Di grigie visioni e morbose elucubrazioni mentali.

di Zillah
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Titolo: Di grigie visioni e morbose elucubrazioni mentali.
Genere: Storico, triste, introspettivo
Avvertimenti: Flash fic (437 parole)
Rating: Giallo
Fandom/personaggi: Axis Powers Hetalia/Giappone
Note d'autore: Giappone mi ha fatto dannare ma grazie a te ce l'ho fatta.



Di grigie visioni e morbose elucubrazioni mentali.


Giappone vedeva un po’ sfocato. Era tutto un po’ troppo grigio, un po’ troppo malato, un po’ troppo morto. Se non fosse stata la persona che era allora forse, sicuramente, si sarebbe messo a piangere. Avrebbe voluto piangere tante grosse lacrime, piene di tutto il folle dolore e dell’inumana rabbia che gli opprimevano il petto. Stava male. Aveva il male.
Seduto sul portico in legno di casa sua, posava il suo sguardo apatico su tutto ciò che lo circondava. Non un’emozione traspariva dal suo viso, eppure c’era qualcosa nel suo portamento, qualcosa nelle sottili rughe che gli decoravano il contorno di occhi e bocca, qualcosa che suggeriva a chiunque lo guardasse che era la disperazione ad abitare quell’involucro di carne mutilato.

Il moncone, di quella che una volta era stata la sua gamba sinistra, non gli faceva neanche più male, tante erano state le droghe ingerite. Giappone si sentiva stanco. Terribilmente stanco ma al tempo stesso irato e questo gli procurava una paura che sino ad allora non aveva mai provato.

Non era vivo ma nemmeno morto. Lui era distrutto, in parte e completamente allo stesso tempo. Hiroshima e Nagasaki rase al suolo, soppresse come se fossero state solo un errore da cancellare. Sì, cancellate con un semplice colpo di gomma.
Ma perché? Per chi aveva perso una gamba? Germania e Italia arresi prima di lui erano ancora integri. Ancora vivi, seppure intrappolati fra la stretta degli Alleati. Conservavano in loro la certezza di essere ancora in grado di riconoscere il loro stato. Ma lui? Lui che cos’era diventato? All’improvviso lo spazio che lo circondava gli sembrava troppo vasto, anche se fittizio. Avrebbe preferito essere rinchiuso in una qualche stanza buia e tetra, quattro piccole mura ed un soffitto a proteggerlo, asfissiarlo, ucciderlo. Una cella magari. Oh sì! Un vincitore, un prigioniero, un morto! Tutto ma non questo! Tutto ma non il fallimento! Non il sentimento di essere fuori posto, sbagliato, diverso da tutto. Avrebbe voluto urlare per dare sfogo a tutta la paura, il terrore... Angoscia che, subito e quando meno se l’aspettava, dava il cambio alla sua compagna Apatia. Gli sarebbe così facile ora urlare e liberare almeno in parte l’acido uragano che lo corrodeva dall’interno. Schiudere le labbra e lasciare che la sua voce si facesse sentire, forte e disperata. E gridare, urlare contro tutto e tutti sino a quando le sue corde vocali non fossero bruciate per lo sforzo di cercare di estraniare, di cacciare da sé quel serpente infetto e malato che gli divorava le interiora.

Ma Giappone sa che non si guarisce tanto facilmente da certe ferite. Né da se stessi.




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