Capitolo 2
CAPITOLO 2
L’estate era ormai arrivata; Berlino era un tripudio di colori, voci e… turisti!
Magda si era trattenuta più del solito in biblioteca, quel
giorno. Aveva un gran mal di testa, ma non se la sentiva davvero di
tornare a casa: non ora che sapeva vi avrebbe visto le valige sfuse ed
aperte che facevano bella mostra di sé sul pavimento.
Sospirò, si sedette e si accese una sigaretta, mettendosi a
pensare: perché mai aveva accettato? Sì, certo, andare in
vacanza era una cosa naturale, e poi stare un po’ con i suoi
amici le avrebbe fatto del bene… inoltre, a lei piaceva
parecchio il mare… e per finire, non aveva potuto dir di no alle
pressanti insistenze di Kurt!
Ancora una volta si ritrovò a pensare cosa provava verso quel
ragazzo; ed ancora una volta, la risposta fu limpida e chiara, senza
ombra alcuna di dubbi né di equivoci: amicizia. E nulla
più.
In fondo, dall’amicizia possono scaturire un casino di altre
cose, pensava; ed a lei era venuto fuori il senso di colpa. Sì,
questa era la prima volta che aveva il coraggio di ammetterlo con
sé stessa. Finalmente.
A be pensare, infatti, Kurt le aveva dato molto. Le aveva dato tutto.
La sua amicizia, il suo affetto, la sua totale disponibilità, il
suo aiuto sempre pronto ed incondizionato; con lei, non aveva mai
sbagliato una volta; o, se lo aveva fatto, si era poi fatto ampiamente
perdonare.
E lei?
Lo voleva bene, molto. Gli era grata, per averla sostenuta nel dolore,
insieme agli altri suoi amici. Ma non lo amava. E questo rimaneva un
dato di fatto.
Non si può scegliere chi amare, né tantomeno si
può costringere il proprio cuore a farlo, e lei ne era
più che consapevole. Spesso si domandava che coppia sarebbero
stati insieme… sicuramente una bellissima coppia: belli,
realizzati, apprezzati. Agli occhi del mondo, avevano tutto. Allora,
perché non provare a stare insieme, anche solo per poco? Sorrise
amaramente verso sé stessa, abbassando lo sguardo in un sorriso
sardonico: semplicemente, perché lei non poteva. Non ancora. Non più. Non adesso.
Non poteva amare di nuovo, mentre aveva ancora i cocci taglienti del
suo cuore in mano: sapeva che sarebbe stata una partita persa in
partenza. E non voleva ingannare Kurt. L’avrebbe fatta sentire
troppo in colpa nei suoi confronti.
Dall’altro canto, però, si sentiva ora in colpa per non averci almeno provato a far coppia con lui, quando tutto sarebbe invece stato così facile. E così dovuto, visti i rapporti che intercorrevano fra di loro ed il comportamento dolce di lui.
Imprecò mentalmente contro il suo animo spezzato in due, che da
una parte le inculcava la colpa verso l’amico di sempre, ma
dall’altra le aveva posto un paletto insormontabile
all’amore, il quale le aveva chiuso il cuore in una morsa gelida
quanto l’inverno, facendole intendere il provare a riinnamorarsi
(di Kurt o di chiunque altro) come una colpa terribile verso di lui, quasi un sacrilegio.
Lui…
Le sfuggì una lacrima, suo malgrado. Abbassò il viso.
Ted…
Lui era speciale. Lui era il suo uomo. Lui avrebbe dovuto essere il suo futuro. Lui era Ted.
E l’aveva lasciata per sempre, quel maledetto giorno di un
inverno lontano, quando le montagne della Baviera se lo erano portato
via, per sempre.
“Avanti, muovetevi, pelandroni! Il sole è già alto!”,
“Accidenti, ma tu non puoi
smettere la tua foga Yankee nemmeno in vacanza, amico? Non mi stupisce
che siate arrivati sulla Luna!”.
Karl se ne era rimasto seduto a
sorseggiare la sua cioccolata, con la sua solita calma serafica, con un
misto di stupore ed irritazione dipinto in volto; lei e Beate, ad un
angolo del tavolo, non potevano trattenersi dal ridere, osservando la
scena.
Lui era Ted Robson, un giovane
ingegnere Americano che aveva scelto di vivere e lavorare a Berlino:
veniva dal Nebraska, e da quasi un anno stavano insieme.
Kurt era lontano, all’epoca, in un elegante college in Irlanda.
Magda aveva conosciuto Ted per caso,
ad un convegno che si era tenuto una sera presso le sale della sua
biblioteca, dove lui aveva illustrato un paio di testi di ingegneria
che aveva scritti per le Università Tedesche. Era stato un amore
a prima vista, per entrambi.
E adesso, lei lo guardava con sguardo complice e sognante.
Il suo Ted: vivevano assieme da poco
tempo, ma a lei sembrava già di stare con lui da una vita; di
lui amava tutto, il sorriso dolce, lo sguardo innocente e pulito,
quella sua maniera unica di riuscire a sdrammatizzare tutto sempre e
comunque. Non avrebbe potuto trovare un uomo più adatto a
sé, diceva a tutti.
Quella era la loro prima vacanza
assieme: quando Karl e Beate avevano proposto loro di accompagnarli
sulle montagne della Baviera, loro, entusiasti, avevano subito
accettato: Ted era uno sportivo anche lui, ed aveva già una
discreta pratica di roccia sulle montagne rosse del suo immenso e
bellissimo Paese.
“Dunque, scalatore? Ieri sera
non vedevi l’ora di sfidarmi, ed ora sembra che tutta la grinta
ti sia andata via…” rise l’Americano,
“Ah, è questo che
pensi?”, l’altro si alzò dal tavolo, fingendosi
offeso “Ora vedrai! Ti darò del filo da torcere, parola
d’onore!”.
Le due ragazze avevano sorriso
compiaciute davanti alla finta spavalderia dei loro compagni,
pregustando invece una mattinata sulle piste da sci ed un paio
d’ore sdraiate al sole di montagna.
“Ciao, ragazzi!” aveva gridato Magda, salutandoli “Ci rivediamo all’ora di pranzo!”,
“O.K.! Ciao, baby!” le aveva risposto il suo uomo alzando un braccio.
Nessuna di loro due avrebbe mai potuto prevedere quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Trascorsero un paio d’ore.
Magda e Beate, dopo aver bevuto una cioccolata calda, aver fatto un
paio di giri in pista ed un salto dal trampolino, si erano sedute sulla
terrazza del grande albergo, ad osservare la folla di turisti che
andava e veniva in quella mattina di fine inverno.
Era una bella giornata di sole, non c’erano nuvole in cielo, né temporali o nevicate in arrivo.
Il sole era tiepido, nonostante la
stagione; Magda si era seduta vicino alla balaustra, per poter
osservare meglio le piste, e giocherellava con gli sci posati per terra
accanto a lei.
“Chissà dove sono arrivati!” fece Beate, riferendosi a Karl e Ted,
“… Mmmh… in cima a qualche montagna?”, le rispose l’amica,
“Probabile!”.
Entrambe scoppiarono a ridere.
“Ordiniamo un’altra cioccolata?”,
“Sì! Questa volta con biscotti, però!”.
Il cameriere raccolse
l’ordinazione, servendole quasi subito; avevano appena iniziato a
sorseggiare le loro bevande, quando videro un’ambulanza fermarsi
nel piazzale antistante l’albergo.
“C’è sempre qualcuno che sta male!” mormorò Beate,
“Probabilmente, qualche sciatore è uscito di pista” aggiunse Magda.
Due infermieri scesero
dall’ambulanza, reggendo una barella sulla quale stava distesa
una persona coperta fin sopra il viso; solo i capelli erano visibili, o
meglio una ciocca di capelli biondi che sfuggiva da sotto il lenzuolo.
Non seppe dire il perché, ma alla vista di quella ciocca di capelli, Magda provò un tuffo al cuore.
Rimase a fissare la scena dei due che reggevano la barella fin quando non furono entrati nell’albergo.
“Ehi, Magda, tutto a posto?” Beate la scosse per un braccio,
“Beate, ascolta… quando tornano Karl e Ted?”,
“Mah, non so… non prima di un paio d’ore, penso… ma non tarderanno per il pranzo, vedrai!”.
Ma un velo scuro aveva avvolto il cuore di Magda, quasi un presentimento.
“Scusate…” irruppe una voce alle loro spalle, facendole sobbalzare. Il cameriere di prima.
“Sì?” fece Magda, voltandosi, la voce che tremava,
“E’ lei la signora Schmidt?”,
“Che è successo?”, Magda era balzata in piedi,
“Ecco, sembra ci sia stato un incidente, signora…” il ragazzo era in evidente stato di disagio,
“Che incidente?”,
“Dovrebbe accomodarsi nel salone, signora…”.
Senza farselo ripetere, la ragazza lo
superò, spintonandolo, ed entrò nel salone, seguita da
Beate; vi trovò Karl, accovacciato accanto a quella stessa
barella che aveva visto arrivare dalla terrazza.
L’uomo alzò gli occhi
colmi di lacrime, mentre con una mano carezzava lentamente la ciocca di
capelli biondi che fuoriusciva da sotto il telo che copriva la barella.
E fu allora che Magda capì.
“No!”, esclamò, “No! Non è possibile, no!!”.
Beate abbassò gli occhi, che le si andavano riempiendo di lacrime.
“Karl! Come è potuto succedere?” Magda si era precipitata addosso all’amico,
“Io… non lo so, davvero!
Perdonami, Magda… è stato un incidente… la fune
della cordata si è rotta… lui ha cercato di aggrapparsi
ad una roccia, ma non c’è stato nulla da fare…
è finito su di uno sperone sottostante, dopo avere sbattuto con
forza contro la parete… si è spezzato il collo…
hanno detto… mi dispiace, Magda, perdonami… mi dispiace
tanto…!”,
“Ted! Ted, perché,
amore?”, Magda si era accasciata sul corpo dell’amato,
scoppiando poi in singhiozzi disperati.
Beate, dal canto suo, si era avvicinata allo sconsolato Karl.
E da quel momento, la vita di Magda era sprofondata in un abisso.
Da quel giorno erano trascorsi cinque
anni. Dopo il loro ritorno a Berlino, lei era stata molto male, al
punto da abbandonare il lavoro per un po’; tutti avevano cercato
d’aiutarla: Beate e Karl, innanzitutto, soprattutto lui che si
era sentito in parte responsabile per quanto accaduto; poi, anche Kurt,
informato del drammatico evento al suo ritorno in Patria, e la famiglia
di lei, amici e colleghi; e tutti si erano mostrati premurosi e
gentili, pieni di attenzioni verso quella che, da mesi, appariva
come un’inferma di mente, Magda.
Aveva passato due anni in quello
stato a metà strada tra l’incosciente e
l’allucinato; aveva anche iniziato a bere, non frequentava
più gli amici di sempre; poi, quel viaggio in Kenya; e, al suo
ritorno, una nuova lei; e la decisione di buttarsi il passato alle
spalle, almeno apparentemente.
Aveva ripreso a lavorare, a veder gli
amici, aveva smesso di bere; ma guizzi di vita ed entusiasmo, non ne
avrebbe avuti mai più: della sua vita, da quel momento in
avanti, sarebbe stata semplicemente spettatrice, e mai più protagonista.
D’altronde, non avrebbe più potuto riuscirvi.
La donna spense la sigaretta e sospirò; si domandò ancora
una volta perché avesse accettato di partire con gli altri; lo
aveva fatto per loro, o per sé stessa?
Bé, però almeno in una cosa aveva fatto chiarezza: era
stata lei a chiedere di cambiare la destinazione, e loro
l’avevano accontentata. Sarebbero andati a Palma de Maiorca, in
Spagna. Una vacanza di sole e di mare, quindi, di quelle fatte per non
pensare a niente.
Decise che era l’ora di rientrare. A casa doveva ancora finire di
preparare la valigia, e poi avrebbe telefonato alla famiglia per
avvertirli della sua assenza, che sarebbe durata un paio di settimane
solamente.
**********
L’aeroporto era gremito di gente, come in ogni giorno
d’inizio estate che si rispetti; dappertutto, passeggeri con
valigie grandi e piccole, guardie al lavoro, portabagagli.
In mezzo a tutto quello, stavano quattro persone, Karl, Beate, Magda e Kurt.
“Come mai tutto il mondo ha scelto di partire oggi?” si chiedeva Kurt, spiritoso come sempre,
“Faremmo meglio a metterci in fila, credo” Beate guardava
pensierosa una fila di turisti Giapponesi che si avvicinava ad uno dei
banchi del check-in,
“Proviamo in quel banco là” indicò Karl con
la mano agli altri “sembra non esserci troppa ressa”,
“Giusto, andiamo!”gli fece eco la fidanzata.
I quattro si avviarono.
Vestita con un semplice completo, camicia bianca e pantaloni alla
pescatora rossi, occhiali scuri sul viso, Magda li seguì,
tirandosi dietro la propria valigia; non stava dimostrando un grande
entusiasmo, lo doveva ammettere, eppure non riusciva proprio a far di
più: quella mattina si era svegliata con un’oppressione
indicibile, e nemmeno l’idea del bel luogo dove si stavano
recando era riuscita a risollevarla.
“Animo, Magda: stiamo andando in vacanza!” Kurt le diede
una leggera pacca sulla spalla; lei lo guardò, e gli sorrise.
Lui era sempre gentile con lei, non perdeva mai l’occasione di
farle sentire la sua vicinanza ed il suo sostegno; forse era per questo
che aveva deciso di andare con loro: per non deluderlo, per
ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto ed ancora avrebbe fatto
per lei.
Erano tornati a casa dopo i funerali; nel soggiorno, sparsi sul pavimento, giacevano ancora alcuni fiori sfuggiti alle corone.
Nell’aria aleggiava
quell’odore persistente e penetrante di fiori pietosamente
appassiti, che da sempre è connesso con l’idea della
morte, mentre i mobili disordinatamente sgombrati per far posto al
feretro, ora inquadravano uno spazio tristemente e desolatamente vuoto.
Magda se ne stava appoggiata al muro,
quasi volesse sorreggerlo con il proprio corpo, come se anche le pareti
della sua stessa casa stessero patendo lo stesso dolore che aveva di
colpo schiantato il suo cuore e la sua vita.
Indossava un abito nero, con sopra
una giacca dello stesso colore; i capelli erano raccolti in un semplice
chignon, a mostrare totalmente i lineamenti di un viso devastato dalle
lacrime.
Giorni e giorni di lacrime.
“Vieni, Magda, siediti!”
Kurt la prese per un braccio, conducendola verso una poltroncina che
aveva spostato in mezzo a tutto quel manicomio “Hai bisogno di
riposare, hai avuto troppe emozioni oggi”.
L’uomo l’aveva trascinata
letteralmente, data la scarsa collaborazione che lei gli aveva offerto,
praticamente priva di volontà com’era da giorni.
Aveva esaurito le sue lacrime e con
esse anche le sue energie: erano defluite via come un lento fiume che
l’abbandonava, fuggendo via dal suo corpo come fa il sangue da
una ferita troppo profonda.
Kurt l’aiutò a sedersi,
poi facendole una carezza sul viso inespressivo, le disse “Vuoi
che ti porti qualcosa da bere? Ne hai bisogno, sei così
debole! O preferisci mangiare qualcosa?”.
Lei non gli aveva risposto, gli occhi persi nel vuoto.
“Magda… so che è
difficile, ma bisogna andare avanti; la vita deve continuare…
credi che lui sarebbe stato felice di vederti così?”.
Ancora nessuna risposta.
Kurt scosse la testa; la sorella gli si avvicinò.
“Kurt, lasciala stare per
ora… vedrai che quando avrà fame, sarà lei stessa
a chiederlo…”,
“Storie!” aveva esclamato
lui sollevandosi (fino a quel momento era stato chino su Magda)
“Non vedi com’è ridotta? Se non la spingiamo un
po’, non mangerà mai niente!”.
Scansandolo leggermente ma senza mai guardarlo in viso direttamente, Magda si alzò dalla poltroncina.
“Cara… dove vai?” le chiese Beate, cercando di prenderla per un braccio.
“Lasciate… lasciate che metta ordine di là…”,
“No! Tu sei provata e stanca! Resta qui, ci pensiamo noi! Giusto, Kurt?”,
“Esatto, proprio così. Tu devi pensare solo a rimetterti in forze, ora”.
Lei lo guardò e gli sorrise,
gli occhi attraversati da quel leggero bagliore molle che è la
riconoscenza nel dolore.
“Kurt… caro Kurt…”.
Lui l’accarezzò di nuovo
“Devi farti forza, Magda. Noi siamo qui per aiutarti. E questa
notte resteremo qui, assieme a te; e così anche domani,
finché tu lo vorrai: non ti lasceremo da sola: mai!”.
A quel punto, la donna aveva
abbassato lo sguardo e mormorato un “grazie”, con un tono
di voce così basso, che solo chi era in grado di udire perfino i
suoi pensieri avrebbe potuto sentirlo. Soltanto una persona.
Kurt.
I due si scambiarono un lungo sguardo; un istante eterno.
“Magda, scusa…”
Beate ruppe l’incanto “ non riesco a trovare lo zucchero;
mi sai dire dove lo hai messo?”,
“Certamente” fece lei alzandosi per accompagnarla in cucina “Vieni, ti faccio vedere!”.
Kurt aveva osservato le due donne
sospirando: da troppo era innamorato di Magda, praticamente da sempre;
ma tra tutti i momenti, quello attuale era il meno adatto per
confessarglielo.
In cucina assieme all’amica, la
giovane si era un po’ distratta dal suo dolore; aveva cominciato
a mettere ordine negli scaffali, mostrando all’altra dove trovare
ogni cosa: voleva sembrare forte, più di quanto non fosse in
realtà; poi, proseguendo nel suo “ruolo”, si
indirizzò in camera da letto, seguita da Beate, per proseguire
le sue spiegazioni.
Ma, non appena entrata in quella stanza, il dolore aveva di nuovo avuto partita vinta su di lei.
Si avvicinò ad una sedia,
sulla cui spalliera stava ancora abbandonata malamente una delle
giacche di Ted; entrando, Magda non vi aveva fatto caso; ma
d’improvviso, gli occhi le caddero su quell’indumento,
neglettamente dimenticato; ed il dolore, impetuoso ed improvviso come
la piena di un fiume, invase di nuovo il suo animo.
Scoppiò a piangere sulla
spalla di Beate, dando libero sfogo a quel dolore che ancora premeva,
imprigionato, nel suo cuore.
“Magda, tesoro…”
sussurrò Beate all’amica che singhiozzava con la testa
affondata nella sua spalla; le accarezzò lievemente i capelli.
In quel momento, arrivò anche Kurt.
Ed insieme abbracciarono Magda, in silenzio.
Perché il dolore, molte volte, non ha parole.
Si diede mentalmente della stupida per aver permesso ai ricordi
dolorosi di prendere possesso della sua mente, un’altra volta; si
passò una mano tra i capelli, sollevando la testa.
Vide che Karl le stava facendo cenno con la mano dalla fila di un banco check-in; d’istinto, ricambiò quel gesto, e li raggiunse.
Chiedo
scusa per l'immane ritardo con cui aggiorno, ma questo che sto passando
è un periodo incasinatissimo; ad ogni modo, ecco il nuovo
capitolo.
Devo aggiungere che questa storia mi è stata ispirata da un
sogno, quanto meno nei capitoli centrali; ho quindi cercato di metterla
su carta, ma non so se ci sono riuscita, e fino a che punto. Aspetto,
quindi, i vostri commenti.
Kikkisan: bentornata
fra i miei lettori! Spero di aver soddisfatto la tua curiosità
con questo capitolo; almeno in parte, perché la situazione
è assai più complessa. In quanto alla Germania, anche io
la adoro, tant'è che all'Università scelsi il Tedesco
come seconda lingua (a proposito, dovrei rispolverarlo un pò...)
e l'ho visitata praticamente tutta.
Ninfea Blu: ti devo ringraziare come sempre, lo so che non manchi mai.
Nemmeno io, a dire la verità, amo le storie troppo sdolcinate,
mi sembrano poco realistiche; ma come vedi, le mie non lo sono mai (non
riuscirei nemmeno a scriverne). Kurt, in verità, ha ben poco a
che spartire con l'attore Kurt Russell (che pure è bellissimo),
per come l'ho pensato io, almeno: ha più il "viso d'angelo", e
se lo volessi paragonare a qualcuno, mi viene in mente Ralph Fiennes di
"Il Paziente Inglese".
Dolcissima77:
Benvenuta tra i miei lettori, e grazie dei tuoi complimenti! Spero che
la storia continui a piacerti. In quanto a Magda e Kurt... sorpresa!!
Un bacione grande a tutti, Tetide.
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