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Titolo: Could this
be the magic at last. [Could it be magic]
Autore: BigBro__
(ballerinaclassica su EFP)
Fandom: Axis Powers
Hetalia.
Pairing: USUK
(America/Inghilterra); Franada (Francia/Canada).
Numero scheda: 1
Rating: Verde.
Avvertimenti: AU,
One Shot, Shonen Ai;
genere: Fantasy (e vagamente Horror), Sentimentale,
Commedia (e Parodia).
Note dell'Autore: Il
titolo è preso da una frase della canzone "Could it be
magic" di Barry Manilow;
Presenza di cibo inglese e dannoso, stupidità americana... E
in questa FanFiction Canada riveste un ruolo fondamentale...
... Ahahah. Non ditemi che ci avevate creduto.
Questa
FanFiction partecipa al Contest Destino o Casualità? Indetto
dal
forum Japan in Wonderland. Pubblicherò i risultati in
un'altra fic,
visto che non sono ancora usciti. D:
Infine, ammetto che
sembra affrettata, ma purtroppo il concorso prevedeva un limite
massimo di pagine. E la cosa più difficile è
stata evitare di
scrivere troppo (come faccio di solito). Il concorso chiedeva di scrivere una fic che vedesse due personaggi legati in un certo senso dal destino, e io l'ho interpretata un po' come una trama alla "Sliding Doors" che è uno dei miei film preferiti! E poi, era richiesta l'apparizione di uno spirito. Beh, forse non è proprio uno spirito quello che apparitò, ma è altrettanto inquietante! xD Ho intenzione di scrivere
uno spin off a rating rosso di questa storia, ma sono un po' a corto
di idee. Sarà ovviamente una USA/UK, se qualcuno volesse
indirizzarmi può farlo tramite recensione, con un prompt o
più
semplicemente con qualche consiglio. :3
«Alle
otto, alle otto! Ah, ho capito! E-- Aspetta, come si chiama il tipo
che l'ha organizzata?»
Alfred incastrò il cellulare tra la
spalla ed uno zigomo, le mani nel lavandino, i capelli pieni di gel
ed un ciuffo che sfidava la forza di gravità e la vinceva
(eroicamente). Dall'altra parte dello specchio, il riflesso di un
ragazzo biondo, folte sopracciglia e labbra sottili, lo guardava
scuotendo la testa. Lo trovava attraente, Matthew disse qualcosa, ma
Alfred non lo ascoltava, troppo impegnato a fissare quel ragazzo. Lui
ricambiava gli sguardi, arrossendo di tanto in tanto e abbassando il
viso di conseguenza.
Probabilmente avrebbe dovuto abbassare il
tono di voce, forse.
«No, aspetta, non ti sento bene Matthew.
Potresti parlare ad alta voce, almeno una volta?»
Mentre suo
fratello scandiva per bene ogni lettera, il ragazzo usciva, sbatteva
la porta dei bagni e scompariva nel corridoio lasciando dietro di
sé
soltanto un rumore di passi svelti. Stupido Matthew, e Alfred che
sperava di lanciargli qualche occhiatina in più.
«Kirkland.
Okay, Arthur Kirkland, ho capito!»
Matthew sospirò, Alfred
cominciò a ridere.
«Matthew, sarà il massimo! Una seduta
spiritica, ci pensi? Ahahahah, ovviamente un eroe come me non si fa
di certo intimorire da un paio di fantasmi!»
A quel punto, quando
suo fratello dall'altra parte del ricevitore mormorava qualcosa
riguardo al terrore di Alfred per i fantasmi, lui, che ovviamente non
lo stava minimamente ascoltando, si infilò il cellulare in
tasca.
Dietro la scrivania del suo ufficio, Arthur maneggiava
il cellulare. Lo aveva sentito vibrare in bagno ed era corso via, per
poi accorgersi di non essere comunque riuscito a rispondere alla
chiamata.
C'era un ragazzo che parlava con qualcuno, era carino,
avrebbe voluto chiedergli chi fosse, ma la telefonata glielo aveva
impedito. E non c'era nulla di peggio di dover leggere il nome di
Francis sul display e di doversi poi accorgere che quel dannato
mangia rane aveva provveduto ad inviargli anche un sms, nel caso in
cui Arthur fosse impegnato con un lavoro.
Qualcosa sull'incontro
di quella sera, il nome Matthew e la parola bacio vicine,
“è un
mio caro amico, ha detto di voler portare suo fratello”.
Arthur
trasse un paio di conclusioni, secondo le quali Francis, come al
solito, lo costringeva a riempire il salotto di casa sua di
sconosciuti con i quali aveva fatto sesso (e in quel caso, di
sconosciuti con i quali aveva fatto sesso, più parenti).
Il
presidente di un noto marchio era seduto davanti a lui, voce
soporifera, un sorriso falso e nuove proposte per una campagna
pubblicitaria che potesse lanciare il suo prodotto. Arthur ascoltava
con un'espressione annoiata palesemente dipinta sul viso. Quel lavoro
non gli piaceva, nessun collega simpatico, nessuno che avesse la sua
età o giù di lì – soltanto
uno spagnolo, ma era bastato
scambiarsi un paio di frasi per capire che non avrebbero mai potuto
andare d'accordo.
«E infine, vorrei illustrarle un paio di idee,
i miei sottoposti hanno già preparato la maggior parte del
lavoro.
Se vuole posso-»
«Sì, certamente, se ha bisogno di un
proiettore o di una stanza con più luce per mostrarmi delle
foto,
possiamo spostarci.»
Arthur desiderò con tutto se stesso che
l'uomo gli rispondesse di sì, almeno avrebbero perso del
tempo e lui
sarebbe diventato l'ultimo cliente della giornata, prima di tornare a
casa e gustarsi la partita del Manchester United assieme ad una birra
– ah, giusto, Francis, la seduta e i suoi amichetti.
«La
ringrazio», gli rispose l'uomo, seguendolo fuori dal suo
ufficio.
Aver trovato un posto di lavoro in Inghilterra era
stato veramente il massimo. Gli era bastato gonfiare il suo
curriculum di qualche bugia e spedirlo in giro per Londra. Tempo una
settimana ed aveva avuto un numero sufficiente di possibili datori di
lavoro da potersi girare l'intera città ed avere solo
l'imbarazzo
della scelta.
Alla fine, aveva scelto una compagnia che si
occupava di pubblicità. Non sembrava un lavoro stancante ed
in più
gli uffici erano parecchio vicini all'appartamento che aveva trovato
per trasferirsi lì con suo fratello. Matthew sembrava
essersi
invaghito di un certo francese, lunghi e morbidi capelli biondi,
occhi blu come il mare della Manica e – bleah –
Alfred aveva
subito pensato che comunque si guardasse la loro relazione, quel tipo
non aveva niente di attraente. Nemmeno un bel paio di tette –
nonostante sia Alfred che Matthew fossero gay.
Alfred sistemò il
nodo della cravatta e controllò che non avesse nulla tra i
denti
sullo schermo del cellulare. L'ufficio del suo futuro capo era
lì,
di fronte a lui, meno di un metro e mezzo e-
«Kirkland? Arthur
Kirkland?», domandò a voce alta.
Dove aveva già sentito quel
nome?
Aveva passato almeno tre quarti d'ora a sbadigliare.
Quell'uomo aveva la voce più soporifera che le sue povere ed
inglesi
orecchie avessero mai ascoltato... E lui aveva quel genere di
colloqui almeno due o tre volte a settimana.
«Perfetto», disse,
alzandosi in piedi non appena gli vennero mostrate anche le ultime
foto relative al progetto, «entro un mese dovremmo avere una
bozza,
la farò chiamare dalla mia segretaria.»
E aggiunse un cenno di saluto, non appena l'uomo aprì la bocca per
replicare.
Davanti
la porta del suo ufficio c'era lo stesso ragazzo che aveva incontrato
in bagno, Arthur sollevò un sopracciglio, avrebbe voluto
chiedergli
perché si trovasse lì, ma qualcuno gli
toccò la spalla.
«Signor
Kirkland», gli aveva mormorato un ragazzo che lavorava
lì già da
mesi e che ancora aveva una pessima pronuncia inglese,
«è pronto il
primo set fotografico per quella ditta sportiva, ve~»
«Dannazione,
era ora! Chiamate Braginskj e inviatelo al più presto, siete
degli
incompetenti!»
«Aaah! Signor Kirklaaaaa~nd! Per favore, non mi
uccida! Io non ho fatto nienteeee~»
Arthur sbuffò e si passò
una mano sul volto, scompigliandosi la frangia e poi le
sopracciglia.
«Va bene, va bene, ho capito!», disse al ragazzo,
cercando di controllare il tono di voce, «Non piangere
però,
Feliciano! Va' a telefonare, d'accordo? Altrimenti dì a
Beilshmidt
di farlo, se tu non ricordi dov'è il telefono.»
Feliciano gli
sorrise e scattò sui tacchi, petto in fuori, pancia in
dietro ed un
saluto militare, prima di correre via. Ma quando Arthur si era
voltato, di nuovo interessato alla porta del suo ufficio, anche
l'altro ragazzo era scomparso.
«Arthur
Kirkland.»
«Cosa?»
«Arthur
Kirkland, il tizio da cui dovremmo andare stasera si chiama Arthur
Kirkland, giusto?»
Matthew, dall'altra parte del ricevitore,
mormorò un “sì”.
«Cazzo
Matt, è il mio capo! Stiamo andando a casa di un vecchio a
fare una
seduta spiritica, te ne rendi conto? Sarà sicuramente una
delle cose
più noiose del mondo intero!»
«Ma
Alfred, io--»
«Ah,
stasera davano anche la maratona dei film Disney in tv, e noi saremo
a casa di un vecchio a lucidargli la dentiera!»
«Francis
ha detto che non è vecc--»
«E
sono sicuro che odia gli hamburger e che non ce ne offrirà
nemmeno
uno! Ne sono sicuro come sono sono sicuro che sarà noioso,
Matt!»
«Ma
Fran--»
«E
dannazione, il mio capo, te ne rendi conto?! La persona che molto
probabilmente, tra un mese o anche meno, odierò di
più al
mondo!»
«Al--»
«Ma
perché ti sto ancora ascoltando?»
Senza nemmeno aspettare la
risposta di Matthew, Alfred aveva chiuso la telefonata ed era uscito
di nuovo dal bagno, sbuffando. Fidarsi di suo fratello era stato una
fregatura totale.
Quando Arthur era tornato a casa, il suo
primo istinto era stato quello di rilassarsi davanti alla partita, il
secondo quello di telefonare Francis e di capire che razza di gente
avrebbe avuto a casa da un momento all'altro, il terzo di
insultarlo.
«Ma è mai possibile che tu debba sempre combinare
qualcosa?! Sei soltanto uno stupido mangia rane, la prossima volta
tieni la tua lingua a posto e-»
«Mh,
non mi risulta che la mia lingua non ti piaccia~»
«Inutile,
con te non si può mai affrontare un discorso
serio.»
«Andiamo,
Arthur, sono soltanto un paio di amici, te lo giuro! E poi non sei
sempre fiero di mostrare le tue capacità di cartomante
praticamente
a chiunque?!»
«Mago,
io sono un mago, non un cartomante.»
Dall'altra parte del
ricevitore, Francis soffocò una risatina.
«Come
vuoi, sarò da te tra qualche minuto, prepara una calorosa
accoglienza~»
Arthur
provò ad ignorare le vocali allungate e la sua
insopportabile “r”
moscia. Il tavolo, doveva preparare il tavolo e le sedie, forse un
vassoio di scones e qualche tazza di tè.
Nello stesso
istante in cui aveva salutato Arthur e interrotto la telefonata,
Francis aveva sentito il suo cellulare vibrare. Sul display uno dei
nomi che desiderava leggere in quel momento più di ogni
altro.
«Matthieu~»
Ma dall'altra parte del ricevitore, non
c'erano i sussurri di Matthew, bensì una risata acuta ed una
voce
irriverente e vagamente insopportabile.
«Ahahahah!
E questo sarebbe il tuo ragazzo, Matt? Ma ha una voce completamente
da gay!»
Qualcuno
sussurrò qualcosa riguardo al fatto che Francis fosse
veramente gay
e un “e poi cosa c'è di tanto strano? Anche tu lo
sei...” appena
accennato.
Francis si passò una mano sulla fronte. Matthew gli
aveva parlato più volte di suo fratello, Alfred, un
americano tutto
parole e supereroi, fermamente convinto dell'esistenza degli alieni e
di super poteri nascosti in lui. A quel punto Matthew aveva aggiunto
anche un “probabilmente avrà soltanto il fegato
radioattivo, viste
le schifezze che mangia ogni giorno”.
«Sì, esatto, sono io»,
rispose Francis, mettendo in moto la sua auto, «e tu devi
essere
Alfred.»
«Ahahahah!
Sì! Vedo che tutti conoscete l'eroe! Senti,
François-»
«Mi
chiamo Francis.»
«E
io che ho detto? Comunque, senti, non è che questo Kirkland
è un
vecchio? Sai, ho notato che è il mio capo, ma io e lui non
ci siamo
ancora visti.»
Francis
ridacchiò, divertito da quella serie di parole,
«Kirkland? Beh, lui
è un po'-»
Alfred non seppe mai cosa “un po'” fosse Arthur
Kirkland, perché Francis era entrato in galleria.
«Se devi
trovarti un fidanzato in Inghilterra, almeno trovatelo con un
cellulare decente.»
«Ma-»
«Aaaah, magari questo Kirkland è
anche un pervertito, a giudicare dalla voce del tuo
amichetto.»
«Veramente lui-»
«Diamine, diamine, non ci
posso pensare. E se sbava?»
«Se ci annoiamo possiamo andare
via...»
«Ho avuto un'idea geniale, Matt! Se ci annoiamo, andiamo
via!»
Matthew annuì e strinse il suo orso di peluche, passando
la cintura di sicurezza anche davanti al suo pelo morbido. Adorava
quando
suo fratello non gli dava ascolto e faceva tutto di testa sua, una
vera delizia.
Arthur lo stava completamente ignorando. Lui,
col suo mantello da cartomant- da mago e la sua aria altezzosa.
Portava vassoi di scones da una parte all'altra, lasciando dietro di
sé un odore di cibo bruciato, vagamente nauseante. Fino ad
ora non
gli aveva rivolto la parola. Aveva aperto la porta con aria
arrabbiata, come se avesse davanti a sé il più
temibile dei
criminali.
«Da te c'è un certo Alfred?»
«Cosa?»
«Alfred.
Un ragazzo di nome Alfred lavora da te?»
«Che cosa vuoi che ne
sappia io.»
«Un ragazzo americano...»
A quel punto, Arthur
si bloccò. Ricordava di aver incontrato un ragazzo con un
inconfondibile accento americano, probabilmente uno yankee
trasferitosi dal New England, ex rozzo newyorkese che sperava di far
fortuna nella sua splendida Londra. Ex rozzo newyorkese carino,
però.
«Può darsi», rispose velocemente, per
troncare la
questione all'istante.
«Perché se è lui sta per-»
In quel
momento, però, il campanello suonò. Arthur stava
per andare ad
aprire la porta, ma il fischio della teiera lo costrinse a bloccarsi
a metà corridoio e a tornare indietro di corsa.
«Va' ad aprire
tu!», aveva urlato a Francis, una volta in cucina.
Quando
Francis aprì la porta, si trovò davanti il un
ragazzone di quasi
due metri, capelli levitanti e un'enorme “S”
stampata sul petto.
Oh, sì, e accanto a lui c'era Matthew, ovviamente.
Passò un braccio
attorno alle sue spalle, cercando di inquadrare Alfred –
perché
quello doveva sicuramente essere Alfred.
«Ciao, francese!», gli
aveva strillato, battendogli un poderoso pugno sulla
spalla.
«Alfred.»
Francis accompagnò Matthew in casa, mentre
Alfred entrava cautamente, guardando da una parte e dall'altra come
se temesse di essere la futura vittima di un agguato improvviso. Un
agguato improvviso da parte di un vecchio che sbavava.
«Si può
sapere che stai facendo?»
«Ssh- Lui dov'è?»
«Lui
chi?»
«Kirkland.»
Francis cominciò a ridacchiare ed indicò
la cucina.
«Se sei tanto curioso...»
Arthur era chinò
sulla cucina, stava versando il tè in quattro tazzine, per
sé e per
i suoi ospiti. Aveva sentito dei rumori e delle voci, quindi, molto
probabilmente, Francis aveva già pensato ad accoglierli
nella
maniera più calorosa.
A quel punto, però, quando stava per
portare il vassoio in salotto, si sentì osservato. Arthur
era sempre
stato sicuro che la sua casa pullulasse di poltergeist, di fate e di
altri spiriti che si mostravano soltanto di notte (o quando lui era
ubriaco) ma non credeva che potesse mai arrivare a trovarsi faccia a
faccia con uno di loro.
Si voltò lentamente, le mani che
tremavano sul vassoio e gli occhi vagamente preoccupati,
deglutì.
«Kirkland!»
Arthur sussultò e per poco non gli
cadde il vassoio dalle mani. Davanti a lui c'era un ragazzone, con
gli occhiali storti e un sorriso sbilenco. Se non era il ragazzo di
Francis, doveva essere suo fratello. E... Stranamente aveva
l'impressione di averlo già visto da qualche parte.
«Ma non sei
un vecchio sbavoso.»
«Come, scusa?»
«Ho detto che non sei
un vecchio sbavoso!», gli ripeté il ragazzo,
urlando. Probabilmente
credeva che lui fosse sordo.
«No, spiacente. Se avevi voglia di
vederne uno, alla fine dell'isolato c'è un ospizio. Tutti i
vecchi
sbavosi che desideri.»
Arthur lo superò, diretto in salotto e
lasciando dietro di sé l'orlo svolazzante del suo mantello
nero.
Avevano cominciato a fargli male le ginocchia circa
dieci minuti prima, cioé da quando avevano iniziato a stare
immobili
ad occhi chiusi senza che succedesse nulla di interessante. Arthur
Kirkland canticchiava qualcosa sui marshmallow arrostiti su un fuoco
da campo. Per quanto ridicola potesse sembrare, quella canzoncina
diventava inquietante quando la si ascoltava al buio, nel bel mezzo
di una pseudo seduta spiritica.
Alfred teneva un occhio aperto e
fissava ognuno dei presenti. Matthew che stringeva la mano di
Francis, Francis che faceva altrettanto e Arthur Kirkland,
completamente concentrato sull'invocazione dello spirito, che
continuava a cantare. Aveva cercato di capire chi fosse quel Kirkland
da quella stessa mattina, mentre parlava al telefono con suo
fratello, e infine aveva scoperto che si trattava semplicemente della
prima persona che aveva incontrato quel giorno e con la quale non
aveva potuto avere il suo colloquio di lavoro. Probabilmente Arthur
aveva fatto lo stesso, chiedendosi chi fossero gli sconosciuti che
Francis gli portava in casa.
Improvvisamente, mentre fissava
Arthur attraverso le lenti dei suoi occhiali, qualcosa in mezzo al
tavolo comparve. Era... Era una testa. Una testa sorridente, un naso
adunco e un sorriso angelico. Se soltanto non fosse stato per il
rubinetto sporco di sangue, Alfred avrebbe potuto addirittura
trovarlo simpatico.
«Oh, buonasera!», sussurrò la testa, con
uno strano accento, forse russo, «Potresti riferire al signor
Kirkland che Braginskj ha finito di preparare tutti i suoi documenti?
Vado a metterli ora nel suo ufficio.»
Alfred, la bocca aperta ed
un'espressione terrorizzata, annuì.
«Arrivederci, allora»,
disse la testa, mentre ruotava su se stessa, il sorriso ancora
stampato in faccia, e scompariva sulla superficie del tavolo.
Arthur
riuscì a percepire, tramite i suoi
“infallibili” poteri
paranormali, l'agitazione di Alfred dall'altra parte del tavolo e
aprì un occhio. Alfred era pallido, aveva gli occhi
spalancati e
fissi in un punto.
«Che diamine stai facendo, razza di idiota?»,
gli borbottò contro, le sopracciglia aggrottate e
l'espressione
seria.
«L-l-lì», Alfred additava un punto
apparentemente vuoto,
«B-B-B-Braginskj... D-d-d-d-dice che i suoi documenti
s-s-s-s-sono
pronti.»
Arthur non era sicuro di aver capito, ma poi si ricordò
di quella mattina a lavoro, e di Feliciano che lo supplicava di non
fargli del male, nonostante fosse un totale incompetente.
«Quando
hai parlato con Braginskj, scusa?»
Quando Alfred non rispose,
pensò che la cosa migliore fosse portarlo in bagno e cercare
di
farlo calmare.
Dall'altra parte della porta poteva sentire
qualche gemito di Matthew e una risatina da parte di Francis. Alfred
scosse la testa e afferrò l'asciugamano che Arthur gli stava
porgendo.
«Si può sapere che ti è
successo?»
«Niente»,
mormorò in fretta, lui era un eroe e non poteva confessare
di aver
avuto paura, «probabilmente deve essere stata la
fame.»
Arthur
annuì distrattamente, mentre si sedeva accanto ad Alfred e
gli
frizionava i capelli con un altro asciugamano. Lo aveva accompagnato
in bagno e gli aveva infilato la testa sotto il getto di acqua
fredda, per farlo riprendere. Alfred fortunatamente era stato in
grado di parlare di nuovo dopo qualche minuto.
«E poi la tua voce
era inquietante», disse ridacchiando.
Arthur, fingendosi offeso,
gli pizzicò la pancia.
«Ricordati che sono il tuo capo e che
quindi mi devi rispetto, moccioso.»
«Mh, sai», Alfred prese
l'asciugamano dalle mani di Arthur e lo guardò negli occhi,
l'espressione stranamente seria e qualche goccia d'acqua che ancora
scivolava giù dalle tempie, «ho passato
praticamente tutta la
giornata a capire chi diamine fossi. Penso che se questa stessa
mattina noi due ci fossimo incontrati e tu mi avessi assunto, ora
sarei a lavorare per te, invece che qui. Il destino invece ci ha
fatto incontrare, fortunatamente per te.»
«Un americano
egocentrico? Fidati, ti avrei mandato via prima ancora di
conoscerti.»
Alfred rise, passandogli un braccio attorno alle
spalle.
«Stamattina, in bagno, non eri così sicuro di te,
quando
mi guardavi. In un certo senso sembravi... Timido e
impacciato.»
Arthur arrossì, abbassando il mento e cominciando a
fissare insistentemente il suo mantello nero.
«Finalmente
possiamo stare insieme.»
«...Eh?», Arthur si voltò di scatto e
lo guardò, inarcando un sopracciglio.
«Mh, sei veramente un
vecchio sordo», mormorò Alfred, avvicinando il
viso al suo.
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