Black black heart
Ogni
notte, quando la Luna si
leva alta sulla linea dell’orizzonte, il cimitero si
risveglia e, con lui,
anche tutti i suoi abitanti.
Le
famiglie di vampiri si levano
dalle cripte e si apprestano ad andare in città in cerca di
qualche preda con
cui nutrirsi.
I
fantasmi svolazzano qua e là
tra lapidi e cespugli, conversando pigramente e osservando gli spiriti
più
giovani correre via, smaniosi di trovare qualcuno ancora vivo da
terrorizzare.
Le
mummie trascinano bende e
membra sull’erba e sul terriccio, raccattando amuleti e
talismani che scivolano
inevitabilmente a terra a ogni loro rigido movimento, mentre scheletri
e demoni
siedono in circolo per dedicarsi ai loro millenari tornei di poker.
Solo
il piccolo zombie vive
ignorato da tutti, costretto ad avanzare nell’ombra, a
ridosso delle lapidi e
dei cespugli, silenzioso e impaurito. È solo, il piccolo
zombie, non c’è
nessuno della sua specie con cui possa parlare, e tutti gli altri
abitanti del
cimitero sono troppo presi dalle proprie occupazioni per badare ad un
essere
pavido come lui.
Cammina
lontano, il piccolo
zombie, sulle rive del laghetto melmoso, calciando sassi lungo la riva
e
guardando malinconico l’acqua che, placidamente, si infrange
di tanto in tanto
sui ciottoli. Ormai, ha perso il conto degli anni trascorsi in quel
modo; sa
solo che gli sembrano infiniti.
Secondo
le sue abitudini, il
piccolo zombie siede sulle rocce ricoperte di alghe e lascia penzolare
i piedi
sulla superficie dell’acqua, sfiorandola appena e osservando
il proprio
riflesso distorto e tremolante.
Sospira,
il piccolo zombie, e
attende con pazienza l’arrivo dell’alba –
il momento in cui tutti devono
tornare a nascondersi –, sperando, notte dopo notte,
nell’arrivo di un altro
come lui in quel cimitero.
“Piccolo
zombie, piccolo zombie,”
cominciano a cantilenare i vampiri di ritorno dalla città.
Hanno
le guance rosee e le labbra
vermiglie, ma non una sola goccia di sangue ancora fresco di vittime ha
toccato
i loro abiti immacolati. Sogghignano crudeli, mettendo in bella mostra
i denti
affilati e scintillanti.
“Cosa
fai lì tutto solo?”
I
ragazzi lo circondano, maschi e
femmine, e lo guardano con occhi malevoli.
“Cerchi
il tuo cuore nell’acqua,
piccolo zombie?” gli domanda il più vicino.
“Ma il tuo cuore è ormai polvere
dentro di te, non esiste più. Di certo, non assomiglia al
nostro che, ogni
notte, riprende vigore e batte di nuovo.”
I
vampiri scompaiono
all’improvviso, così come sono arrivati, lasciando
dietro di loro solo l’eco di
risatine maligne.
Il
piccolo zombie sospira, si
alza e torna piano tra le tombe, ma i fantasmi cominciano a
svolazzargli
attorno, fastidiosi come mosche perlacee.
“Dove
vai, piccolo zombie?” gli
domandano con voce sottile. “Come riesci a camminare ancora
con quel peso che
hai nel petto, le ceneri del tuo cuore ormai spento?”
“Lasciatemi
in pace,” li scaccia
il piccolo zombie, agitando le mani.
I
fantasmi lo studiano per
qualche momento, poi se ne vanno borbottando, ma ecco sopraggiungere la
coppia
delle mummie reali, con l’ombra del pesante trucco nero
attorno agli occhi, sulla
cinerea pelle del viso avvizzito e tirato sugli zigomi sporgenti.
“Avrebbero
dovuto imbalsamare il
tuo cuore affinché si conservasse nel tempo,”
tuona il Faraone altezzoso,
bloccando la via al piccolo zombie. “Che te ne fai adesso di
un misero
mucchietto di cenere?”
Il
piccolo zombie stringe le
braccia al petto e lo guarda con occhi tristi.
“Anche
voi ce l’avete con il mio
cuore,” mormora. “Ma non è colpa mia se
sono nato così.”
Le
due mummie si scambiano
un’occhiata, poi sorridono in modo grottesco, rivelando denti
grigiastri e
labbra ormai inesistenti, e il piccolo zombie, terrorizzato, scappa via
a gambe
levate.
Corre
senza guardare, per
cancellare quel dolore dalla sua mente, e non si accorge di essere
appena
finito nel bel mezzo della bisca degli scheletri e dei demoni.
“Ehi,
ragazzino, stai attento!”
lo ammonisce un demone senza occhi e con un gran paio di ali nere sulla
schiena, indicando il mazzo di carte al centro del tavolo.
“Stiamo giocando la
mano decisiva. È questione di vita o di morte.”
Gli
altri scoppiano a ridere
sguaiatamente.
“Vuoi
giocare anche tu?” gli
chiede uno scheletro con un sigaro fra i denti. “Si rischia
il tutto per
tutto.”
Il
piccolo zombie scuote la testa
imbarazzato.
“Mi
hanno detto che non ho cuore
per esistere, figuriamoci se posso mettermi a giocare a
carte.”
Un
altro demone con troppe
braccia gli punta un dito contro.
“Dì
un po’, ragazzo, ma davvero
non ti pesa andartene in giro con quel peso nel petto? Qui nessuno ha
più un
cuore, a parte i vampiri che ancora lo usano. Non ti costerebbe meno
fatica
liberartene una volta per tutte?”
Sull’orlo
delle lacrime, il
piccolo zombie corre via, ai confini del cimitero, all’ombra
delle ultime
lapidi asfissiate dall’edera. Da lì può
vederli tutti, gli altri abitanti del
camposanto, sa che tutti stanno ridendo di lui e piange.
Si
sente solo, abbandonato, in
balia dei commenti che gli altri gli rivolgono da tempo immemorabile.
Perché
non c’è nessun altro come lui, in
quell’inferno terreno?
Se
l’è chiesto tante volte se da
qualche parte nel mondo ci fosse stato qualcuno della sua stessa
specie, ma
ormai non ci spera più. È passato così
tanto tempo…
Il
piccolo zombie si asciuga le
lacrime e rivolge gli occhi al cielo: il Sole sta per sorgere, la Luna
sta pian
piano impallidendo e l’orizzonte si tinge di rosa.
Il
piccolo zombie sa che dovrebbe
tornare di corsa alla sua tomba, ma qualcosa lo blocca. Rimane immobile
a
fissare la linea orientale dell’orizzonte: i primi raggi di
Sole lo
ipnotizzano.
Da
quanto non li vedeva?
Per
la prima volta dopo secoli,
il suo corpo acquista finalmente calore. Tanto calore.
Troppo
calore.
Il
Sole è letale per le creature
della Notte come loro e il piccolo zombie comincia a prendere fuoco.
Mentre il
suo petto brucia, insinua una mano sotto le costole alla ricerca del
proprio
cuore. Riesce a sentirlo, lo stringe, non è un ammasso di
polvere come gli
hanno sempre ripetuto. È solo un po’ indurito, ma
c’è.
Lo
estrae lentamente dal petto
fumante e lo osserva nel palmo della mano. Eccolo lì, il suo
vecchio cuore di
zombie. Non è un mucchietto di cenere, né un
qualcosa di ancora vivo, pulsante
di sangue. Non pesa, sembra fatto di carta, e con la stessa
rapidità pare
incendiarsi dinanzi ai suoi occhi, bruciando fino ad estinguersi in
ogni minima
parte.
Il
piccolo zombie sente la Morte
imminente, la vegliarda mietitrice lo sta venendo a prendere.
“Eccolo,
gente, ecco il mio cuore
tanto schernito,” mormora il piccolo zombie, mentre le fiamme
avvolgono infine
tutto il suo corpo. “C’era sempre stato e voi non
lo avete mai capito. Il mio
cuore nero. E me lo sono dovuto cavare per provarne
l’esistenza.”
L’ultima
cosa che il piccolo
zombie riesce a vedere prima di chiudere gli occhi per sempre
è il mucchietto
di ceneri scure in cui il suo cuore si è finalmente spento.
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