Salve! Un
paio di paroline, prima dell’inizio di questa strana one-shot
xD
La storia che state
per leggere prende spunto dalla teoria dell’effetto farfalla.
Citando Wikipedia, l’effetto farfalla è una locuzione che
racchiude in sé la nozione maggiormente tecnica di
dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, presente nella teoria
del caos. L'idea è che piccole variazioni nelle condizioni
iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine
di un sistema. (per maggiori informazioni sul fenomeno,
consultate l’articolo da cui è estratta la
definizione: http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_farfalla).
Spero vi piaccia.
Dedico questa fic alla
mia amica Lirith,
che oggi compie ben 17 anni. Auguroni :D spero la fic sia di tuo
gradimento ^^.
The
Butterfly Effect
Ascolta il tiepido
fragore delle onde che si riversano sulla battigia, perduto tra mille
pensieri, mentre, in riva al mare, osserva la volta celeste che si
mescola con il blu profondo dell’oceano. I passi che muove
sono lenti, decisi, spostano la sabbia ruvida con leggerezza; davanti a
lui, si estende il litorale nella sua bellezza eterea, avvolto
dall’oscurità della mezzanotte che è da
poco passata.
Alle sue spalle, la
luce dei festeggiamenti a Costa del Sol rischiara l’intera
baia di liete risate. Zack cammina lungo le rive argentee del mare,
lambisce quasi incoscientemente i flutti gelati che si infrangono lungo
il bagnasciuga sabbioso; i suoi passi producono solchi lievi sul
lungomare, orme che vengono cancellate dal vento in appena pochi
istanti.
Lentamente, lo
sgradevole schiamazzo della folla al paese cede il posto al sospiro
infinito della brezza che solca la superficie dell’oceano.
Raggiunge una zona del litorale rocciosa, dissestata, sormontata da
alcuni grandi scogli a strapiombo sul mare: i turbinosi flutti si
infrangono violenti lungo le pareti calcaree, simili ai suoi pensieri.
D’un tratto,
riconosce il suono di quei passi alle sue spalle. Producono tonfi
leggeri, quasi inudibili ad un orecchio poco allenato, ma che a lui
appaiono perfettamente chiari. Distende il viso in un sorriso un
po’ forzato, cercando di rilassarsi: delle pieghe innaturali
si disegnano ai lati della sua bocca.
“Ehi,
Cissnei.”
Ascolta il suono della
sua voce disperdesi nel vento. Si volta lentamente fino ad incontrare
gli occhi di lei.
“Zack.”
L’espressione della ragazza è intensa,
indefinibile, leggermente velata dalla stessa malinconia che, ne
è certo, colora anche i suoi occhi. Gli si siede accanto,
perdendo lo sguardo nella disarmante vastità
dell’oceano blu notte; poi si riscuote leggermente, e
indirizza lo sguardo su di lui.
“Non mi
andava di stare in mezzo a quella grande confusione. Mi
spiace” esclama d’improvviso, prima che lei possa
aprire bocca.
“Peccato!”
risponde lei, sorridendogli. “Ti sei perso due Turk ubriachi
che hanno provato a gettare Tseng in mare.”
Tra le sue labbra si
dipinge fugace l’ombra di un sorrisetto appena accennato.
“Suppongo che a quest’ora siano stati entrambi
affogati brutalmente!”
“Beh, non mi
sorprenderei se fosse davvero così!” risponde
Cissnei.
Trascorrono parecchi
minuti di silenzio tra i due, nei quali nessuno sente il bisogno di
parlare. La ragazza perde nuovamente lo sguardo nel riflesso pallido
della luna piena sulla superficie scura dell’acqua; flutti
sospinti dal vento si spezzano lungo le alte pareti rocciose del loro
scoglio.
“Adoro
questo luogo”, afferma poi, senza nessun preavviso, facendolo
quasi sussultare dalla sorpresa. “Il rumore delle onde
dà la percezione dell’infinito. E poi, senti
questo suono? E’ la brezza che tiene le redini della
corrente. Alla gente potrebbe sembrare il frastuono di una tempesta. A
me, invece, appare come il suono più mite che il pianeta
possa offrire.”
“Piace anche
a me” asserisce lui, atono, senza prestare davvero ascolto
alle sue parole. Cissnei lo osserva, stizzita.
“Credo che,
al momento della mia morte, farò buttare il mio cadavere in
acqua” esclama d’un tratto, pensierosa.
“O magari mi farò seppellire qui sulla spiaggia.
Già, forse è meglio così.”
“Che
cosa?!”
La ragazza ride.
E’ una risata lunga e spensierata, perfettamente in linea con
il debole frastuono della corrente. “Rilassati, volevo solo
capire se mi stessi ascoltando o meno.”
“Ah! Mi
avevi spaventato!”
“Lo
so!”
Gli angoli della bocca
di Zack si incurvano leggermente, mentre Cissnei posa la testa sulla
sua spalla, chiudendo gli occhi.
“Mi manca
Midgar” dichiara lui, improvvisamente, sospirando. Alle loro
spalle lo schiamazzo della folla a Costa del Sol è
più forte che mai. “E, allo stesso tempo, non ho
idea di come farò a tornarvi, quando arriverà il
momento di lasciare questo posto. Ho sempre pensato che la ShinRa fosse
la mia casa. Mia madre diceva sempre che casa è un concetto
fin troppo ampio: etichettiamo come casa il luogo in cui ci torniamo a
fine giornata, in cui ci sentiamo al sicuro e protetti. La ShinRa, in
effetti, era questo per me. Ma adesso… a causa di Genesis,
Angeal, Lazard e del disordine in cui verte la compagnia…
è come se avessi perso la fiducia in Soldier.”
“Un mio
amico dice spesso che tutti cercano un posto dove tornare. Credo sia
questa la definizione più efficace di casa”
risponde Cissnei, pensierosa.
“Non
è la prima volta che me lo dici, vero?”
“Può
darsi” asserisce la ragazza, con un mezzo sorriso enigmatico.
“Ma il punto è che tutti meritiamo di trovare un
posto del genere. E francamente, se credi che per te quel luogo non sia
la ShinRa, beh… non so dove sia il problema. Magari
può essere anche l’occasione per un nuovo
inizio.”
Il ragazzo la guarda
serio, ma non trova nessuna parola capace di contrastare la logica
della giovane Turk. Detto da lei, tutto sembra maledettamente semplice
e immediato.
Il tempo, sulle
spiagge tinte d’avorio di Costa del Sol, è un
concetto quasi inesistente e assimilabile all’infinito,
scandito soltanto dal lento incedere del sole tra le nuvole che velano
il cielo.
Zack e Cissnei
trascorrono le loro giornate così, tra una risata e
l’altra, cercando di allontanare dalla mente gli ultimi
avvenimenti che, segretamente, inquietano gli animi di entrambi.
Spesso, durante gli afosi pomeriggi screziati dal sole, fanno
lunghe passeggiate sul lungomare, fino a giungere al limite estremo
della baia, nella zona rocciosa in cui, alcune sere prima, si sono
ritrovati a conversare sotto la luna piena. E qui, tra i tiepidi flutti
del mare che si infrangono lungo le rocce, lasciano vagare i propri
pensieri, discutono animatamente, raccontano con nostalgia frammenti di
vita passata che reputano interessanti; e a volte, mentre il sole tinge
di rosso la linea fugace del tramonto, si chiedono che cosa
sarà del loro futuro e di quello sempre più fosco
della compagnia.
Saltuariamente, anche
Tseng va con loro. Ascolta le loro chiacchiere leggere in silenzio, con
quell’espressione un po’ seria e corrucciata che
notoriamente lo contraddistingue, in tenuta da Turk nonostante il caldo
torrido che rende la sabbia rovente.
Le giornate scivolano
via, si perdono nel monotono fragore delle onde che, ineluttabilmente,
si disfano sulla riva del litorale dorato. Zack comincia a temere il
ritorno a Midgar, a quella realtà che tanto duramente
l’ha messo alla prova nel corso degli ultimi mesi; e, al
tempo stesso, è ossessionato dalle parole che Cissnei,
durante quella serata passata sulle rocce di pochi giorni prima, ha
pronunciato francamente, con quella tipica spontaneità che
tanto la caratterizza. Tuttavia, l’inquietudine legata ai
suoi pensieri svanisce al sorgere del sole, quando il mare, infuocato
dai colori dell’alba rosata, si tinge di tutte le sfumature
dell’aurora che è appena trascorsa.
Ancora una volta, la
luna crescente getta molteplici ombre sulla sabbia resa umida
dall’alta marea. Le orme sulla battigia sono ritmicamente
sopite dal leggero tocco dell’acqua, che gli solletica
leggermente i piedi nudi, accarezzandoli; l’acqua
è fredda, quasi gelata, e lo stuzzica lievemente
all’altezza della caviglia.
Raramente si avventura
per il litorale da solo: Cissnei è quasi sempre al suo
fianco, in silenzio ma pronta a rincuorarlo in caso di bisogno. Sono
diventati molto uniti nel corso di quelle lunghe giornate passate
insieme, e si sono già ripromessi che, alla fine di quella
lunga vacanza, si ritroveranno un po’ più spesso,
per trascorrere un po’ di tempo insieme.
Camminano entrambi in
riva al mare, osservando distrattamente la linea
dell’orizzonte infiammata dal tramonto che è
appena trascorso. Per la baia risuonano ancora i versi striduli dei
gabbiani lontani.
“E’
così, è finita” afferma improvvisamente
lei, mentre continua ad avanzare per il litorale sabbioso,
così come hanno fatto in tutti gli altri giorni.
“Domani si torna a Midgar.”
“Già.
E’ stata una vacanza tranquilla, dopotutto.”
Si siedono entrambi
sul limitare della riva, nel punto in cui le onde si infrangono
rumorosamente per poi disperdersi tra la sabbia rosata dal tramonto.
“Hai pensato
a quello che ti ho detto l’altra sera, su quelle
rocce?” chiede Cissnei dopo qualche minuto, il tono di voce
serio.
Zack non è
sicuro di come dover rispondere. “Ci ho pensato,
sì…” afferma dopo qualche secondo,
incerto.
“E…?”
“E
cosa?”
Cissnei ride.
“Hai capito qual è il luogo che vuoi chiamare
casa?”
“Non ancora.
Dopotutto, ho passato così tanto tempo alla
ShinRa… non è facile per me decidere di lasciarla
così, di punto in bianco.”
La ragazza lo osserva
attentamente, lo studia un po’, con un’espressione
seria dipinta sul viso. “A mio parere,” decreta
all’improvviso, distogliendo lo sguardo, “hai
già fatto una scelta. Credo che le decisioni che prendiamo
avvengano in maniera quasi istantanea. Magari però hai solo
bisogno di accettarla, prima di concepirla davvero come tale.”
Zack la guarda
smarrito, senza capire dove voglia arrivare.
“Dico
solo” risponde Cissnei, sorridendo del suo sguardo confuso
“che più l’idea di lasciare la ShinRa si
fa largo dentro di te, più è difficile
accettarla.”
Il crepuscolo
s’è insinuato lungo la linea infuocata
dell’orizzonte, macchiandola del viola acceso che precede
l’oscurità della notte. Quasi senza accorgersene,
il suo pensiero è andato verso Aerith. Sa che lei
sarà sempre ad aspettarlo, a Midgar, nella chiesa diroccata
del Settore 5, qualunque scelta decida di compiere. D’un
tratto, il peso delle sue decisioni sembra essere meno opprimente.
Midgar è
uguale a come la ricorda, immersa nello spettrale bagliore verdastro
che da sempre gli conferisce l’energia Mako. Appena pochi
minuti dopo essere sceso dall’elicottero, cammina
già per le affollate strade dei bassifondi, a passo svelto,
impaziente di rivederla dopo settimane di lontananza. La gente, le
costruzioni, l’illuminazione, tutto sembra in qualche modo
diverso, dissimile da quelli che sono i suoi ricordi del luogo, ma si
rende conto che forse è solo lui ad essere cambiato.
Intravede le slanciate
guglie gotiche della chiesa tra i tetti delle costruzioni
più vicine. Sorride, felice di essere tornato, di poter
rivedere Aerith, di cominciare a recitare in un atto della sua
vita che difficilmente
ha immaginato in passato. Corre lungo l’ultimo tratto di
strada, impaziente come non mai, raggiunge il malandato portone di
legno della grande costruzione in pietra e lo spalanca, ansante.
A differenza della
grande città attraverso la quale si è snodato nei
minuti precedenti, la prima cosa che lo colpisce della chiesa
è che la trova del tutto uguale all’ultima volta
che l’ha vista. Riconosce in un lampo le statue usurate dal
tempo disposte ai lati dell’androne, osserva con nostalgia le
panche semi distrutte disposte ai lati della navata, gli è
familiare persino quell’illuminazione così fioca
elargita dal numero esiguo di raggi di sole che filtrano dalle alte
finestre diroccate.
Immerso nei suoi
ricordi, inizialmente non si accorge nemmeno del dettaglio
più importante, del motivo per cui s’è
precipitato con tanta foga verso quella costruzione in rovina del
settore 5 dei bassifondi. Ma all’improvviso, nel momento
esatto in cui posa lo sguardo sul rigoglioso campo fiorito che gli sta
di fronte, capisce che qualcosa manca a quel meraviglioso quadro,
qualcosa che lo rende incompleto nella sua prospera bellezza.
La ragazza che ha
aspettato tanto di rivedere, che gli è mancata in modo
così intenso durante le lunghe giornate passate sotto il
caldo rovente di Costa dl Sol, semplicemente, non è
lì.
La sua voce, al
telefono, sembra fiacca e assonnata. Probabilmente è stata
svegliata dal suono squillante del cellulare, perché ha
risposto dopo diversi squilli, quando ormai stava per rinunciare ed
annullare la chiamata.
“Pronto?”
risponde lei, lentamente, dopo un grosso sbadiglio.
“Ehilà,
dormigliona!” esclama lui giovale, ridendo.
Gli sembra quasi di
vederla, mentre spalanca gli occhi per la sorpresa di sentire la sua
voce. “Zack…?”
“Ovvio!”
fa lui, interrompendola. “O forse mi confondi con qualche
altro membro di Soldier caduto dal cielo?”
Dall’altra
parte dell’apparecchio, una risata. “No,
tranquillo. Finora solo tu hai avuto il piacere d’incontrarmi
in questo modo. Comunque, Perché chiami a
quest’ora del mattino?” chiede Aerith, con un tono
di voce più sveglio.
Zack fatica a non
prenderla bonariamente in giro. “Veramente, mezzogiorno
è passato già da un pezzo!”
“Cosa?!”
Sente il trambusto della ragazza mentre scende dal letto e agguanta la
sveglia, meravigliata. “Come ho fatto a dormire
tanto?!”
Sorride e non
risponde, aspettando che lei smetta di prendersela con
l’apparecchio che non ha suonato. “Beh, non
è mica così grave, però”
afferma Zack dopo qualche secondo, di buonumore.
“Ma questo
è il periodo più importante per la fioritura!
Avevo intenzione di curare i fiori durante la mattinata!”
esclama lei, amareggiata. “Beh, vorrà dire che lo
farò adesso. Vado a prepararmi. Ti richiamo tra poco, va
bene?”
Cerca di trattenerla,
ma prima che possa dire qualunque cosa a proposito del suo ritorno, lei
ha già chiuso il telefono, di fretta.
Rimane per una buona
decina di minuti ad aspettare, nella penombra velata dai tiepidi raggi
di sole che discendono obliquamente dal soffitto distrutto in
più punti. Si distende sul parquet polveroso, gli occhi
chiari rivolti al soffitto, osservando il complesso disegno di travi
che si incrociano armoniosamente al di sopra della sua testa.
Dopo un po’,
il telefono squilla prepotentemente, nella sua tasca.
“Ciao!”
esclama Aerith, non appena il ragazzo accetta la chiamata.
“Ehilà,
a quanto pare ci risentiamo!” risponde Zack, ridendo.
Le parole della
ragazza sono velate dalla costernazione. “Mi dispiace, per
prima. Ero un po’… assonnata, diciamo.”
“Tranquilla,
tranquilla.” Il sorriso di Zack si allarga sempre
più sul suo viso. “Aaaallora, stai andando alla
chiesa, dunque?”
“Sì,
sono per strada” afferma lei, pensierosa. “E tu,
ancora in spiaggia?”
“Ovvio!”
mente Zack, mordendosi le labbrsa per non scoppiare a ridere.
“E a proposito, qui c’è Tseng che ti
saluta!”
“Tseng?!”
“Sì,
perché?”
Aerith è un
po’ confusa. “E’ solo che…
beh, non sembra un tipo da spiaggia.”
“Non lo
è, infatti” esclama Zack. “Sta in divisa
anche sotto il sole cocente!”
“Tipico di
lui” afferma la ragazza sorridendo. “Ma
comunque, quand’è che hai intenzione di
tornare nella sporca e maleodorante Midgar?”
Non riesce
più a nascondere quella lieta risata che fin
dall’inizio della conversazione cerca di reprimere. Aerith lo
ascolta, confusa: gli chiede che cos’abbia da ridere tanto,
ma lui non riesce nemmeno a rispondere, tanto è divertito
dalla situazione.
E poi, il portone
della chiesa si apre con un lento cigolio, che disegna un lieve fascio
di luce bianca sul parquet di fronte all’entrata. Si volta
con lo stesso ghigno soddisfatto che ha assunto durante tutto
l’arco della telefonata, e, per la prima volta dopo diverse
settimane, incrocia il suo limpido sguardo di nuovo.
Gli chiede
quand’è arrivato, e lui risponde che è
lì da poco tempo, probabilmente da nemmeno un’ora.
Conversano solo un po’, o forse per tutto il pomeriggio
seguente: quand’è tra le sue braccia,
Aerith non riesce proprio ad avere una precisa concezione
dello scorrere del tempo. Zack racconta della sua vacanza a Costa del
Sol, delle lunghe passeggiate sulla spiaggia dorata, delle notti
passate sullo strapiombo roccioso che dà sul lungomare; gli
parla delle sue decisioni, delle molte cose che ha capito su se stesso,
dei suoi nuovi progetti per il futuro che passeranno insieme. Aerith
non parla quasi mai, lascia che sia lui ad esprimere tutto quello che
gli passa per la testa, intervenendo di tanto in tanto con qualche
breve commento divertito.
I raggi del sole si
espandono lungo le travi consunte del parquet, mentre il pomeriggio
scivola via nell’aria frizzante della sera nascente. Quando
il cielo oltre le nubi si tinge dell’indaco scuro della
notte, decidono di andare a mangiare qualcosa, e si avventurano nel
tiepido brulichio che contraddistingue le placide serate dei
bassifondi. Si recano presso un locale semplice e un po’
fuorimano, nel settore 7, chiamato 7th Heaven; la ragazza al bancone li
accoglie con un sorriso, poi gli chiede se sono già pronti
ad ordinare.
Consumano la cena in
silenzio, lanciandosi qualche sguardo d’intesa che li fa
sorridere al di sopra dei piatti: e infine, una volta pagato il conto,
sono già di nuovo fuori, a passeggiare per le articolate vie
della grande città al centro del mondo.
Quella notte, fanno
l’amore per la prima volta.
Si sveglia che
è già mattina, quando i tiepidi raggi del sole
nascente arrivano sul suo viso, illuminandolo. Infastidito, apre
lentamente gli occhi, osservando con smarrimento il luogo dove si
è addormentato. Le alte pareti gotiche della chiesa gli
riportano alla mente i ricordi della notte appena trascorsa.
Si stringe intorno
alla vita di Aerith, distesa accanto a lui in posizione fetale; si
avvicina al suo collo nudo e lo bacia dolcemente, su più
punti, aspettando che si svegli e che gli sorrida dolcemente, sua
complice nella notte che è già volata via: e lei
apre gli occhi, sorridendogli, posando una mano sul suo petto e
baciandolo dolcemente sulla labbra.
“Buongiorno”
sussurra lievemente, la voce assonnata.
“Buongiorno
anche a te” risponde lui, sorridendole dolcemente.
Aerith chiude di nuovo
gli occhi, poggiando la testa sul suo torace, serena. In quel momento
pensa che sarebbe bello morire così, per imprimere quel
momento per sempre e fare in modo che nessun altro avvenimento possa
superarlo per gioia e intensità d’emozioni. Sente
il cuore di Zack battere ritmicamente, all’interno della
gabbia toracica: dolcemente, quel suono la culla un’altra
volta nel sonno. Rimangono così finché la mattina
non sorge florida e giovale, risvegliando il tiepido aroma dei fiori
appena sbocciati.
“Che ore
sono?!” chiede improvvisamente Aerith, alzandosi di scatto.
Il suono della sua voce, così lapidario e incisivo, risuona
tra le alte pareti della chiesa per diversi secondi, prima di spegnersi
lentamente.
“Le otto e
trentuno, perché?”
Osserva il volto della
ragazza pietrificarsi in una smorfia atterrita. “Mia madre mi
ucciderà, diamine!”
Durante il percorso di
ritorno verso casa di Aerith, inventano diverse scuse, più o
meno credibili, tra una risata e l’altra, per smorzare la
tensione della ragazza. Tuttavia, arrampicandosi dalla finestra
semiaperta, sospira con sollievo una volta appurato che sua madre sta
ancora dormendo.
“Meno
male” esclama poi, sedendo sul letto con il sorriso
ritrovato. “Altrimenti sarebbero stati cavoli
amari.”
“Beh,
è normale che tua madre ti proibisca di stare in giro di
notte. Dopotutto, non è che queste strade siano parecchio
sicure…” afferma lui, in piedi accanto alla porta,
poggiando la schiena contro il legno ruvido dell’entrata.
“C’eri
tu, con me. Questo mia madre non lo sa!” esclama lei,
ammiccando con lo sguardo.
“Sai, non
credo che sapere ciò la tranquillizzerebbe
alquanto!”
“Già,
probabilmente hai ragione.”
Si avvicina a lei e la
bacia ancora; trascorrono insieme diversi minuti dell’ambita
felicità a cui hanno anelato durante
l’interminabile periodo in cui sono stati lontani.
“Devi
andare?” sussurra lei poco dopo, tra le lenzuola sfatte del
suo letto, dove, abbracciati, hanno guardato il sole sparire oltre il
piatto, pronto ad illuminare la città che sorge sopra le
loro teste.
“Suppongo di
sì. Ho qualcosa di importante da fare, dopotutto.”
La risposta è seria, così come il suo sguardo.
“Non sei
obbligato a farlo. E’ una decisione molto importante da
prendere, non vuoi pensarci un altro po’?”
“No.”
Improvvisamente, si rende conto di non avere più nessuna
esitazione. Probabilmente persino la parte più recondita del
suo Io ha accettato questa decisione come l’inizio di una
nuova, sensazionale vita.
Davanti ai suoi occhi
si snodano le grigie gallerie d’acciaio che sono i corridoi
della sede centrale della ShinRa. Quasi meccanicamente, appena entrato
all’interno dell’abitacolo che funge da ascensore
principale, sposta la mano verso il piccolo bottone del piano Soldier;
poi si corregge, accennando un sorriso e spostando la mano ad un paio
di pulsanti più in alto, sospirando. Il rumore sconnesso
dell’ascensore che sale avvicina i suoi pensieri alla meta
che, pochi giorni prima, si è prefissato con decisione di
raggiungere.
Quando le porte di
metallo si aprono davanti ai suoi occhi, rivelando il candido bagliore
di un corridoio in marmo bianco, capisce di non poter più
tornare indietro.
Non che comunque sia
interessato a farlo.
Appena un paio
d’ore dopo, assapora la libertà della vita di un
qualunque cittadino di Midgar. Si ritrova a camminare lungo quello che
riconosce essere Viale Loveless, con un gran sorriso sulle labbra,
indossando degli abiti civili per la prima volta dopo parecchio tempo.
I suoi passi sono più spontanei, liberi di camminare lungo
qualunque strada: ha dimenticato la sensazione di essere davvero
padrone delle proprie scelte.
Sorride alla
città, nel pieno del suo rinnovato vigore. Sente il telefono
squillare, in tasca, vibrando silenziosamente.
“Pronto?”
“La notizia
si è diffusa più in fretta di quanto non avresti
voluto, suppongo.” Riesce a sentire una sfumatura di
tristezza nel tono di voce di Cissnei.
“Diamine, lo
sanno già tutti?” domanda Zack, visibilmente
sorpreso.
Cissnei fa una breve
risatina. “No, non tutti,” risponde poi, seria.
“Ovviamente, il reparto Soldier è stato informato,
e così anche quello dei Turk. Sono un
po’… confusi, a dire la verità. Non
vedono un motivo, così pensano che tu abbia scoperto
qualcosa di losco sulla compagnia e sui suoi piani segreti.”
“Eh?”
“Le teorie
della cospirazione sono molto in voga, di questi tempi”
afferma lei, con semplicità. “Le persone non si
sforzano mai di vedere le cose attraverso un punto di vista differente
dal proprio.”
Zack respira
profondamente, imboccando una via secondaria della grande
città. “Cissnei… volevo ringraziarti
per… beh, lo sai. Senza di te non sarei qui, in questo
momento. Grazie davvero.”
“Non serve
ringraziarmi. Chissà che anche tu non avresti fatto comunque
la stessa scelta, anche se non ti avessi detto nulla, quella
notte!” esclama lei, ma Zack capisce che è lieta
che abbia espresso tanta gratitudine nei suoi riguardi. “Ora,
scusami, ma devo andare. A quanto pare, diverse zone del mondo sono
ancora sotto attacco… ma non è più un
tuo problema, giusto?”
Zack sorride.
“Chiamami quando finisci gli incarichi, andremo a bere
qualcosa insieme!”
“Ci conto,
eh?” scherza lei, prima di chiudere la chiamata.
Ripone il telefono
nella sua tasca, sorridendo. Persino nell’oscurità
gotica delle vie di Midgar, adesso, gli sembra di vedere il tiepido
splendore dei raggi di sole.
Con i soldi che ha
accumulato durante i numerosi anni al servizio della ShinRa, prende un
piccolo appartamento in un viale secondario ma ben tenuto. Poche
stanze, un bagno, un piccolo balconcino che dà sulla strada:
sente che starà bene, lì.
Ogni giorno, dopo una
breve colazione, va a trovare Aerith, all’interno della
diroccata chiesa del Settore 5. Passa con lei gran parte delle sue
giornate: e in breve, i giorni cedono posto alle settimane e ai mesi.
Aerith decide anche di
presentarlo a sua madre, in una di quelle tante serate che trascorrono
insieme: Elmyra si dimostra cordiale, e ben presto anche lui riesce a
superare l’imbarazzo iniziale di una situazione del genere.
Trascorrono una serata piacevole, divertente, inusuale: ma è
lì, attorno a quel piccolo tavolo di legno dalla forma
rotonda, che Zack sente per la prima volta di appartenere a quella
famiglia.
Qualche giorno dopo,
quando lo rivela alla ragazza, lei sorride: gli spiega, con quel suo
tono lieto, che quello è lo stesso sentimento che prova
quando, da lontano, osserva la gioiosa armonia che traspare dai volti
della gente dei bassifondi, e che è felice che anche lui
riesca a provare lo stesso.
Saltuariamente, di
tanto in tanto, dietro qualche bicchierino in uno dei tanti bar della
metropoli, incontra ancora i suoi vecchi colleghi di lavoro. Discute un
po’ con Cissnei, ricordano insieme i vecchi tempi e le decine
di missioni svolte in coppia, si aggiornano sulle novità
delle loro vite; quanto a Tseng, gli capita spesso di incontrarlo lungo
le vie dei Bassifondi che conducono alla chiesa di Aerith; scambiano
soltanto poche parole concise, poi ognuno va per la propria strada:
dopotutto, sa che Tseng non è mai stato un gran
chiacchierone.
Aerith ha passato la
notte da lui, nel suo letto, tra le sue braccia. Il mattino li ha colti
impreparati, incapaci di sciogliere quella stretta che li ha tenuti
legati per tanto tempo insieme. Rimangono a sonnecchiare, in
dormiveglia, mentre fuori dalla finestra Midgar si sveglia velocemente.
D’un tratto,
il suo telefono squilla. Uno, due, tre volte consecutive: lo lascia
trillare, svogliato, perché non vuole alzarsi e abbandonare
il tepore del corpo della ragazza che ha accanto. Tuttavia, al settimo
o all’ottavo squillo, è costretto ad allungare una
mano verso il comodino.
“Pronto?”
sussurra assonnato, allontanando le coperte disfatte ai piedi del
letto.
“Ti ho
svegliato?” Il tono di Cissnei è una sfumatura a
metà tra il divertito e il costernato.
Zack tiene il telefono
tra la testa e la spalla, mentre si infila in fretta un paio di
pantaloni gettati alla rinfusa su una sedia. “No, ero
già sveglio da un po’…”
mente, avvicinandosi alla cucina e cercando un po’ di
caffè in frigo.
“Ti tradisce
il cadaverico tono di voce” afferma lei, con una risata un
po’ canzonatoria. “Sul serio, mi dispiace,
è solo che sono già le nove del mattino, e
pensavo che probabilmente ti avrei trovato già in piedi.
Bella la vita da disoccupato, eh?”
“Ha i suoi
vantaggi, sì” afferma lui, sorridendo.
“Come mai questa telefonata?”
“Volevo solo
dirti che… beh, domani parto per un’altra
missione. E non ho idea di quanto tempo possa impiegare prima di
terminarla. Dunque pensavo che magari, questa sera, avremmo potuto
vederci, parlare un po’…”
“E’
una bella idea!” approva lui, felice.
“E… pensi di potermi rivelare il luogo di
destinazione della missione, o sono informazioni super-riservate
accessibili solamente al reparto Turk?”
Ascolta la risata di
Cissnei attraverso l’apparecchio elettronico. Ascoltandola da
lì, sembra più stridula di quanto non lo sia
davvero. “Te ne parlerò stasera, se
vorrai.”
Al calar del sole si
ritrovano al solito bar, da soli, com’è loro
abitudine in serate del genere: Aerith preferisce non immischiarsi
nelle questioni della ShinRa, un po’ per paura, un
po’ per rispetto nei confronti della grande amicizia tra i
due ragazzi.
Prendono posto in uno
dei tanti tavoli vuoti, davanti alla vetrata illuminata da cui traspare
la quieta oscurità dei bassifondi notturni. Come al solito,
iniziano sorseggiando un bicchiere di whisky invecchiato.
“…e
quindi, l’ho portata un po’ in giro per la
città con il carrello dei fiori che le ho costruito.
All’inizio sembrava un po’ spaesata, ma poi si
è abituata in un lampo alla vita della gente sopra il
piatto!” esclama Zack, alla fine del suo racconto,
aggiornando la ragazza con gli ultimi resoconti delle sue avventure nei
bassifondi.
Cissnei non lo ascolta
con lo stesso interesse dei loro incontri precedenti. Sembra distratta,
mentre osserva al di fuori della finestra, incapace di mantenere viva
l’attenzione sul suo discorso per più di pochi
secondi. Zack se ne accorge ben presto, e lascia che il suo tono si
smorzi in un silenzio carico di comprensione.
“Qualcosa
non va?” chiede poi, lasciando andare il bicchierino
semivuoto sul polveroso tavolo di legno.
Cissnei compie lo
stesso movimento con il braccio, esitando giusto un secondo in
più di lui al momento di abbandonare la presa lungo le
fredde e levigate pareti del bicchiere. Sospira, stanca.
“E’
che… è stata una lunga giornata.”
“Ti andrebbe
di parlarne un po’?” le domanda Zack, con il tono
più incoraggiante che possiede. Dopotutto, vedere Cissnei in
questo stato lo fa star male.
La ragazza sembra un
po’ combattuta, divisa tra sentimenti contrastanti.
Probabilmente non vuole ledere il suo buonumore con inutili
preoccupazioni, ma, d’altra parte, sfogarsi con qualcuno le
farebbe tremendamente bene.
Alla fine, dopo una
manciata di secondi passati in silenzio, respira profondamente. Sulle
sue labbra si dipinge l’ombra di un sorriso tirato.
“E’
solo stata una di quelle lunghe, interminabili, sfiancanti giornate no.
E’ cominciata con quello stupido incarico. Sai, quello di cui
ti ho parlato prima, a Nibelheim. Sembra qualcosa di potenzialmente
pericoloso. Oltre a me, anche Sephiroth ed una manciata di altri
Soldier di gradi differenti saranno inviati sul posto. Credo ci sia
qualcosa che la ShinRa evita di rivelare persino ai suoi dipendenti, in
quel reattore. E poi…”
“Cosa?”
domanda Zack, concentrato.
“Ti
è mai capitato di pensare che quella che stai per
intraprendere potrebbe essere la tua ultima missione? Io non riesco a
togliermi questa sensazione. So che qualcosa andrà storto.
Me lo sento.”
Il tono di voce
è serio, demoralizzato, quasi rassegnato. Non l’ha
mai sentita parlare così: quest’idea deve averla
sconvolta parecchio.
“Ascoltami
bene, tu!” comincia il ragazzo, serio. “Spiegami
semplicemente perché in questa missione qualcosa dovrebbe
andare storto. Partecipa anche Sephiroth, che… cavolo!
E’ il miglior combattente dell’intero reparto
Soldier! Con lui accanto, puoi star certa che qualunque problema sorga,
verrà neutralizzato in men che non si dica. Vedrai che entro
pochi giorni sarai di nuovo qui, a Midgar, insieme a tutti gli altri.
La ShinRa ha passato periodi del genere continuamente, prima di
divenire l’immenso colosso mondiale che è oggi.
Una crisi passeggera non è nulla, per lei, fidati.”
Le sue parole sono
forti, decise, pronunciate con quell’indomito fervore ed
entusiasmo che l’ha sempre contraddistinto.
“Ti manca,
vero?” domanda Cissnei, il tono di voce malinconico.
“la ShinRa, intendo.”
La domanda
è tanto improvvisa che lo fa vacillare, per un attimo. Poi
il suo volto si dischiude in un sorriso. “In
verità, no. Ho imparato a non pormi nemmeno questa domanda.
Ricordo con dolcezza i giorni che ho passato nella compagnia, ma quelli
che sto vivendo adesso sono altrettanto belli e vividi. Non
c’è alcun motivo di fare un paragone tra due
realtà che, pur non coesistendo tra loro, sono di fatto
più simili di ciò che può
sembrare.”
Trascorrono diversi
minuti di silenzio. Cissnei tiene lo sguardo chino, perde i suoi
pensieri nel liquido ambrato che le sta di fronte, annacquato dal
ghiaccio. Poi, all’improvviso, un suo singhiozzo disperato
rompe la quiete, lacerandola. “Z-zack, ti
prego…” sussurra, tra le lacrime.
“Io… n-non voglio andare…”
La guarda negli occhi,
desolato. D’un tratto, capisce che c’è
ancora qualcosa che gli nasconde.
“Perché?”
le sue parole adesso sono fredde, pungenti, inquiete.
“T-ti
prego!”
Le lacrime che le
rigano il viso sono di gran lunga la cosa peggiore.
“Cissnei!”
esclama, grave.
“N-non
voglio… abbandonarti…” mormora lei, in
sussurro appena udibile.
L’affermazione
lo colpisce violentemente, con la potenza inaudita di quelle onde che,
glaciali, si infrangevano fragorosamente lungo la battigia a Costa del
Sol. Spalanca gli occhi, rielabora più e più
volte la frase sconnessa, cerca di trovarvi altri significati,
disperatamente.
“Che vuoi
dire?” le domanda, con un sorriso forzato di
incredulità.
“Hai capito
benissimo.” Il tono della sua voce, freddo, non ammette alcun
genere di dubbi.
“Io sto con
Aerith.”
“Lo
so.”
“E siamo
felici insieme.” Il sorriso scivola via dal suo viso, come
neve sotto il tiepido sole di fine inverno.
“So anche
questo.”
“E
allora…” comincia lui, irato. “Che cosa
credevi di fare dicendomi una cosa del genere?!”
Cissnei non risponde
alle sue parole, mortificata: tiene lo sguardo basso, troppo umiliata
per riuscire a guardarlo negli occhi. “T-ti prego,
non…”
“Cosa?!”
“N-non fare
così… t-ti prego…!” I suoi
singhiozzi diventano ancora più frequenti.
Zack si alza in piedi,
furente, e abbandona l’edificio in fretta. Ignora il rumore
dei passi alle sue spalle, il cigolio stridente della porta che si
apre, i suoi singhiozzi disperati che gli implorano di tornare
indietro. La sente urlare il suo nome, nel silenzio del vicolo
dormiente: Zack, Zack,
Zack! Urlerebbe il suo nome al mondo intero, ma lui non si
lascia impietosire. Carico di rabbia, non si volta nemmeno per un
momento, mentre svanisce nella foschia notturna originata dai vapori
del reattore Mako.
Cissnei, invece,
rimane per parecchio tempo lì, affacciata
all’uscio di quel dimesso bar di periferia, piangendo amare
lacrime di rabbia e sconforto. Il bicchierino è ancora ben
saldo tra le sue mani: tuttavia, questa volta non è
annacquato solamente dal ghiaccio.
Il giorno seguente,
prima ancora dell’alba, esce per fare una lunga passeggiata
per le vie ancora buie della metropoli. Ripensa agli avvenimenti della
sera precedente, cercando di analizzarli da una diversa prospettiva:
forse è stato fin troppo crudele con Cissnei, magari avrebbe
potuto mostrare maggiore comprensione nei suoi riguardi. Sicuramente,
in quel momento, la ragazza deve sentirsi distrutta, tra la partenza e
quell’infuocata discussione che ha distrutto i suoi sogni.
Tuttavia, non riesce ancora a perdonarla: non è stata
corretta nei suoi riguardi, gli ha nascosto qualcosa di importante che
avrebbe dovuto rivelargli parecchio tempo prima.
La linea
dell’orizzonte s’infiamma delle flebile luce
dell’alba. Una parte di lui si sente in colpa per la ragazza,
e gli propone di correre all’edificio ShinRa, fermarla,
chiederle scusa per il suo comportamento offuscato dalla rabbia.
L’altra parte, tuttavia, non riesce ad assolvere le colpe che
lei ha commesso nei suoi riguardi, e nutre verso Cissnei un profondo
rancore che riesce a giustificare solo in parte.
Osserva il sole
sorgere per l’ennesima volta dalle alte montagne ai lati
della città. Si ritrova a pensare che perdonare è
difficile, almeno tanto quanto chiedere scusa.
Nonostante alla fine
si sia preposto di andare a parlarle, quando arriva alla sede della
ShinRa è già troppo tardi. Attraverso qualche
ex-collega rimasto alla base di Midgar, riesce a sapere che le varie
squadre sono già state inviate verso le loro destinazioni
all’alba, per essere già operativi sul luogo
durante il corso di quella stessa giornata.
Lascia la sede della
compagnia, pensieroso; attorno a lui, lentamente, la città
riprende vita sotto il suo sguardo.
Per gran parte dei
giorni seguenti, è distratto, taciturno, con la testa
altrove: ha provato a chiamarla diverse volte, durante quelle lunghe
giornate, speranzoso, tuttavia il telefono ha sempre squillato a vuoto
per diverse volte. Probabilmente non ha molta voglia di parlare con
lui: dopotutto, dopo il modo in cui si sono lasciati, persino lui non
riesce a biasimarla per la sua decisione.
Aerith, in quei
giorni, lo osserva attentamente, impensierita dal suo comportamento
apatico e silenzioso, così diverso dal solito modo
esuberante di fare che l’ha sempre contraddistinto. Capisce
anche lei che c’è qualcosa che non va, qualcosa
che lo impensierisce e che al tempo stesso lo turba profondamente:
tuttavia, nonostante le costi molto, asseconda il suo desiderio, e
decide di non costringerlo a parlare con lei, se non gli va.
E poi, a sette giorni
dalla partenza di Cissnei, durante una brutale tempesta che sconquassa
con violenza l’anima della città, Zack riceve una
telefonata.
Sa già che
qualcosa non va, lo sente, prima ancora di premere il tasto per
accettare la chiamata.
Cissnei è
morta. Così gli ha detto Tseng, in quella breve telefonata
di pochi minuti prima. L’intera Nibelheim è arsa
in un incendio, durante la notte: cause sconosciute, nessun superstite
tra i membri della compagnia, nemmeno il leggendario Soldier di prima
classe Sephiroth.
Non capisce come sia
potuto accadere. Ci deve essere un errore, sì, probabilmente
è così: la ShinRa emette continuamente comunicati
del genere sulla morte dei propri dipendenti, per nasconderne
l’effettiva ubicazione o per eliminare qualunque traccia di
cattiva condotta. Ne è sicuro: quasi certamente è
solo una copertura di cattivo gusto architettata dalla compagnia.
Ne parla con Aerith,
poco dopo, attraversando il fragore assordante della pioggia che si
dibatte lungo le vie scarsamente illuminate, fino a casa sua.
“Se il
comunicato diceva così, allora deve essere vero”
esclama Aerith, nella penombra della sua camera, lanciandogli un
occhiata costernata. Lui si alza in piedi, avanza fino alla finestra,
osserva le gocce di pioggia scivolare e ricongiungersi lungo il vetro,
in una breve traiettoria che si dilunga attraverso la superficie
verticale.
“Non
capisci… la ShinRa ha già fatto una cosa del
genere, prima con Genesis, poi con Angeal! Ed entrambi i casi, erano
vivi, ed il comunicato di morte era solo una menzogna della ShinRa.
Potrebbero aver fatto la stessa cosa con Cissnei e Sephiroth!”
“Oppure
potrebbero aver detto la verità.”
Zack si volta verso di
lei, incredulo. “Da quando vai d’accordo con tutte
le macchinazioni che ordisce la ShinRa?”
Aerith si alza in
piedi, decisa. “Da quando le loro parole sono di gran lunga
più convincenti delle tue! C’è stato un
incendio, è normale che non ci siano dei superstiti! Se
è accaduto durante la notte, probabilmente non hanno nemmeno
avuto alcuna possibilità di fuga!
“Forse
mentono anche su questo!” esclama Zack, cercando una
scappatoia alle sue parole. No, non può nemmeno prendere in
considerazione l’idea di credere ad un ipotesi tanto
ridicola. Deve ancora scusarsi con Cissnei, rincuorarla, dirle che gli
dispiace, che non avrebbe dovuto trattarla così, in maniera
tanto rude e aspra, quella sera, e che era solo sconvolto da
quell’inaspettata rivelazione.
No, non può
essere morta. Non adesso che ha capito quanto è importante
per lui e per la sua vita. Vuole ringraziarla per tutti i suoi preziosi
consigli, dirle che da quando c’è lei la sua vita
è migliore, e che, nell’ipotetico futuro che a
volte immagina, c’è posto anche per lei, accanto a
lui e ad Aerith.
La ragazza davanti a
lui ha un espressione scettica sul volto. “Zack, sei
sconvolto da questa storia, è ovvio che tu creda sia tutto
un imbroglio. Tuttavia, le possibilità che sia davvero come
dici sono quasi del tutto inesistenti!”
Il ragazzo nemmeno lo
ascolta, tanto è perso nei suoi pensieri. Si alza in piedi,
si rassetta i vestiti come meglio può, poi si avvicina alla
porta, veloce.
“Dove stai
andando?” chiede Aerith, confusa.
“A salvare
un’amica.” La risposta è breve, concisa,
screziata dalla ferma decisione che ha assunto il tono della sua voce.
“Vuoi andare
fino a Nibelheim da qui?!”
“Tseng si
prenderà cura di te.”
“Ma…!”
“No!”
esclama lui, interrompendola. Non vuole che cerchi di fermarlo, che gli
dica di lasciar perdere e di restare lì, con lei, aspettando
che il dolore per la perdita appena subita si lenisca lentamente. La
bacia dolcemente, con passione, interrompe il flusso dei suoi pensieri
solo per un momento, assaporando la libertà che il tocco di
quelle labbra gli fa sentire.
“Tornerò
presto” sussurra lui, aprendo la porta. Aerith lo saluta con
un cenno del capo, mentre sul suo volto si dipinge il tiepido tepore di
un sorriso timido di comprensione.
Abbandona la casa di
Aerith, correndo sotto la pioggia che batte ininterrottamente sul
selciato. Quando arriva al suo appartamento, bagnato fino
all’osso, si dirige verso il ripostiglio, in fretta. Trova
ciò che sta cercando, sorridendo. Dopotutto, gli
è mancato tenere in mano la sua Buster Sword.
E, con la spada che
rappresenta il suo onore, si mette in viaggio. Attraversa pianure,
montagne, regioni intere che, in tutti quegli anni, non ha mai avuto
occasione di vedere, ma che adesso gli appaiono davanti, lungo la linea
infinita che si estende davanti a lui. Spesso, la sera, parla con le
stelle, certo che gli indicheranno la via: non ha mai fatto un viaggio
del genere da solo, e dunque è confuso, indeciso sulla via
corretta da seguire: un paio di volte, giunto ad un villaggio, scopre
di aver sbagliato direzione, e quindi si rimette in marcia, conscio di
aver perso inutilmente del tempo prezioso.
Una settimana dopo che
ha cominciato quel suo lungo viaggio, si ritrova nei pressi delle
rovine di Nibelheim. Osserva le poche tracce lasciate
dall’incendio, scava tra le macerie delle case, in
preda alla disperazione: ma tra quelle rovine annerite non
c’è alcuna traccia del passaggio della ShinRa.
Avanza attraverso le
travi annerite dal grande incendio. C’è una
stradina di campagna, più in alto, dissestata, tortuosa,
piena di piante secche ed annerite. Vi si avventura, sempre
più convinto che la risposta a quel mistero sia
lì, a pochi passi da lui, nascosta per bene su quelle
montagne.
E poi, lo vede.
Dapprima è
solo un riflesso del sole, che si specchia lungo la superficie ben
levigata dell’arma. Poi, quando si avvicina, nota le numerose
striature scarlatte lungo le quattro braccia dell’utensile.
In un istante, riconosce l’arma di Cissnei.
Lo shuriken
è conficcato con forza in un punto in cui il terreno
è stato dissodato da poco. Passa una mano lungo il ruvido
selciato, tremante. Comincia a scavare con le mani, in preda ad una
folle disperazione, cercando di fugare il suo terribile presentimento.
Non può essere, non può aver viaggiato tanto solo
per quello…
Dopo pochi minuti,
sfiora con la punta delle dita quello che sembra essere un arto.
Istantaneamente, un brivido freddo di spavento gli percorre la schiena.
Il fetore putrido che emana il cadavere semisepolto gli dà
la nausea.
Reprime la sensazione
di vomito, costringendosi a riportare alla luce quel braccio che ha
toccato poco prima. Senza neanche guardarlo, chiude gli occhi. Non
è certo di voler sapere a chi appartiene.
Poi, sospirando e
facendosi coraggio, alza le palpebre, tremante.
Il braccio, bianco e
gelido, presenta alcune caratteristiche particolari che riconosce con
facilità. L’uniforme del cadavere è
quella di un fante, non di un Turk.
Il sollievo
è così grande da farlo barcollare per diversi
istanti, confuso. Poi, un enorme sorriso di felicità gli si
dipinge sul volto. La sua risata è lunga, sincera,
così immensa da rischiarare l’intera valle.
Ci mette ancora
diversi secondi prima di capire che quella non è la tomba di
Cissnei, e che lei è ancora viva, da qualche parte,
nonostante abbia lasciato la sua arma lì, su quella tomba,
come una firma indelebile che testimonia il suo passaggio. Sfila da
terra lo shuriken, ammirandolo come il più prezioso tra i
tesori del mondo. Al suo posto lascia la Buster Sword, conficcandola
lungo il solco già creato dalla precedente arma, come
tributo d’onore al fante sconosciuto sepolto in quella tomba,
che durante i giorni a Nibelheim l’ha conosciuta e protetta,
e che forse ha addirittura sacrificato la propria vita per lei.
Ricompone la tomba,
prestandovi parecchia cura, mentre diverse lacrime di gioia gli rigano
il volto. Alla fine, prima di proseguire per il suo lungo viaggio,
raccoglie da terra lo Shuriken rosso fuoco.
Dopotutto, dopo che
questa lunga storia sarà giunta al termine, a Cissnei
occorrerà nuovamente un'arma. E quando sarà il
momento, lo sente, lui sarà lì con lei,
così come fanno i veri, grandi amici.
FINE
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