WASTED
WASTED
La piccola Ginevra Weasley ha
ventisei anni e un segreto da mantenere.
“Sei strana.”
Abbozzò un sorriso e trattenne
a stento una risata. Avrebbe voluto dirle grazie perché senz’altro,
strana, era il miglior complimento che le avessero mai fatto. Davvero. Non che
la sua vita fosse completamente uno schifo, no, ma comunque si dava da fare per
esserlo. Quanti anni aveva? Ventiquattro, venticinque? No, no, ventisei che
stupida. Aveva ventisei anni e ancora non sapeva che farsene della sua
esistenza. Tragico, vero? Sapeva di dover provare un minimo di stordimento, di
apprensione, eppure tutto ciò che provava era indifferenza. La stessa
indifferenza con cui fissava quella tazzina di caffè fumante e dall’aroma
vagamente piacevole.
A ventisei anni Ginevra Weasley
non era niente. Niente di ciò che gli altri volevano che fosse.Wow!
Al contrario, la ragazza che le
sedeva di fronte, avvolta nel suo cappotto nero invernale era… come dire, tutto?
‘Siori e ‘Siore, Hermione Granger, la donna dalle mille stramaledettissime
risorse! Va bene, da quanto aveva iniziato a provare quell’astio incotrollabile
verso qualsiasi essere perfetto? Bè, dal momento stesso in cui aveva deciso di
non essere perfetta. Quindi, esattamente dopo il diploma ad Hogwarts.
“Grazie.”
“Non voleva essere un
complimento.”
“Per me lo era.”
Hermione non era cambiata
affatto: lo stesso sguardo severo e inquisitore. Lo sguardo di una persona che,
a prescindere dalle tue motivazioni, ti giudica. Si domandò perplessa se quella
donna si fosse mai sciolta a contatto con qualcuno, perché da che ricordava, né
Harry né Ron erano riusciti a privare Hermione della sua cortina di gelo. Forse,
tra i due, Harry Potter c’era andato più vicino. Ma di poco, pochissimo. Alla
fine, era lei, Ginevra Weasley, a dover fronteggiare il muro, tentando
disperatamente di non andarvi a sbattere contro. Onorata, davvero.
“Hai studiato, perché non
lavori?”
“Non mi pare che l’aver
studiato implichi necessariamente il trovarsi un lavoro.”
“Per la maggior parte delle
persone, sì.”
“Bè, allora credo di non
rientrare in questa maggior parte di cui vai parlando. Io sto bene.”
“No che non stai bene. La noia
che ti si legge negli occhi è tangibile.”
Tangibile?
“Potresti utilizzare parole
più… più umane quando parli con me? Mi fai venire i brividi.”
“Perché non Auror?”
“Perché sì?”
Adorava mettere in difficoltà
un modello di perfezione come lo era Hermione Granger. Ok, ammetteva che la
donna che aveva di fronte le aveva dato quanto più ci si dovesse aspettare da
un'amica, ma c’era dei limiti a tutto.
“Harry è preoccupato, Ron
anche, tua madre non ne parliamo neppure.”
“Ho ventisei anni, Hermione, è
un po’ tardi, non credi?”
“Esistono Auror che hanno
quarant’anni, Ginny.”
“Se è per questo Jack Leroy ne
ha sessanta.”
“Sessantuno.”
Ginevra Weasley storse la
bocca, arricciò il naso, in una smorfia che era palesemente di disgusto.
“E’ il mio lavoro.”
Le persone tendono a trovare
sempre una giustificazione a tutto. Le odiava.
“Francamente, non voglio che
sia il mio.”
“No, tu non potresti fare
questo lavoro. Hai altre potenzialità, in battaglia per esempio.”
“Perché mi volete sbattere in
un campo di battaglia? Vi divertite, forse, a sapermi morta?”
Il suo sguardo era palesemente
offesso. “N-no, che cosa stupida.”
Stupida quanto la verità che
celava dietro.
“Non mi interessa. Voglio
troppo bene a me stessa.”
“Se la pensi così sei egoista.”
“Non ho problemi ad ammettere che
lo sono.”
Da quanto tempo Hermione
tentava di convincerla, assediandola con la sua presenza? Da quando un numero
cospicuo di Auror era deceduto in una delle ultime battaglie contro i seguaci di
Voldermort. Pertanto, non era lei l’egoista. Era l’iposcrisia in persona che
guidava le redini del pensiero di quella donna, un tempo la più intelligente che
esistesse in tutta Hogwarts. Reclute, volontari. Andava bene chiunque pur di
distruggere il Male.
Il Male.
Non si sarebbe persa in delle
banali quisquilie filosofiche, ma sapeva che il Male era dovunque, il Bene da
nessuna parte. Andiamo, tutti nella loro vita avevano commesso qualcosa che
non stava bene, che non era civilmente corretto. I bambini iniziavano
con lo schiacciare le formiche, i grandi con l’ammazzare altre persone. Esisteva
una differenza? Sì, se si pensava al fatto che una formica non godeva di leggi a
favore della sua esistenza.
“Se cambi idea, sai dove
trovarmi. A qualsiasi ora, non importa.”
Ginevra fece un cenno col capo,
più per gentilezza che per altro. “Come vuoi.”
“Promettimi di pensarci. Tuo
fratello Ron non starebbe nella pelle dalla contentezza.”
“Mio fratello Ron non starebbe
più nella pelle se tu ti infilassi nel suo letto.”
Il rossore sulle sue guance era
eccessivo e il tentativo di reprimere la rabbia del tutto inutile. Un gesto
freddo, che voleva essere cordiale, fu tutto ciò che Ginevra ricavò da quella
mattina, le peggiori ore trascorse della sua esistenza. Ma andava bene così, in
fondo, diventare un Auror non avrebbe facilitato le cose, tutt’altro, avrebbe
contribuito a renderle più complicate. E tutto ciò che Ginevra non voleva era
che qualcosa di complicato intaccasse la sua apatica vita.
La donna dai capelli vermigli,
dalle efelidi pronunciate e dagli occhi di un nocciola profondo, guardò
l’orologio affisso ad una parete del piccolo bar babbano dove lei ed Hermione
Granger si erano date appuntamento. Era l’ora, con un po’ di fortuna, sarebbe
arrivata perfino in anticipo. Si bagnò le labbra con la punta della lingua,
lasciando una piccola mancia per un cameriere inesistente e si abbandonò
all’aria di Londra.
Londra era piena di vicoli,
stretti, grandi, lunghi, corti e umidi. Esattamente come quello contro cui
poggiava le spalle, persa in una sorta di contemplazione per dei rifiuti
malcelati in un bidone. L’odore poco importava, aveva decisamente sentito di
peggio. Ginevra Weasley si guardò intorno, guardò in alto e guardò perfino in
basso. La prudenza non era mai troppa. Gettò a terra il borsone di pelle, che
sua madre le aveva regalato per un compleanno. Un regalo che proveniva niente di
meno che dall’armadio di suo fratello Bill.
Si spogliò del cappotto di lana
grigio, il primo indumento nuovo che avesse mai avuto in vita sua. E proprio
perché era nuovo, si preoccupò di ripiegarlo alla perfezione all’interno del suo
borsone. Fu la volta della camicetta attillata che mancava di un bottone al
collo, della gonna a quadri scozzese che aveva comprato ad una bancarella
dell’usato.
Tentò di ignorare i brividi che
scorrevano lungo il suo esile corpo, provocati dal freddo pungente che adesso
aveva libero accesso alla sua pelle. Si inginocchiò a terra, cercando di non
smagliare l’unico paio decente di calze che avesse e controllando che tutti
fossero davvero impegnati nella corsa frenetica degli acquisti. Aprì, infine,
una tasca laterale della borsa, estraendone un paio di pantaloni neri ed una
maglia a collo alto dello stesso colore. Li fece scorrere lungo la sua pelle
diafana, provando conforto quando il calore della stoffa venne a contatto col
suo corpo.
Afferrò un elastico, rosa
fosforescente, un pugno allo stomaco, ma adatto a legare i suoi capelli crespi e
riccioli, che comunque non ebbero l’intenzione di stare legati attorno al suo
volto. Infine, si portò sulle spalle un mantello, mentre con le dita affusolate
congiunse i bottoni del colletto con i rispettivi occhielli.
Fatto. O quasi.
“Alla buon’ora.”
Ginevra sorrise, china sulla
propria borsa. “Non sono in ritardo.”
“No, non lo sei.”
“Gradito lo spettacolo?”
“Abbastanza, anche se tra i
bidoni non rendi il massimo.”
Ginevra afferrò il borsone, si
guardò attorno ed infine lo incastrò tra i bidoni dell’immondizia. Ripensò
all’incontro con Hermione. Non è che non avesse un lavoro, un impiego ce
l’aveva. Un po’ difficile da spiegare, dal momento che non aveva una paga
retribuita o uno stipendio a fine mese. Come dire, era qualcosa a cui bastava
una buona dose d’istinto, una certa capacità nel maneggiare una bacchetta e
perché no, un Avadra Kevadra.
Ginevra si infilò il cappuccio
e coprì le proprie efelidi con una mascherina d’argento. Le causava un certo
solletico, ma non poteva farci niente. Erano le regole.
“Muoviamoci.”
Lui la imitò, coprendo i
capelli biondo-platino con la stoffa del suo cappuccio e il grigio degli occhi
con l’argento della maschera. Ginevra osservò la sua maestosa figura camminare
nel vicolo sporco e quanto mai inadatto ad un essere come lui. Fece una smorfia,
quel mantello copriva decisamente troppe belle cose.
“Un vero spreco.” Sbottò, per
poi scomparire nelle oscurità di Londra.
A/N: una one-shot corta,
non lo metto in dubbio. Però ormai l'ho scritta, quindi niente da fare, non mi è
rimasto che postarla X') Alzino la mano quanti di voi non sanno che sono una
fanatica di Draco/Ginny? Se avete letto le mie storie, siete davvero pochi. La
tentazione di mettere Draco a fine storia è stata troppo, troppo, forte, non me
ne vogliano coloro che non amano questo personaggio. Naturalmente, io, quale
devota shipper di questa coppia, la intendo sotto una luce diversa, ma credo che
questa storia possa comunque essere letta sensa risvolti romantici o ché. Non
credete? Naturalmente, a chi non piace Ginny Weasley, questa fanfiction è fuori
discussione. Bene, pubblicizzo, come a mio solito la mia “Indovina Chi Viene a
Cena.”. Ultima cosa. Questa storiella l'avevo già pubblicata sul mio blog (la
cui url potete trovare nell'account). Per il resto, se volete lasciarmi qualche
vostra impressione... niente da eccepire!
Buona giornata a tutti,
Claudia
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