Another beat
of
my heart
Ho deciso di
scrivere questa storia. Ho deciso che per me è importante racchiudere questi
ricordi in un diario.
Sono una
ragazza asmatica. Sono sempre vissuta tra ospedali e medici, abituata all’odore
del disinfettante.
Il mio nome è
Asia Miyazawa. Buffo, no? Sono italo-giapponese, quindi sono diversa dalla
maggior parte degli abitanti di Osaka. Sono sempre un po’ stata strana
nell’aspetto, nel nome, nei miei problemi. Non ultimo il mio carattere
menefreghista e strafottente. A detta di alcune mie amiche sono anche un po’
impicciona. Non nascondo che attacco facilmente bottone con chiunque! Mia madre
dice che parlo anche con le pietre, ma, ovviamente, non credo di aver raggiunto
tale livello di pazzia.
Ho deciso di
scrivere per lasciare una traccia delle mie sensazioni e delle mie emozioni
sbocciate due anni fa e che ancora accompagnano la mia vita.
Ogni incontro
che facciamo lascia un segno negli anfratti più nascosti della nostra anima.
Per noi, questo segno, può assumere grande importanza o possiamo anche non
accorgerci del suo passaggio. Non siamo noi a deciderlo, ma il tutto è regolato
da una strana alchimia. Alcuni la chiamano più freddamente “chimica”, ma posso
assicurare che il nome non fa differenza. In ogni caso l’alchimia ci porta a
ricordare le cose più strane: alle volte ciò che ci rimane più impresso di una
persona può essere il suo profumo, quasi che fosse l’unica sensazione corporea
che ci abbia lasciato. Un ricordo che può essere piacevole, ma anche sgradevole.
L’alchimia.
L’alchimia mi porta a farmi gli affari altrui, a costringerli quasi a parlare
con me, anche solo del tempo. Credo che tutto ciò, per quanto mi riguarda,
dipenda dall’asma. Durante una crisi asmatica i polmoni si chiudono. L’aria non
li attraversa più. In quel preciso momento l’unico pensiero che mi attraversa
la mente è l’ossigeno. Il mondo intero perde la sua importanza. Per questo
semplice motivo, quando il mio corpo è capace di respirare e non ha un unico
pensiero in testa, io decido di pensare al mondo.
Vorrei conoscere ogni singolo
abitante della terra, ogni bambino, ogni donna, ogni uomo perché il mondo, a
volte, mi viene negato.
Il problema è che non sempre
trovo qualcuno che sia disposto a parlare con me, anche solo di futili argomenti.
Comunque, finché posso, io insisto.
Grazie alla mia insistenza due
anni fa ho conosciuto una persona che ha cambiato la mia vita.
Solito
noioso, stancante giorno di visite in ospedale. Il solito controllo. Il caso
volle che il dott. Misugi non potesse ricevermi, come sempre, il martedì
mattina. Così, incazzata nera, perché dovevo saltare il mio pomeriggio
settimanale al cinema, fui costretta ad accettare un appuntamento il giovedì
pomeriggio.
La
sala d’aspetto era piena di gente che non conoscevo, a parte le infermiere.
Fortunatamente la mia poltrona preferita, quella vicina alla finestra, era
libera. Mi sono seduta in piena tranquillità con il mio lettore CD a tutto
volume nelle orecchie. Non sentivo altro se non la musica. È bello vedere la
gente muovere le labbra, ma non udire alcuna parola: sembra di assistere ad un
film muto! L’unica mia paura, in quel momento, era di iniziare a canticchiare
ad alta voce le canzoni che mi sparavo in testa.
Stanca di osservare la gente,
iniziai a guardare fuori dalla finestra. Il giardino dell’ospedale era pieno di
fiori colorati e gli alberi erano carichi di foglie verdi. Tutto era baciato
dal sole caldo di maggio.
Ad
un certo punto devo aver iniziato a cantare. Sì, decisamente. Se ci penso
vorrei sprofondare!
Qualcuno ha tirato via dalle mie
orecchie gli auricolari. Mi sono voltata di scatto e ho incontrato due occhi
rossi fissarmi.
< Abbassa la voce! > ecco
cosa mi hanno detto quegli occhi. Il loro proprietario non proferì parola.
Occhi rossi. Quelli erano tutto
ciò che a primo sguardo era visibile. Tutto il resto del corpo del loro
proprietario era rigorosamente bianco: la pelle, i capelli, i vestiti.
In un primo momento mi sembrava
di avere davanti un fantasma, poi, essendo scettica riguardo questo argomento,
sono riuscita a mettere a fuoco i contorni di un ragazzo che, dopo quello
sguardo carico di significato, era ritornato alla lettura del suo libro.
< Ti chiedo scusa! >
sussurrai per non disturbare oltre. Ma lo strano ragazzo non disse nulla. Stavo
per rimettermi gli auricolari, quando un’infermiera chiamò ad alta voce:
< Ryuuou Gojuin! >
Sentii il ragazzo accanto a me
chiudere di scatto il libro. Si alzò con lentezza ed eleganza. Era molto alto,
non sembrava il classico giapponese. Mentre imboccava lo studio del dott.
Katagiri notai una lunga treccia che copriva tutta la lunghezza della sua
schiena.
Dopo
la mia solita, stupida visita di controllo (ogni mese non faccio altro che fare
la fila per soffiare in una cannuccia prima a dopo una stupida corsa sul posto)
tornai a casa pensando a quello strano ragazzo.
In
quel periodo scrivevo la mia tesi di laurea in lingue. Tutta la mia stanza era
ricoperta di libri, fogli, appunti e il mio computer era perennemente collegato
alla Rete. Mi sedetti davanti al suo schermo e cercai informazioni sugli
albini. Quel ragazzo doveva essere necessariamente albino. I suoi capelli e la
sua pelle non facevano che urlarlo a i quattro venti!
Ciò che mi tornava strano erano gli
occhi. Non era la prima volta che vedessi un albino, ma gli occhi rossi erano
una novità.
Eccolo qui! Il sito ufficiale
dell’ospedale. Non era possibile, qualsiasi cosa facessi i camici bianchi mi
perseguitavano… Solite notizie: assenza di melanina, capelli candidi,
fotosensibilità, problemi alla vista e…sì, occhi rossi. Beh, tutto sommato
sembrava normale. Sì, certo, secondo i miei canoni.
Quel
ragazzo mi affascinava.
Fuori
da qualsiasi mio comportamento, cominciai a bazzicare intorno all’ospedale ogni
volta che potevo. Volevo rivederlo. Volevo parlargli! Non mi sarei mai fatta
sfuggire una persona tanto particolare. Mi incuriosiva molto.
Inutile dire che non riuscii a
incontrarlo nemmeno una volta! In compenso alcuni infermieri cominciarono a
prendermi per una tossica…che mondo!
Erano ormai due settimane che
tentavo l’incontro del destino. Stufa di perdere tempo ad aspettare una persona
che non sapeva di avere un appuntamento con me, decisi di prendere la
metropolitana. Era una cosa che facevo spesso: andavo in stazione e salivo sul
primo treno in partenza. Tutte le direzioni andavano bene.
Lo
feci anche quel giorno. Da Ikuno-ku arrivai a Naniwa-ku. Questa era una parte
di Osaka che non frequentavo da anni. Tempo prima ci viveva uno zio di mio
padre. Morto lo zio la zona era
diventata sconosciuta. Girai per le strade senza una meta precisa. Era
pomeriggio inoltrato. Il cielo cominciava a tingersi delle luci e dei colori
del tramonto e la luna si intravedeva tra le nuvole.
Svoltato un angolo beccai un
negozio di libri e musica. L’ideale per distrarmi. Entrai. Era molto grande con
miriadi di libri su grandi scaffali. Lessi qualche titolo e, per curiosità,
cominciai a girarlo tutto. Si disponeva su due piani. Salii al piano superiore.
Un bel posticino ordinato.
Spulciando tra
i vari libri, trovai una versione originale di “Dracula”. Una lettura
interessante. Il libro, però, non aveva il tagliando con il prezzo. Dovevo
chiedere a qualche addetto. Guardandomi intorno notai una freccia su un
cartello che indicava il banco delle informazioni del piano superiore. Mentre
mi dirigevo da quel lato cominciai a sfogliare il volume, leggendo qua e là
qualche spezzone. Una volta arrivata al bancone, guardando ancora il libro,
cominciai a formulare la mia domanda.
< Scusi, qual è il prez… >
ma non la conclusi. Quando avevo sollevato lo sguardo aveva incrociato, per la
seconda volta, due occhi di brace.
< Ciao! > dissi con
entusiasmo < Sei il ragazzo dell’ospedale! Quello che mi ha tolto gli
auricolari! >
Il suo sguardo, nonostante i suoi
occhi fossero di un rosso talmente carico da sembrare infuocati e roventi, era
tremendamente freddo. Glaciale. Da brivido.
< Cosa posso fare per lei?
> mi chiese per tagliare corto. Una finta voce cortese. Ci rimasi male.
Riproposi la domanda per la quale ero andata al banco e, dopo aver ricevuto la
mia risposta (1300 ¥), mi voltai per andar via. Dopo tre passi, però, il mio
lato impiccione e strafottente e la voglia di non dargliela vinta, mi portarono
a fare marcia indietro.
< Il tuo nome è Ryuuou Gojuin?
> chiesi.
< Sì, e allora? > il tono
usato non lasciava trasparire emozioni, tranne, forse, il suo stato di
irritazione che pian piano stava montando.
E fu così che dissi una delle
cose più stupide della mia vita.
< Quando mi hai tolto gli
auricolari, stavo cantando? >
Credo che se avesse potuto mi
avrebbe ucciso.
< Sembrava di stare all’Opera
di Parigi. > disse laconico.
< In questo caso scusami! >
e piegai il capo in un leggero inchino. Approfittai della situazione e sparai
il mio nome < Che maleducata! Non mi sono ancora presentata: il mio nome è
Asia Miyazawa! Piacere di averti conosciuto! >
Decisi di togliere il disturbo.
Meglio non tirare troppo la corda.
Durante
il mio ritorno a casa riflettei su quel secondo incontro. Quel ragazzo aveva
lineamenti dolci, delicati, ma allo stesso tempo netti, ben definiti. I suoi
capelli cadevano morbidi sulla schiena e le sue mani sembravano ben curate e
delicate. Mani da artista. Insomma, per dirla tutta, mi piaceva!
Da
quel giorno, un paio di volte a settimana, andavo a curiosare in quella
libreria. Ovviamente, più che guardare i libri, guardavo quel ragazzo strano.
Le
settimane divennero mesi, finché arrivò dicembre.
Durante le vacanze di Natale
anche quel negozio si riempì più del solito. Le mie abitudini rimasero le
stesse: arrivavo al negozio e schizzavo al piano superiore. Mi posizionavo
nella stanza in modo da poterlo vedere. Ogni volta che arrivavo in cima alle
scale e mi scorgeva, mi lanciava uno sguardo interrogativo come per dire
“Ancora qui?!” poi tornava al suo lavoro.
Nella
settimana di Natale ci fu la svolta.
Avevo passato una pessima
giornata al lavoro: un lavoro da interprete davvero snervante, con un tizio che
parlava troppo, anche per i miei gusti!
Verso le 18.30 arrivai alla
libreria. Salite le scale trovai un libro interessante. Quel giorno, per mia
sfortuna, il ragazzo albino era molto impegnato: si muoveva con grazia infinita
(!) da una parte all’altra della sala, assecondando le richieste dei clienti.
Stufa di seguirlo, anche perché stavo dando un tantino nell’occhio, decisi di
accomodarmi su una delle comode poltroncine al centro della saletta, iniziando
la lettura del libricino che avevo in mano.
Il
tempo passava e io mi annoiavo. La noia mi portò tra le braccia di Morfeo. Un
leggero ticchettio sulla mia spalla mi fece aprire gli occhi. Davanti a me
Gojuin mi fissava con aria strana.
< Buongiorno! > mi disse.
Guardai l’orologio: le 21.34. il negozio a quell’ora era chiuso. Chiuso!?
“Maledizione!”. Mi alzai di scatto senza dire nulla. La sala era deserta, a
parte l’albino che metteva a posto alcuni libri.
< Non preoccuparti. Se aspetti
ti faccio uscire dal retro, anche perché l’ingresso principale è già stato
chiuso. >
Lo guardai e lo ringraziai.
Riposi il libro che avevo ancora tra le mani. Non potevo più comprarlo, perché
la cassa era chiusa.
< Perché vieni sempre qui? Mi
stai pedinando, per caso? > chiese, mentre riordinava.
< In un certo senso. Vorrei
avere la possibilità di conoscerti. Mi hai incuriosito quel giorno in ospedale.
>
< Ti assicuro che incuriosisco
chiunque. > disse, con chiara allusione al suo aspetto.
Non era difficile immaginarlo per
strada: tutti che si voltano al suo passaggio per osservarlo meglio.
< Ti da fastidio, vero? >
infondo, non poteva che essere così.
< Solo quando, oltre agli
sguardi, piovono commenti. Il resto è abitudine. >
Già. Immaginavo quali potessero
essere i commenti: poco lusinghieri e molto offensivi. La gente si voltava non
per semplice curiosità, ma per paura del diverso. Il solito stupido razzismo,
insomma. Un flagello difficile da debellare. Indubbiamente lui era a limite
della diversità, ma non poteva certo nascondersi, perché gli altri ne erano
spaventati! In fin dei conti per spaventare il prossimo ci vuole davvero poco.
< Immagino. Sei libero dopo la
chiusura? > forse quella era la volta buona.
< Perché? >
< Ti offro una cioccolata
calda! >
Accettò. Probabilmente perché non
aveva assolutamente nulla da fare e poteva perdere del tempo con una svitata.
Usciti
dal retro del negozio, imboccammo una stradina stretta, per sbucare sulla via
principale. Molta gente con tanti pacchi colorati tra le braccia si affrettava
per le ultime compere prima della chiusura dei negozi.
Il mio accompagnatore mi indicò
una piccola caffetteria. Entrammo. Un piacevole tepore ci raggiunse. Ci
accomodammo ad un tavolino accanto alla vetrata. Questa era stata decorata per
le feste con nastri colorati e neve sintetica. Una cameriera dall’aspetto
materno e un cappellino da Babbo Natale sul capo prese le nostre ordinazioni.
< Sono mesi
che giochi alla piccola investigatrice. > disse lui, mentre zuccherava il
suo caffè.
< Non lo nego! Ma se avessi
voluto, avresti potuto mandarmi via! >
Ponderò la risposta.
< Eri un’ottima distrazione.
> sentenziò, infine. Il suo sguardo era sempre distaccato. Non riuscivo a
capire perché.
< Grazie! Io, ultimamente, non
posso concedermele. Sono carica di lavoro! >
Mi guardò con aria interrogativa,
così continuai.
< Lavoro per la Mistubishi.
Sono un’interprete e mi occupo anche del controllo delle traduzioni delle
istruzioni degli apparecchi elettronici. Un mestiere affascinante! > dissi
con sarcasmo < Oh! Mi offro anche per traduzioni in lingua italiana,
inglese, francese, spagnola e tedesca! > sembravo una pubblicità!
< Nient’altro? > chiese
sarcastico a sua volta., inarcando un sopracciglio.
< Sto imparando cinese e
russo! > poteva sembrare uno scherzo, ma non lo era!
< Come mai? Non sono troppe?
>
< Affatto! Sono una persona
estremamente chiacchierona! Credo che tutto abbia inizio dal fatto che…sono
asmatica. L’asma mi ha precluso molte attività. Saltavo le ore di ginnastica a
scuola, non potevo correre, ballare. Dovevo trovare qualcosa da fare, così mi
sono data alla chiacchiera. Per evitare di restare a secco di parole… non
ridere!…se mi trovavo di fronte a persone che non conoscessero né il giapponese
né l’italiano, ho deciso di imparare più lingue possibili. >
< Conosci l’italiano? > chiese,
dopo aver smesso con le sue risatine. Ero tanto comica?
< Sì. Mia madre è italiana. È
innamorata dell’Oriente, non per niente ha sposato mio padre! Ma, come dire, a
me l’Oriente non basta! Io voglio il mondo! > dissi ammiccando < Tu,
invece? >
< Io? … lavoro a quella
libreria da quattro anni. Leggo parecchio e dipingo…niente di speciale. Diciamo
che anch’io, fin da piccolo, ho dovuto rinunciare allo sport e ad altre cose
del genere. >
< Posso farmi gli affari tuoi?
>
< Sono cardiopatico. Il
vincitore del festival della sfiga! > una frase senza entusiasmo, tono
piatto, sguardo fisso nel vuoto. Enigmatico.
< Potrebbe sembrare una
pessima battuta, ma c’è di peggio! > dissi per riportarlo alla realtà.
< Ma io non avevo finito! Non
ho mai conosciuto mio padre; so che è russo, ma nulla di più. Ultimamente ho
litigato con mia madre: non ci parliamo da tre anni. > e sorseggiò il caffè.
< Ok, hai vinto! > era una
ragazzo preoccupante. Ad un tratto disse una cosa che mi intristì molto, una
cosa che un ragazzo, che neanche un vecchio dovrebbe dire.
< Odio la vita. >
Abbassò lo sguardo. Pensai che
volesse piangere, ma forse, a suo tempo, aveva già versato tutte le lacrime che
possedeva, fino a consumarle completamente.
Volevo rimproverarlo per
l’assurdità che aveva detto, ma quella era soltanto la punta dell’iceberg.
Infatti continuò:
< Sono stanco di vivere tra
ospedali e medici. Per tutta la vita sono entrato e uscito da cliniche e studi
medici. Dopo otto bay-pass credo di essere arrivato al limite! Non mi resta
granché da vivere, forse neanche altri dieci anni. Mia madre…mia madre spera in
un trapianto, ma, secondo me, è stupido e assurdo attendere che qualcun altro
muoia per salvare la mia patetica vita… >
Non credevo alle sue parole…Non
volevo credere che un ragazzo potesse pensare tali assurdità!
< Credi davvero nelle cose che
hai detto? >
Mi guardò negli occhi.
< Lo sconforto può annebbiare
l’animo di chiunque. Bisogna combattere, stringere i denti! >
< Che ne sai della mia vita?
Che ne sai di quello che ho passato? Chi sei per dirmi cosa devo fare? > la
rabbia lo stava avvolgendo.
< Assolutamente nessuno!…Se la
pensi così, se disprezzi chi dona il proprio corpo a gente che non conosce
perché ama la vita e desidera che altri possano vivere ancora, sei davvero uno
stupido! > mi alzai dalla sedia < Pensavo fossi una persona migliore. Mi
sono sbagliata. Piacere di averti conosciuto. > e uscii, lasciandolo solo,
sperando che riflettesse su ciò che gli avevo detto.
Mentre
tornavo a casa la neve cominciò a cadere. Non sapevo se avevo fatto la cosa
giusta. Forse avevo esagerato o forse no. Fatto sta che mi aveva fatto
innervosire sul serio! Un giovane uomo che voleva morire! Roba da matti! Più ci
pensavo e più ero furiosa: con un pizzico di fortuna lui avrebbe potuto
risolvere i propri problemi, io, invece, sarei rimasta asmatica a vita. Avrei
voluto strozzarlo!
Passò
Natale e Capodanno. Dalla sera alla caffetteria non passai più dalla libreria.
A metà gennaio incontrai il ragazzo albino in ospedale. Aveva l’aria di
aspettare proprio me.
< Ciao. > disse, le mani
affondate nelle tasche del giaccone.
< Ciao! Non ci vediamo da un
po’! >
< Non sei più passata dal
negozio. Non rifilarmi la scusa della mancanza di tempo! >
< Non mi inventerò alcun tipo
di scusa. Mi hai fatto davvero arrabbiare e ho preferito non vederti per un
po’! >
< Scusami… > questa parola
mi giunse inaspettata. Non credevo che si scusasse, anche perché,
obiettivamente, non aveva fatto nulla nei miei confronti. Più che altro doveva
delle scuse a se stesso.
< Non ce n’è bisogno! Mi fai
sentire in imbarazzo! >
Camminammo
un po’ per le strade della città, parlando del più e del meno. Verso l’ora di
pranzo mi invitò a casa sua. Non dovevo lavorare, perché avevo chiesto n giorno
libero per la visita di controllo in ospedale, così accettai.
Aveva
un piccolo appartamento non lontano dal centro. Un posticino carino, pochi
mobili e molte tele vergini e altre dipinte. Ordinammo qualcosa al ristorante
cinese e intavolammo una discussione. Ad essere sincera non ricordo affatto di
cosa parlammo. Ero troppo impegnata a guardarlo. Gesticolava pochissimo e
sorrideva ancor meno, ma aveva l’abitudine di fissare negli occhi il proprio
interlocutore, come per leggerci le reazioni alle sue parole. Quando ero io a
parlare abbassava lo sguardo e annuiva.
< Mia madre mi ha chiamato.
> disse ad un tratto < Ha fatto inserire il mio nome nella lista dei
trapianti. >
< Mi sembra un’ottima idea!
Era questo il motivo per cui non vi parlavate, ho indovinato? >
< Sì. L’ho lasciata fare.
Credo che voglia provarle tutte per salvarmi. Lo farebbe qualunque madre per il
proprio figlio. >
< Ne sono convinta. Sono
contenta che tu abbia accettato. Cambiando discorso, posso vedere i tuoi
dipinti? > proposi, battendo le mani.
< D’accordo, ma non sono
ammesse risate. >
Non c’era nulla per cui ridere.
Continuo a pensare che quei dipinti sono magnifici. Sono pieni di colori, di
luce, di emozioni. Interamente sfocati, impressionistici con un solo
particolare dipinto in modo netto, deciso e chiaro. Gli occhi di un volto, la
finestra di una casa, un albero in una foresta, un fiore in un vaso, quasi che
in quel particolare fosse racchiuso il senso della vita.
< Molte volte nulla ha un
senso. > disse, dopo che gli ebbi comunicato la mia impressione.
Nulla di più vero. Il nulla.
< In me, in te…è nell’aria che
respiriamo,
nella sabbia che calpestiamo,
negli sguardi spenti della gente,
nei sorrisi incerti dei bambini,
nelle frasi sussurrate senza
convinzione da ragazze innamorate.
Il nulla ci circonda, denso,
appiccicoso…
È qui!
Tutto quello che ruota intorno a
noi,
le nostre illusioni,
le loro immagini riflesse dal
velo sospeso
del nostro oblio,
un semplice suono distinto a
stento
nel fragoroso frastuono del mio
quotidiano
silenzio…
tutto questo è perso, finito…
come il sogno dei miei ricordi
più intensi…
ora eccomi qui
a rincorrere i passi incerti
di un fantasma che non conosco
che pur mi terrorizza…
>
Finii di declamare questa poesia
letta qualche tempo addietro.
Ryuuou si avvicinò ad un
armadietto e ne aprì il primo cassetto. Tirò fuori un piccolo libricino azzurro
e me lo porse.
< Questa poesia si trova in
questo libro. È il libro che avevi in mano quando ti sei addormentata nel
negozio! >
Fui sorpresa dal fatto che ricordasse
questo particolare. Quei versi erano impressi nella mia mente da quel giorno,
per uno strano scherzo del destino.
< Il giorno dopo il nostro
litigio, l’ho comprato per te, ma non ho avuto occasione di dartelo. Qualche
giorno fa, pensando che non ti avrei più rivista, l’ho letto. La ricerca di un
bene superiore, che vada oltre il grigiore e il caos della nebbia. Una bella
metafora della vita! > e accennò un sorriso.
Quando sorrideva mostrava tutta
la sua fragilità. Non resistetti all’istinto di baciarlo. E il bacio, per
quanto possa essere un piccolo gesto, fuse le nostre anime, giocando con le
nostre emozioni. Il libro gli cadde di mano con un tonfo. Libero da
quell’impiccio, Ryuuou posò una mano sulla mia guancia e si staccò da me. Per
qualche istante ci guardammo negli occhi, scambiandoci parole silenziose.
Tentai di baciarlo nuovamente, perché soffrivo: volevo possedere ancora le sue
labbra e la sua bocca. Mi fermò. Il suo sguardo mi diceva che voleva qualcosa
di più.
I nostri
vestiti scivolarono sul pavimento, quasi che la forza di gravità volesse
inghiottirli, quasi che la nostra pelle rovente non sopportasse più il contatto
ruvido del tessuto. Carezze dolci e sensuali scorrevano sulla nostra pelle come
brezza d’estate. Nella sua nudità, nel corpo e nell’anima, mi parve un angelo.
La sua pelle nivea, quasi trasparente profumava di primavera. La delicatezza
del suo corpo introduceva nella mia mente pensieri sacrileghi, non adatti a
quell’angelo dolce e fragile. La sua fragilità. La sua fragilità mi spaventava:
temevo che potesse spezzarsi tra le mie dita, perché quel ragazzo mi sembrava
di puro cristallo. La seta dei suoi capelli sfiorava il mio corpo sotto di lui.
Affondai le dita in quei fili adamantini, leggeri, soavi.
Era inspiegabilmente sensuale
osservare il contrasto tra la mia pelle e la sua. Non è difficile immaginarlo,
ma in quel momento appariva netto e definito.
< Sei stranamente bello… >
gli sussurrai, la voce alterata dalle devastanti sensazioni.
Sorrise e quasi mi rimproverò in
un sussurro.
< Devi parlare anche adesso?
>
Non dissi più nulla. Ero troppo
presa dai suoi gesti, che mi portavano oltre la barriera del cielo. Nulla
rimase inviolato. Ogni centimetro della nostra pelle venne sfiorato, toccato e
baciato.
I gesti di quella sera sono
fuggiti dalla mia memoria. Le sensazioni sono rimaste. Non so quante volte
rompemmo gli argini del piacere, quante volte nell’estasi invocai il suo nome,
non conosco il numero dei baci, delle carezze, dei gemiti che sfuggirono alle
nostre labbra…contarli sarebbe impossibile.
Albeggiava, quando stremati
cademmo tra le coperte del suo letto. La treccia di Ryuuou si era sciolta
nell’ultimo amplesso e i suoi lunghissimi capelli erano sparsi sul letto e sul
cuscino. Ansimavamo ancora. Il silenzio avvolgeva le nostre anime.
Ryuuou si addormentò poco dopo.
Rimasi per un po’ ad osservarlo. Una profonda cicatrice distruggeva la sua
perfezione: il suo petto era segnato in modo indelebile dalla sua sofferenza.
Passarono
i giorni, le settimane, i mesi. ci frequentavamo assiduamente e spesso finivamo
a casa sua, nel suo letto.
Una
domenica mattina decidemmo di cambiare la nostra vita. Una svolta decisiva, che
avrebbe segnato la nostra esistenza.
Era ormai
maggio e l’aria si era fatta calda e frizzante. Soffiava un vento leggero e
fresco e il mare era lievemente increspato. Il porto era sgombro da qualsiasi
presenza.
< È già un anno che ci
conosciamo > esordì < Avrei una proposta da farti e spero che tu sia
disposta ad accettarla. >
Non sapevo dove volesse andare a
parare, così aspettai il seguito.
< Ho comprato una roulotte. Ho
intenzione di andare in giro per il Giappone. Vuoi venire con me? So che non è
il mondo, ma è pur sempre un inizio! >
< Un momento! > dissi <
Dove hai preso i soldi per una cosa del genere? >
< Ho venduto le mie tele e ho
dato fondo ai miei risparmi. >
< Sei impazzito? > ero
sconvolta. Era una pazzia, un gesto folle! Ma perché?
L’ultimo periodo non era stato
roseo: era stato male negli ultimi mesi; per due volte era stato ricoverato d’urgenza
per principi di infarto.
< Sai bene che la mia vita non
sarà mai lunga. Devo cogliere tutto ciò che posso! E subito! >
< Così non farai altro che
accorciarla! E poi…un trapianto la potrebbe rendere lunga, no? >
< E se non arrivasse mai in
tempo? >
Non ci avevo mai pensato. O
meglio, avevo sempre allontanato questo triste pensiero dalla mia mente. Non
avrei mai potuto accettare un evento simile. Sarei morta con lui piuttosto.
L’amore che provavo forse era troppo o forse non era abbastanza. Possessiva o
egoista?
Una morsa mi attanagliò
nell’animo. Abbassai lo sguardo: la mia vitalità scomparve del tutto.
Un’eclisse totale. Non volevo perderlo, non così. Avrei preferito vederlo con
un’altra che vederlo morire.
< Voglio solo passare tutto il
tempo che mi resta nel modo più piacevole possibile. Ti voglio al mio fianco,
ma se non vuoi… >
< Certo che vengo con te! >
non lo avrei mai lasciato solo.
Partimmo.
Ryuuou lasciò il suo lavoro alla libreria. Io mi accordai con il mio capo per
organizzare il mio impiego via internet.
La roulotte
non era molto grande. Lo stretto indispensabile per due persone.
Viaggiavamo di mattina. All’ora
di pranzo ci fermavamo da qualche parte. La nostra giornata si perdeva in
visite nei luoghi più strani e belli, cercando ispirazioni per i quadri di
Ryuuou. Quando si fermava a dipingere, io lavoravo sul mio portatile. Avevo
aperto un sito a pagamento dove mi offrivo per traduzioni in lingua: un lavoro
stranamente redditizio. Ryuuou, alle volte, si concedeva a piccole mostre, dove
trovava parecchi acquirenti per i suoi dipinti.
I
miei genitori mi chiamavano ogni giorno. Era comprensibile: la loro unica
figlia aveva deciso di intraprendere un viaggio per il Giappone in compagnia di
un uomo che non conoscevano. Avevano visto solo qualche fotografia, ma nulla di
più.
Il giorno della mia partenza mio
padre era molto tranquillo: si fidava della mia capacità di giudizio. Sapeva
che se avevo scelto quel ragazzo avevo i miei buoni motivi.
< Ti fidi molto di lui! >
disse con un sorriso.
In quel momento, sicura
dell’appoggio e della comprensione che mi dimostrava, decisi di confidargli lo
stato di salute del mio ragazzo di cristallo. Mi guardò un attimo preoccupato,
poi mi guardò negli occhi:
< Rispetta le sue decisioni,
qualsiasi esse siano! >
Sapevo bene che questa sarebbe
stata la parte più difficile del viaggio che avrei intrapreso. Ryuuou è
assolutamente inflessibile per quanto concerne le decisioni riguardanti la sua
salute. Un autentico irriducibile! Non ascolterebbe nemmeno il Papa! Per me
diventa difficile restare in silenzio e accettare le sue stramberie!
Il
primo periodo di viaggio passò felice e spensierato, dove gli unici problemi
che avevamo riguardavano il colore delle scarpe da comprare. Subito dopo
abbiamo iniziato a litigare. Litigi veri, quelli dove volano i piatti e si
dicono parole che sarebbe meglio tacere. Più di una volta sono andata a dormire
sul sedile del guidatore.
Il
viaggio in roulotte è molto faticoso: si guida per buona parte del giorno e
dopo, per il ritmo di vita che avevamo assunto, c’era poco tempo per riposare.
A risentirne di più era Ryuuou: aveva cambiato troppo la sua vita: da topo di
biblioteca a viaggiatore consumato. Anch’io stavo mettendo a dura prova il mio
fisico: un paio di crisi asmatiche più violente del solito mi avevano colto
impreparata e tutto perché mi ero ostinata a voler imparare a lanciare il
freesby!
Il mio ragazzo
di cristallo cominciò a dormire più del solito. Un segnale preoccupante per un
cardiopatico.
Fuori da qualsiasi comprensione,
rifiutai di fare l’amore con lui più di una volta per quanto ero nervosa,
guadagnandomi il suo disappunto e facendogli mettere il broncio. Non che mi
piacesse rifiutarlo, ma temevo per la sua salute e non mi importava se si
arrabbiasse con me.
Di notte cominciai a svegliarmi
di soprassalto per paura che gli fosse successo qualcosa. Lo osservavo: di
solito dormiva tranquillo. A volte, però, stringeva convulsamente una mano sul
petto e questo gesto mi tormentava l’anima.
Un giorno tentai di convincerlo a fare un
controllo in ospedale.
< Sto bene! > mi rispose
perentorio, in un tono che non ammetteva repliche. Sapevo che non era vero e
provai ad insistere.
< Asia, ma che ti prende? Non
cominciare a farmi la predica, sai che non lo sopporto! >
< Solo un controllo, non ti
chiedo altro! >
< Ho detto di no! >
< Perché sai benissimo che se
vai in ospedale ti costringeranno a restarci per un po’! Ammettilo! >
< Sto bene, chiaro? >
< Come no! Ti vedo quando ti
stringi il petto dopo anche un piccolo sforzo. Non mentire! >
< Ho deciso di non andarci!
> sibilò con voce bassa e stizzosa. Sospirai: era inutile, anzi, decisamente
controproducente farlo innervosire: l’ultima cosa che volevo era affaticarlo.
Quel
giorno rifiutò le mie attenzioni e ogni mio tentativo di riappacificazione
fallì miseramente. “Rispetta le sue decisioni!” le parole di mio padre mi
tornarono in mente. Era difficile, troppo difficile. Si comportava da
masochista e io dovevo anche accettarlo! Soffriva. Soffriva davvero. Il suo
respiro si faceva sempre più pesante anche nel sonno.
Litigammo
per l’ennesima volta. Solito discorso: la sua salute era pessima e faceva finta
di niente. Per farmi sbollire la rabbia che provavo decisi di fare una
passeggiata: dovevo schiarirmi le idee.
Le strade e la gente, quel
giorno, per me non avevano colore. Tutto si presentava grigio ai miei occhi,
come il mio umore e come il cielo: nuvole pesanti e cariche di pioggia si
addensavano sopra la città. “Perché?” continuavo a ripetermi ad ogni passo. Mi
imposi di non piangere: intuiva al volo se avevo pianto o no e io non volevo
impietosirlo, non era per me che doveva provare pietà, ma per se stesso. Stava
gettando la sua vita al vento. Era assurdo! Completamente assurdo! “Rispetta le
sue decisioni!” ma come? In alcuni momenti mi assaliva la voglia di trascinarlo
il ospedale contro la sua volontà, di peso. Non mi importava se mi avesse
odiato, se non mi avesse mai più rivolto la parola: preferivo questo a vederlo
soffrire!
Stava morendo. E io non potevo
accettare questa situazione.
Tornai da lui.
Era ormai sera inoltrata e non era piacevole restare fuori al freddo. Le
giornate si erano fatte uggiose e corte. Le luci della roulotte erano spente.
Entrai senza fare rumore. Un piatto era nel lavandino: almeno aveva cenato! Ci
mancava lo sciopero della fame…
Ryuuou dormiva. Tentando di non
fare alcun tipo di rumore mi cambiai e mi sdraiai accanto al suo corpo caldo.
Mi dava le spalle. Coprii entrambi con una coperta pesante. Quella sera era
molto fredda. Volevo un contatto con lui, così mi avvicinai pericolosamente al
suo corpo e gli passai un braccio intorno alla vita. Respirai il suo profumo
dolce, lasciandomi invadere da esso. Posai la fronte sulla sua schiena.
< Mi odi? > la sua voce
risuonò nel silenzio.
< No… > dissi. Che domanda
stupida! Gli angeli non si possono odiare…
< Non devi preoccuparti per
me! >
< Non è semplice. Ti vedo
soffrire e darei tutto per evitarlo. >
< Lo so… > si voltò per
guardarmi negli occhi. Non so spiegare come fece, ma lesse nel mio sguardo
lacrime nascoste, quelle che celavo nel cuore e che sarebbero venute fuori,
prima o poi. < Promettimi che, qualunque cosa succeda, tu non piangerai per
me. >
< È una richiesta assurda, non
credi? > la mia voce era pericolosamente incrinata.
< Non voglio che tu pianga per
me! >
< Allora non morire… >
La
sua salute peggiorava a vista d’occhio, tanto che decisi di non muovermi dalla
città dove eravamo giunti. Ormai passava la maggior parte del suo tempo a letto
in compagnia di un libro o di fogli e matite. Anche se spesso passava intere
giornate nell’oblio del sonno.
Volevo piangere. Non l’ho mai
fatto davanti a lui. Di notte, però, alle volte ho lasciato che le lacrime
bagnassero le mie guance. Mordere il cuscino era un ottimo metodo per fermare i
singhiozzi che, altrimenti, lo avrebbero svegliato.
Tre giorni fa ho avuto paura. Un’angoscia che
ancora adesso mi stringe il cuore.
Tre giorni fa sono uscita presto
di casa. Avevo deciso di scaricare la tensione accumulata negli ultimi tempi
con lo shopping e una passeggiata per le vie cittadine. Avevo lasciato Ryuuou a
letto, ancora avvolto nel sonno; sembrava particolarmente tranquillo: respiro
regolare.
Novembre era
giunto. Il cielo era plumbeo; solo il giorno precedente una pioggia torrenziale
aveva lavato le strade e aveva lasciato pozzanghere come segno del suo
passaggio. Camminavo per le vie ancora bagnate. Le auto facevano schizzare
l’acqua nei rigagnoli. Il mio umore era intonato a quello strano clima: tetro e
uggioso.
Tensione.
Nervosismo. Paura. Tutto questo attanagliava il mio animo, impedendomi anche di
lavorare. Non riuscivo a concentrarmi. Perderlo. Non volevo nemmeno pensare ad
una tale evenienza. Il mio cuore rifiutava un simile pensiero, nonostante potesse
essere il pensiero più razionale di tutti, una probabilità non così lontana.
Mancai da casa solo poche ore.
Erano circa le nove del mattino quando tornai alla roulotte. Infilai la chiave
nella toppa e aprì.
All’interno…
Ryuuou
era riverso sul pavimento. Un rivolo di sangue bagnava la sua tempia. Il mio
cuore ha perso un battito. La mia mente si è congelata nella consapevolezza di
quell’istante, dove le mie paure recondite si sono avverate. Mi sono chinata su
di lui e ho chiamato l’ambulanza. Respirava a malapena e il suo ritmo cardiaco
era irregolare.
“Non ti fermare. Non ti fermare.
Non ti fermare!” continuavo a ripetere al suo cuore. Non doveva fermarsi, non
doveva…
Non
ricordo il viaggio in ambulanza. Tutto è confuso nella mia mente. Quello che ricordo
è lo sguardo dei medici al nostro arrivo in ospedale. Sguardi cupi e
rassegnati, scettici e pensierosi. “Questo qui non ce la fa!” ecco cosa
dicevano. “Certo che ce la fa!”
È stato portato d’urgenza in sala
operatoria. Mi sono seduta nella saletta antistante. Dalla roulotte avevo
portato con me il suo cellulare. Ho scorso la rubrica e alla voce “Mamma” ho
premuto il tasto di chiamata. Era giusto che lei sapesse ciò che stava
succedendo a suo figlio.
Il
giorno successivo una donna con un caschetto nero con qualche capello bianco è
arrivata a passo affrettato nella sala d’aspetto dell’ospedale. Nei suoi occhi
ho rivisto lo sguardo di Ryuuou. Era lei. Sua madre. Si è avvicinata a me e io
mi sono alzata in piedi.
< Sei Asia, vero? > le ho
fatto cenno di si.
< Come sta? > ha
continuato.
L’ho fatta accomodare su una
poltroncina. Certe notizie possono essere devastanti.
< Ryuuou ha un piccolo trauma
cranico, dovuto alla caduta, ma non ha provocato danni al cervello. Il vero
problema è il malore che lo ha colto. Il suo cuore sta cedendo, non resiste
più….gli danno solo qualche giorno di vita…..se solo non fossi uscita così
presto….se solo…fossi stata lì! > le lacrime erano sgorgate dai miei occhi
senza che me ne accorgessi, per poi sfociare in due cascate salate che
scendevano copiose sul mio volto.
La piccola signora posò una mano
sulla mia spalla. Una mano calda e rassicurante.
< Non è colpa tua… > mi
disse.
Era preoccupata, questo sicuramente,
ma nel suo sguardo c’era una luce, una luce che possedeva la consapevolezza che
suo figlio poteva ancora combattere, che fino a quando il suo cuore, benché
malandato e stanco, batteva ancora tutto poteva succedere.
Qualcosa mi diceva di fidarmi di
lei.
Il
cuore di Ryuuou continuava a fare i capricci. I medici avevano stabilizzato le
sue funzioni vitali, grazie al coma farmaceutico.
Tutto il personale medico non
faceva che ripetere che solo un miracolo poteva salvargli la vita. Un miracolo.
Niente di più difficile, improbabile, incredibile che potesse accadere.
Eppure…
Eppure è accaduto.
Distrutta
dal dolore e dalla stanchezza passeggiavo per la sala d’aspetto: non ci
permettevano di avvicinarci alla sua stanza. Era notte fonda. Scura, senza
stelle né luna. Un infermiere è arrivato correndo, ci ha superato ed è entrato
nell’ufficio del chirurgo. Pochi secondi dopo sia lui che il dottore sono
usciti di fretta.
< Credete in Dio? > ci ha
detto enigmatico.
Un cuore. Un cuore compatibile.
Ryuuou
è in sala operatoria da ormai quattro ore. L’alba si avvicinerà tra poco e
busserà a queste finestre. Non volevo addormentarmi, così ho deciso di tenermi
sveglia scrivendo la nostra storia. Una storia strana e dolorosa, ma anche
divertente e felice. Spero nel lieto fine, è chiaro.
La piccola signora si è
addormentata accanto a me con uno strano ed enigmatico sorriso sulle labbra. È
come se avesse sempre saputo che Ryuuou avrebbe avuto una possibilità. Una
donna misteriosa, come suo figlio, d'altronde.
Chissà cosa penserai tu, Ryuuou,
quando scoprirai di essere stato portato, senza il tuo permesso, in ospedale…
Il medico sta uscendo dalla sala
operatoria…
È mattina.
Sono nella sua stanza. Sua madre era troppo stanca per restare qui. Mi ha
sorriso prima di andar via. Confida in lui e nella sua forza. Non la deluderà.
Spero…spero che non mi lasci sola.
Mi ha
raccontato qualcosa di lui prima di andare via. Mi ha parlato di suo padre: un
militare russo fiero e autoritario, inflessibile, ma dolce e comprensivo. Come
lui, in fondo!
Caro il mio testone…
L’intervento
sembra essere riuscito. Non ha ancora ripreso conoscenza, ma i medici contano
che succederà al più presto. Una mascherina aiuta la sua respirazione che ora
sarebbe troppo faticosa.
Ho pettinato e intrecciato i suoi
capelli. Fili di diamanti lucenti…
Apri presto gli occhi!
Vorrei
consegnare a lui questo taccuino. Vorrei che leggesse tutto ciò che ho scritto
pensando a lui…
Ma prima vorrei scrivere altre
poche parole.
Questa
mattina, mentre un tiepido sole si è insinuato tra le tende della sua stanza,
portando un po’ di luce sulle pareti bianche, Ryuuou ha aperto gli occhi. Credo
che si sia sorpreso nel comprendere dove si trovava.
Io ero persa nel sonno dopo
l’ennesima notte di veglia. La sicurezza della riuscita dell’intervento aveva
rilassato il mio corpo, permettendomi di riposare.
Dormivo su una sedia accanto al
suo letto; la testa poggiata sulle mie mani che stringevano la sua. Un gesto
stupido, votato quasi a trattenerlo lì, in modo che non potesse fuggire.
Ho sentito una mano delicata
passare tra i miei capelli e scivolare lenta sul mio volto. Ho aperto gli
occhi. Mi sono sollevata con uno scatto, credendo che la mia immaginazione mi
avesse giocato un brutto tiro.
Ho incontrato i suoi occhi.
Occhi rossi.
E il suo sorriso, uno dei pochi che ha concesso al mondo.
< Ciao! > gli ho detto in
un sussurro. La felicità mi bloccava il respiro pericolosamente.
Ho accarezzato la sua fronte e le
sue guance, dove si era fatta strada la sua barba bianca.
Ryuuou si è sfilato la mascherina
dal naso e dalle labbra. Voleva parlarmi.
< Alla fine….avevi ragione tu…
> mi ha detto in un soffio. Poi il suo sguardo di fiamma ha implorato un
bacio. Un contatto di anima, testa e cuore!
Mi sono chinata su di lui. Ho
sentito i nostri respiri combattersi, i nostri profumi mischiarsi. Immobili a
pochi millimetri di distanza, gli occhi socchiusi, tentando di fermare il
tempo. Ha colmato le distanze in uno scatto. Temerario! Folle! Incosciente! Ho
sentito le sue labbra poggiarsi sulle mie: morbide, delicate, profumate.
Le ha dischiuse leggermente,
inumidendo con la punta della lingua le mie, cercando un intimo contatto.
Accettando il suo voluttuoso e languido invito, ho lasciato scivolare la mia
lingua nella sua calda e appassionata bocca. Una lotta sensuale, un gioco
peccaminoso di carezze. Lento. Intenso. Profondo. Languido. Lascivo. Un bacio.
Un bacio capace di far perdere di vista il proprio io, la propria intima
essenza, perché questa si è fusa in un groviglio di sensazioni e di emozioni.
Un bacio di fronte al quale l’universo intero sembra un piccolo granello della
spiaggia dell’Amore. La musica delle galassie, suonata dalla stelle e dai
pianeti è giunta alle nostre orecchie. Melodica. Sinuosa. Penetrante. Capace di
creare nella nostra mente mille arabeschi dai mille colori.
Come la fenice rinasce dalle
proprie ceneri, così le nostre anime, oscurate dalla sofferenza che ci aveva
travolto nel suo turbine tagliente, hanno ripreso a volare nel cielo
crisoelefantino delle profondità cosmiche.
Il bisogno troppo umano di
respirare ci ha riportato alla realtà, separandoci dolorosamente.
In quel momento il mio udito ha
colto un suono ritmico che mi aveva cullato nella notte, lasciandomi cadere nel
regno di Morfeo. Un suono che ora era decisamente accelerato. Il suo cuore. Il
controllo delle sue funzioni vitali tramite una fredda macchina aveva svelato
le sue emozioni.
Il suo cuore batteva. E batteva
forte.
THE END
Salve
a tutti!!!
Eccomi
qui tutta allegra e felice dopo aver compiuto la mia nuova impresa!
(Poveri
noi! Nd Tutti)
Sempre
a lamentarvi…
Bene
bene… questa ff è dedicata ad un personaggio decisamente intrigante: Ryuuou
Gojuin. Se penso che si rincarna in Hakuryu, mi sento male…
(Kyu! Kyu! Nd Hakuryu)
Non
offenderti, però, scusa, da Gran Generale dell’Esercito del Mondo Celeste a
draghetto motorizzato c’è una enorme differenza!
Passiamo
oltre…
Ringrazio
che ha recensito Real (è in fase di lavorazione un secondo cap, ma
l’ispirazione è morta dopo 12 pagine di Word…tutta colpa del personaggio di
Zenon! Sì, c’è anche lui e altre nuove entrate!) e Pensieri e parole.
Dedico questa ff a LadySnape
che, poverina, mi segue ormai dappertutto, diventando una martire
sotto le mie fucilate di ff insulse e a crazydoc:
ho letto tutte le tue ff e, sinceramente, sono senza parole! Non ripeterò che
sono bellissime e che il tuo modo di scrivere è affascinante e sublime. No, non
lo ripeterò. Non so se leggerai mai questa ff, ma spero che un giorno il tuo
mouse si muova di sua spontanea volontà e clicchi sul titolo di questo scritto,
infine la sedia ti si appiccichi al corpo, costringendoti a leggere…
Prego
Buddah per questo!
Namiamudabutsu!
(Se
qualche buddista sta leggendo, prego di scusare il mio cervello consunto da
notti insonni nella speranza di concludere questa ff).
Per
una volta ho trascurato il quartetto protagonista, ma chi se ne frega!
(Come,
scusa? Nd Sanzo)
Geloso?
(O////O
Nd Sanzo)
Tranquillo
Sanzuccio, sei sempre il numero uno!
Bene.
Per oggi è tutto!
Baci
Lady Snape