Rojo
sangre.
(One-shot, 649 parole).
Neanche il tempo di strappare un morso che l’ortaggio gli era
scivolato via dalle mani, macchiando il pavimento dello stesso rosso
acceso che sporcava, in quel momento, il viso abbronzato di Antonio.
Aveva un che di magnetico, quel colore, sui suoi lineamenti morbidi e
ombrosi – non fu capace di staccare gli occhi, mentre il
pomodoro balzava pesantemente sulla pietra fredda, rotolava e si
accasciava con l’identica fiacchezza di un palloncino
svuotato d’aria.
«Spagna…?». Non riuscì a
deglutire il boccone per lo spavento.
Antonio di rimando gli sorrise, per quanto riuscisse, sforzandosi di
rassicurarlo: il sangue riluceva sulla sua bocca come se labbra e denti
fossero stati ricoperti da minute pietre preziose.
«Non spaventarti, Lovi. Sono io».
Il buio della sera contribuiva a rendere la figura del suo padrone
ancor più sparuta e spettrale. Lovino rimase immobile,
impietrito dallo sgomento. Sentì il clangore della spada
caduta frastornargli i timpani e riecheggiare per le alte arcate del
soffitto, assieme ai passi lenti e instabili di Antonio, che avanzava
verso di lui. Quando lo circondò in un abbraccio,
l’odore di sangue – cattivo, così
cattivo e così poco consono a quella presenza rassicurante
– si fece più forte.
«Non volevo, scusami».
E tremava, si accorse Lovino, tremava. E continuò a tremare
– forse per la spossatezza, forse per il dolore o per la
contentezza di aver fatto ritorno vittorioso – anche quando
crollò per terra, ai piedi di colui per il quale aveva
combattuto.
«L’ho fatto per te».
Medicarlo era un compito semplice da assolvere. Antonio non si muoveva,
statico nella sua posa fiacca, le spalle curve a offrirgli graffi e
ferite da detergere e bendare; rimaneva fermo anche quando Lovino
frizionava con vigore eccessivo sui tagli – accidentalmente,
per una volta, mosso da parole scomode.
«L’ho fatto perché ti voglio
qui».
«L’hai fatto per te, allora»,
ribatté sprezzante Lovino. Annodò la fasciatura
sul braccio con un gesto secco, lanciandogli poi uno sguardo, timoroso
di aver stretto troppo. Antonio continuava a guardare i movimenti delle
sue mani, impassibile.
«L’ho fatto perché tu mi appartieni. Non
so cosa sarei capace di fare se perdessi qualcosa di caro».
«Non sono un bottino, bastardo. Ho il mio orgoglio».
«Sei mio. È come perdere un pezzo di me,
capisci?».
Spagna era la Nazione più vanagloriosa e dispotica del globo
intero a pensare di poterlo monopolizzare in una maniera
così assurdamente sfrontata.
«Smettila con queste stronzate, idiota».
«Non lasciarmi, Lovi. Io prometto di proteggerti, contro
chiunque e fino all’ultima goccia di sangue, ma tu non
lasciarmi».
Era diretto, brutalmente possessivo, e se anche Lovino avesse soltanto
accarezzato l’idea dell’intenzionalità
di quell’atteggiamento, la schiettezza e la
genuinità di Antonio – dei suoi gesti e delle
parole pronunciate istintive – avrebbero confutato
ogni suo dubbio. La naturalezza con cui parlava e giurava lo
ammutoliva.
Lui, però, non poteva promettergli nulla.
Antonio non avrebbe mai creduto che, un giorno, sarebbe arrivato a
odiare il rosso colore dei suoi pomodori.
Era dappertutto.
Per terra, sulle macerie desolate che si ergevano mostrando al tramonto
i loro contorni distorti, sulla sua divisa; macchiava la lucentezza
della spada che teneva in pugno e si sentiva il viso sporco.
Lo odiava, perché ne aveva le mani zuppe e non aveva lo
stesso odore del succo di pomodoro che, nei pomeriggi
d’estate, era solito preparare in compagnia di Lovino e della
sua impazienza.
Era sangue, e avrebbe voluto dire di essere stato costretto, ma
entrambi sapevano che non era stato così. Era stato lui a
costringerlo, con la sua possessività e il suo dispotismo
d’innamorato, a indurlo a sollevare la spada nel disperato
tentativo di liberarsi.
«L’ho fatto perché sei mio».
Da quella distanza non riusciva a scorgere il volto di Lovino, immerso
nell’ombra, ma sapeva che, adesso, somigliava in maniera
incredibile al frutto col quale l’aveva nutrito. Era rosso,
di un rosso che faceva male agli occhi. Si lasciò scivolare,
stramazzare, e, inginocchiatosi sulla povere, si coprì il
viso con le mani.
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