana, quasi ignota, e porta
con sé il peso delle parole.
Il
messaggero imbocca la via per la reggia senza fiatare. I suoi passi
sono decisi, eppure tremano di più ad ogni gradino. Di
freddo,
di stanchezza, d'angoscia – e, mentre leva lo sguardo alla
cima della scalinata, di grande dolore.
Le
sete e gli arazzi non hanno lo stesso fascino di sempre. Tutto, ai
suoi occhi, sembra essere accarezzato da un pallido sospiro d'oblio.
Tuttavia,
Salim sa come affrontare quella sensazione. L'ha già
provata –
l'ha provata ogni volta che, attraversando quei tappeti, ha portato
con sé la consapevolezza di dover annunciare una disgrazia.
– Akbar,
mio Sovrano – si inchina senza fiato, cercando la
forza e le
parole nella brezza proveniente dalle vetrate. Il trono dorato
è
lì a pochi passi, ora immagine del potere e dell'amarezza al
tempo stesso.
– Bentornato,
amico mio. Ti ascolto –.
L'imperatore,
come al solito, sorride. Salim non ha mai smesso di ammirare la sua
forza, la sua impassibilità di fronte ad ogni evento, ogni
decisione difficile – ogni cattiva notizia.
– Vengo
dall'Afghanistan, come certo immaginate, sire – risponde
flebilmente. – Zain Khan mi ha incaricato di raggiungervi e
di
aggiornarvi, come è nostro dovere, sugli ultimi avvenimenti
riguardo alla guerra condotta con coraggio dal nostro
esercito in quei territori –.
Akbar
ha evidentemente colto la nota di ansia malcelata nella sua voce. Si
erige in tutta la sua altezza, con un profondo respiro, e lo invita
a proseguire con un cenno.
– Credo
di capire che non siano buone notizie – osserva con un tocco
d'amarezza. –
Se è
così, Salim, ti invito a riferirmi quanto devo sapere senza
timore –.
– Ebbene,
sarà così, mio Sovrano –.
I
suoi occhi sussultano ancora verso il basso, prima di incontrare i
fieri lineamenti di Akbar. Non è l'attesa a inquietarlo, non
più: è la sua fine, e il terribile peso del
messaggio
ancora conservato dietro le sue labbra.
– C'è...
c'è stata una terribile strage nella gola di Malandari,
Signore. Nel pericolo e nel terrore, in ogni occasione, il valore dei
nostri uomini è stato tale da non
potersi esprimere a parole. Nonostante ciò, Sire... le
perdite sono state gravissime. Molti dei migliori tra i nostri
soldati sono deceduti combattendo laggiù, per difendere la
loro patria. –
Il silenzio è calato in tutta la sala. Persino i servi
attendono immobili, tesi nell'atto di chinarsi o di porgere una carta a
qualche funzionario.
– Non è tutto, Sire. È mio
doloroso incarico riportarvi un'ultima, tragica
notizia... –
Il
messaggero non ha la forza di mantenere il capo eretto.
– Mio
Sovrano... Raja Birbal è
morto assieme a loro –.
Akbar
tace. Tuttavia, Salim lo sa, il suo silenzio significa molto
più
di qualsiasi risposta.
Quella
mattina, la corrente dello Yamuna era insolitamente tranquilla, come
in un naturale segno di rispetto per la vedova inginocchiata sulla
riva. Akbar e Birbal passarono di fianco alla piccola famiglia quasi
inosservati, due taciti spettri chiusi al di fuori del loro dolore.
La
donna sembrava aver perso, nell'osservare le ceneri del marito
disperdersi in acqua, tutto l'incanto della sua giovinezza. Alcune
ragazze in lacrime le stringevano le braccia, mentre gli uomini, gli
occhi vitrei persi
nell'orizzonte, guardavano lontano.
Akbar
ritornò sui suoi passi tacendo, quasi cieco ai lunghi
sguardi
del suo consigliere. Solo molto tempo dopo –
cogliendo
di sorpresa persino lui – l'imperatore riuscì a
parlare di
nuovo.
–Dicono
che le donne piangano molto più di noi uomini
perché
sono deboli – sussurrò al vento, osservando le
cime degli
alberi. – Cosa ne pensi, Birbal? –
L'hindu
rifletté per diversi istanti prima di rispondere.
– Ha
lottato alla stregua di un eroe. Ve lo posso giurare... l'ho visto con
i miei stessi occhi, Sire –.
– Si
dice anche, mio Signore, che le lacrime siano segno di debolezza.
È
per questo, forse, che le donne sono considerate deboli
–.
Un profondo sospiro interruppe Birbal. Gli servì una lunga
pausa, ricamata d'aria e di vento, per poter riprendere il discorso.
– Eppure
io non sono d'accordo, Sua Maestà. Ho vissuto nel mondo
già
abbastanza per pensarci sopra. Come tutto ciò che proviene
dall'uomo, Sire, ritengo che le lacrime abbiano un valore –.
Akbar
si arrestò d'improvviso, volto verso il suo compagno.
– Spiegati
con calma, Birbal – sorrise dolcemente. – Io ti
ascolto –.
Da diversi
minuti, ormai, gli
occhi di tutti sono puntati sulla figura del
re. È fermo, quasi impietrito, senza dare alcun segno di
voler
parlare o muoversi. Tuttavia, Salim ha lavorato per più di
trent'anni alla corte di Akbar il Grande – per
un messaggero fedele e
attento, questo è più che sufficiente per
avvertire la violenta
tempesta in atto nel petto e nella mente del sovrano. Non è
la
prima, né sarà l'ultima, anche se è
una delle
poche ad averlo travolto con una tale energia. Ciò che
è
nuovo ai suoi occhi, ciò che non ha mai visto, è
il
velo lucente che sta accarezzando le iridi nere dell'imperatore,
ancora sottile, ma già lucido e potente.
–
Le lacrime, o Sire, non ci offendono, ma ci liberano. Sembrano
un'onta, e sono invece una gioia nel dolore, una liberazione che agli
uomini forti e coraggiosi è raramente concessa. Vengono dal
fango e dalla terra, ed hanno la lucentezza dell'avorio. Sono
gioielli, mio Signore, i più umili e splendidi che ci sia
dato
di vedere su questa terra –.
Akbar
aveva ascoltato senza poter proferire parola. Un altro nuovo mondo
si celava dietro quelle parole, un tesoro di gemme forgiate da quella
mente stupefacente.
La
guerra a quelle gemelle maree salate ha continuato lungo tutto il
filo dei pensieri di Akbar, e continua anche quando – forse
egli
stesso non sa, forse è solo Salim a saperlo –
brucianti
petali bianchi
iniziano a solcare il marmoreo viso del re.
Né
Akbar, né il messaggero, né altri nella stanza si
muovono.
– È
indubbiamente vero, Birbal – mormorò infine.
– Sei un
poeta e, come tale, vedi il mondo in un modo diverso – .
Quando
il consigliere si voltò di nuovo verso Akbar, una perla
vergine era scivolata lungo la guancia del sovrano. La
guardò
confondersi con la rugiada,
lungo i fili d'erba, e rise.
– Sono
contento di averti donato un gioiello, mio Signore – .
Salim
è confuso. Non riesce più a scorgere il fondo di
quell'animo sconvolto – la
bufera è in tregua, le acque sono
torbide, e solo ora Akbar si alza dal trono, fuggendo a passi gravi e
lenti le espressioni costernate dei cortigiani.
La
porta dorata si richiude davanti a tutti loro, lasciandoli soli con i
loro dubbi e i loro pensieri.
Ma
Salim non ode il parlottare sommesso che si diffonde sotto il
soffitto in un audace crescendo, non si cura degli sguardi
interrogativi che lo trafiggono da tutte le direzioni. Non vuole
sapere cosa pensino, né cosa domandino; perché al
fiume
impazzito del suo sangue è mischiata la sottile
consapevolezza
di aver visto compiersi un miracolo. Il miracolo più comune,
eppure il più
meraviglioso; un miracolo reso unico al mondo dalla pelle di un
viso regale, divino ed umano assieme, insanguinato di dolore per la
morte del più
caro e fedele amico che abbia conosciuto.
_____
Non aspettatevi accuratezza storica. Purtroppo, è un fattore
che non dovrebbe mai mancare, ma le fiabe di Akbar e Birbal sono
realistiche quanto questa storia, e mi pareva giusto e bello rispettare
quello
spirito di leggenda e affetto che le pervade. Amo le Amicizie capaci di
durare oltre la vita umana ed oltre i secoli, e la loro è
certamente una di queste.
Quanto alle meravigliose fiabe, sono perle di saggezza antica. Le ho
ritrovate oggi in una piccola biblioteca di scuola, e le ho amate di
nuovo, ora come nove o dieci anni fa. A mio parere è una
vergogna che non siano note quanto le fiabe dei fratelli Grimm o di
Andersen.
Lascio a voi tutti i commenti. Grazie.
Illustrazione di Stefania Pravato
|