Ok.
Rieccomi tornata. E con me è tornata anche una
minima parte di ispirazione.
Si
da il caso, poi, che questa ispirazione mi abbia suggerito di provare a
buttarmi in un nuovo Fandom, quello di Harry Potter.
E
si da ancora il caso che mi abbia aiutato a terminare, finalmente, una One Shot che mi trascino dietro
da mesi e che è incentrata su uno dei miei personaggi preferiti, Severus Piton.
Ora
lascio a voi il giudizio di questa mia storia che, lo ammetto io stessa, non è
né straordinaria né fantastica, ma che mi è servita come spinta per tornare a
scrivere. Dopo tanto tempo.
Meine Maske
Erano le sette di sera passate e la
giornata appena trascorsa si era rivelata alquanto stressante.
Ma d'altronde ogni giornata, ogni
ora ed ogni minuto passati a fare lezione con i Tassorosso erano stressanti.
Quella giornata non era
un'eccezione, non si era ancora differenziata da una monotonia grigia che si
ripeteva da anni.
Fatto sta però che quel giorno la
stanchezza aveva deciso di farsi sentire più del solito, scendeva nelle sue
ossa, passando per i muscoli, attraversando le tempie.
Tuttavia non era ancora arrivato
per lui il momento di concedersi un po' di riposo, aveva ancora una
“commissione” da fare, una commissione che aveva tanto sperato di dimenticare
tra una pozione e l'altra, ma che purtroppo era rimasta saldamente attaccata
alla sua memoria.
Questo “affare” che aveva da
svolgere riguardava tra l’altro l'ultima persona al mondo che desiderava vedere
dopo una giornata come quella... Potter.
Flashback
“ E dove sarebbe il tuo compito,
Potter?”
“N-non
l'ho potuto finire, signore...”
“E avresti anche un motivo
valido per giustificare questa tua mancanza?”
“beh... ecco io ho la febbre
e...”
“Oh! No! Tu hai la febbre?”
esclamò Piton con sarcasmo imitando il tono di una mammina preoccupata “pensavo
che data la tua situazione, ormai avessi imparato da tempo a cavartela da solo,
Potter!”.
Ok, quest'ultima insinuazione
era stata cattiva, molto cattiva.
Severus
sapeva benissimo che Potter sapeva cavarsela da solo, perchè ERA solo. In quel
momento poi lo era più che mai. Non aveva mai avuto nessuno che si preoccupasse
di lui e anche l'unica persona che gli era rimasta era morta da poco, quel suo
padrino, Black.
Avrebbe dovuto sentirsi in colpa
per quel ragazzo, che non poteva nemmeno condividere la sua situazione,
decisamente più complicata di quella di quasiasi
altro ragazzo della sua età, con qualcuno che lo amasse almeno un po', che gli
volesse bene in maniera incondizionata, proprio come un padre o una madre.
Eppure non ci riusciva.
Non aveva la capacità di
sentirsi in colpa.
Forse perchè dopo tanto dolore
il suo cuore si era indurito.
Forse perchè anche lui alla sua
età non aveva nessuno che lo amasse veramente.
Forse perchè era Severus Piton, e basta.
Osservò meglio il ragazzo
davanti a lui e per un attimo lo vide veramente.
Quello davanti a lui non era più
l'arrogante discendente di Potter, era all'improvviso Harry, il figlio
di...Lei.
Gli occhi lucidi erano il primo
allarme di una febbre che il ragazzo non avrebbe dovuto trascurare, o magari
erano il primo allarme di una tristezza altrettanto intrascurabile,
ma alla quale lui non faceva altro che contribuire, con frecciatine della
portata di quella appena scagliata.
Ma più che sulla lucidità di
quegli occhi, Severus si soffermò sullo sguardo che
quei pozzi smeraldini proiettavano, uno sguardo sbagliato, fuori posto,
inadatto ad un ragazzo dell'età di Potter,uno sguardo che si addiceva più ad
uomo della sua età... ad un uomo come lui.
Rivide, in quello sguardo, il
SUO sguardo. E si spaventò.
Ebbe paura di quella
somiglianza, perchè in fondo nessuno era mai assomigliato a lui in quel modo,
nemmeno sua madre, che tanto gli somigliava nell'aspetto, gli era mai stata così
vicina nell'anima.
Fu per la stizza provocata da
quella riflessione e da tante altre riflessioni che sapeva l'avrebbero
tormentato quella sera, una volta solo nei suoi appartamenti, che invece che
scusarsi con Potter per la mancanza di tatto, si “lasciò sfuggire” un sonoro...
“Punizione, Potter!! Questa sera nel mio ufficio alle sette!”.
Fine flashback
Ed ecco spiegato il perchè di
quella straziante “commissione”, ed ecco spiegato il perchè di quella
stanchezza che Severus si sentiva addosso.
Percorse il corridoio che conosceva
ormai come le sue tasche ed arrivò alla porta del suo ufficio, che trovò
socchiusa ed improvvisamente sentì come un fiotto di preoccupazione per le
condizioni di Potter farsi strada nel suo petto.
Si ritrovò ansioso a chiedersi se
fosse ancora triste a causa sua, se almeno l'avesse perdonato, se la febbre
fosse scesa.
Ricacciò però indietro quell'attimo
di debolezza, una delle poche tracce della sua umanità persistente, e si
preparò ad entrare nella stanza, riecco la maschera comparire sul suo volto.
Fu la maschera, quel mero eco
dell'uomo che era stato, a parlare per prima, e lo fece ancora una volta con la
sua voce.
“Buonasera Potter... vedo che la
tua malattia non ti ha impedito di concedermi un po' del tuo prezioso tempo”
mormorò con voce strascicata, mentre con gli occhi scorreva, per la seconda
volta in quella giornata, il viso del ragazzo.
La sua “attenta analisi” lo aveva
portato a dedurre che la febbre fosse salita, e anche tanto; ipotesi confermata
quando Potter, nel tentativo di alzarsi barcollò un poco fino a ricadere come
un sacco di patate sulla sedia dove si era adagiato in precedenza.
“Come stai?” sussurrò così piano
che nemmeno lui si sentì,
“cosa?” chiese infatti il ragazzo
che non era riuscito a comprendere le inaspettate parole dell'insegnante,
“oh, insomma! La febbre ti causa
anche problemi di udito, signor Potter?” sbraitò Severus
innervosito dall'imbarazzante situazione “ti ho chiesto” continuò “come stai?”
Harry rimase dapprima allibito
dall'improvviso interesse del professore, ma poi si costrinse a rispondere
all'insolita domanda, “bene...” rispose con tono di voce impassibile.
“BENE?” ripeté a sua volta l'uomo
in veste nera “sei in piena crisi depressiva, il mondo magico dipende da te,
hai ANCHE la febbre e rispondi di star BENE? Dubitavo già delle tue capacità
mentali, Potter, ma pensavo che potessi ancora salvare il briciolo di
intelligenza che ti era rimasto, dal mare dell'ottusità...”.
“beh... io... insomma lei non è
solito farmi queste domande e io... non sapevo cosa dirle...” farfugliò di
risposta l'altro.
“Hai ragione, lasciamo perdere
quest'argomento futile e concentriamoci invece sulla tua più che meritata
punizione!”
“ Sì signore...”
“Bene! Oggi voglio che tu metta a
posto degli ingredienti per pozioni, ma ti pregherei vivamente di
lasciarne almeno qualcuno incolume, Potter, visto che sono costati più di te e
della tua scopa messi insieme...”
“D'accordo..”
“Oh! E poi dovresti anche pulire
quei calderoni laggiù...” disse Piton con un leggero ghigno disegnato sulle
labbra sottili.
Harry si voltò verso il punto che
il professore gli aveva indicato e ciò che vide lo fece sbiancare. Una pila di
calderoni incrostati nella maniera più indicibile di stagliava di fronte a lui,
ci avrebbe messo ore a finire di pulirli, senza contare che quella era solo una
parte del lavoro che aveva da fare.
“Ma professore, finirò a notte
fonda!” si lamentò con la voce roca a causa della febbre.
“Il piccolo Potter ha sonno?”
chiese sarcastico,
“Non è questo il problema... il fatto
è che ho dei compiti da svolgere e se finisco troppo tardi non riuscirò a
portarli a termine per domani...”
“Pensi che siano problemi miei,
Potter? Sei qui perchè non avevi fatto i compiti che ti avevo assegnato, e non
mi pare che fosse a causa di qualche punizione assegnata né da me né da altri!”
esclamò con enfasi Severus e fece capire che il
discorso era chiuso.
Un rumore di vetri infranti ruppe
il silenzio che si prolungava nello studio da più di un'ora.
Era stato provocato dal rompersi di
un barattolo contenente uno dei tanto decantati ingredienti di Piton, e questa
caduta era a sua volta stata provocata dal Ragazzo Che E' Sopravvissuto.
Stesso ragazzo che adesso osservava
con sguardo febbricitante ed appannato il pavimento.
Qualsiasi altro insegnante gli si
sarebbe avvicinato, gli avrebbe posato una mano sulla fronte ed avrebbe
decretato che la febbre stava raggiungendo picchi troppo alti e che era meglio
per lui recarsi in infermeria, Harry, magari, con voce ruvida, si sarebbe
scusato per l'incidente del barattolo e qualsiasi altro insegnante gli avrebbe
detto che non importava.
Qualsiasi altro insegnante, ma non Severus Piton, che invece stava squadrando il suo allievo
in una maniera che lasciava presupporre il disgusto così come la collera, sentimenti
ben lontani dalla comprensione e la compassione.
“Ti avevo detto di non farli
cadere, mi pare...” disse con voce profonda,
“s-scusi, signore, mi si era
annebbiata u-un attimo la v-vista...” farfugliò Harry
mezzo delirante e decisamente barcollante per via della febbre,
“non mi importa niente del
funzionamento dei tuoi cinque sensi, Potter... a me importa solo...”.
Severus
stava iniziando una di quelle frasi che di sicuro sarebbe riuscita nel suo
intento di colpire nel segno, che sicuramente sarebbe risultata pungente e
dolorosa, come tutte le altre rivolte a quel misero ragazzo.
Ma non portò mai a termine quella
frase, si interruppe alla vista di un fragile Potter che si accasciava a terra
come una figurina di cartapesta mossa dalla Bora.
“P-Potter?
Cos'hai?” chiese con la gola secca per la preoccupazione che tutt'ad un tratto
si era impossessata di lui.
Ma Potter non avrebbe risposto
tanto in fretta a quella domanda.
Giaceva a terra, mormorando frasi
senza senso e fissando in sequenza ogni punto del soffitto che si stagliava
sopra al suo sguardo.
Severus
esitò. Non aveva idea di cosa fare. Gli venne in mente che era la prima volta
in parecchi anni di insegnamento che si sentiva preoccupato per un allievo.
E quindi? Cosa doveva fare?
Doveva comportarsi come una dolce
nonnina e somministrargli lui stesso una pozione o portarlo in infermeria dove
qualcuno decisamente più assomigliante di lui ad una dolce nonnina si sarebbe
preso cura di Potter?
Naturalmente optò per la seconda
opzione, soddisfò ancora una volta la maschera.
E fu di nuovo la maschera a portare
la mano alla bacchetta, tentata di sollevare il ragazzo con un freddo
incantesimo di levitazione, ma questa volta il suo volere ebbe il sopravvento e
Piton si costrinse a prendere tra le sue braccia il corpo inerme e tremante di
Harry, che ancora non smetteva di delirare.
Arrivò in infermeria con il ragazzo
in braccio invocando l'aiuto della medimaga, ma
desiderando al tempo stesso, in un angolo molto remoto della sua anima, di
rendersi utile in prima persona per la guarigione.
“Chip! Ho bisogno del tuo aiuto...
cioè, Potter ha bisogno del tuo aiuto!” esclamò,
“Ma cos'è tutto questo baccan... oh cielo! Cosa è successo Severus?”
chiese Madama Chip con la sua solita voce cinguettante,
“Lui, ecco... temo che abbia una
febbre molto alta, ora ha perso i sensi e... beh, l'ho portato qui...” rispose
lui incerto,
“hai fatto bene Severus...
la febbre, soprattutto se così alta, non dovrebbe mai essere trascurata, ma a
quanto pare questo ragazzo ha imparato a preoccuparsi di tutti tranne che di se
stesso!” sbottò la medimaga indignata, mentre insieme
adagiavano Harry su uno dei tanti letti
“ehm... già...” farfugliò Severus,
“Oh, piantala di fingerti
preoccupato, Severus! Lo so benissimo che sei uno dei
primi carnefici di questo ragazzo, e so ancora meglio che lo hai portato qua
giusto perchè stava ingombrando il corretto svolgimento dei tuoi impegni... E'
sempre stato così... perchè dovrebbe cambiare ora?”.
Severus
sentì una fitta di dispiacere trafiggergli il cuore.
Davvero i suoi colleghi e i suoi
allievi pensavano che fosse capace di pensarla in quel modo?
Ma in fondo lui cosa faceva per
dimostrare il contrario?
Quando era diventato un automa?
Quando la maschera aveva iniziato a prendere il controllo di lui?
Era servita una stupida giornata
stressante a fargli capire di essere cambiato così profondamente? Era
servito... Potter?
Non voleva che la sua anima andasse
così alla deriva... non voleva smettere di provare allegria, di sorridere, di
affezionarsi alla gente...
Eppure aveva lasciato che
succedesse. Ma era stato un processo talmente graduale, che non se ne era
nemmeno accorto. E in quel momento, in una banale giornata d'inverno, che solo
fino a qualche ora prima sembrava uguale a tutte le altre, finalmente se ne
rendeva conto, e stranamente si sentiva leggero.
Leggero come se da un momento
all'altro il suo corpo potesse staccarsi da quell'effimera infermeria e volare
alto sulle montagne scozzesi.
Leggero come se la sua anima da
quel momento fosse già ritornata come era una volta.
Capì all'istante il perchè di
quella leggerezza, la pesante maschera che si portava dietro da anni, iniziava
a staccarsi, a separarsi da lui, e ne fu quasi felice.
Quasi perchè in fondo ormai
la maschera era diventata come una protezione più che un simbolo della sua
prigionia.
In parole povere, da un po' di
tempo a quella parte, la maschera era diventata come una specie di
giustificazione a tutte quelle azioni che compieva e nelle quali non riusciva
più a riconoscersi.
Era facile per lui giustificarsi
con la maschera, gli faceva comodo, perchè era come sostenere che non fosse
veramente lui a dire, fare e pensare tutte quelle cose.
Ed ora che avvertiva il distacco,
da una parte ne era felice, dall'altra spaventato.
Senza dire una parola, né rivolgere
un ulteriore sguardo a Potter lasciò l'infermeria.
Le sue gambe stavano quasi per
percorrere la solita strada verso i sotterranei, per rifugiarsi ancora nel buio
e la cupezza, ma questa volta lui aveva in mente un'altra meta.
Così, senza quasi farci caso si
diresse in cima alla torre di astronomia, la più alta di tutte, e prese una
boccata d'aria serale.
Lo fece in un modo, che se un'altra
persona l'avesse visto avrebbe sicuramente pensato che, fino a pochi minuti
prima, Severus si trovasse in apnea.
Una lunga apnea.
Si sentiva quasi felice a
dirla tutta e la cosa più strana è che aveva cercato per tutto quel tempo una
valida motivazione per uscire dall'apnea e invece gli era bastata una semplice
e, all'apparenza, monotona giornata d'inverno per farlo sentire in quel modo.
Capì di essere in debito con il
ragazzo.
Voleva correre da lui, svegliarlo,
sorridergli e abbracciarlo.
Capì all'istante che non era ancora
pronto per cose del genere.
Ma comunque sarebbe stato pronto
per essere, almeno in minima parte, se stesso... quell'uomo un po' burbero ma buono
e capace di provare emozioni.
Le sentiva tutte lì, come se in
tutti quegli anni lo avessero aspettato. Migliaia di emozioni, a volte
contrastanti, che gli lasciavano il corpo scosso da brividi.
E fu lì, in quel momento, che
accadde.
Dopo anni di prigionia voluta, Severus Piton esplose in una risata. Non isterica.
F.E.L.I.C.E.
“Tutto ciò che è profondo ama la maschera.
Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera:
e più ancora, intorno a ogni spirito profondo
cresce continuamente una maschera,
grazie alla costantemente falsa,
cioè superficiale, interpretazione di ogni parola,
di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.”
Nietzsche -Al di là del bene e del male