Capitolo
primo – Illusa e disillusa
Nella
penombra della mia camera iniziai a scarabocchiare sul quaderno
frasi senza senso sperando che prima o poi arrivasse la tanto attesa
ispirazione. Mi stavo illudendo, il mio blocco era più forte
di quanto temessi.
Avevo
finito gli esami da un paio di settimane, ma pur essendo libera mi
sentii più vuota di prima, come se non potessi fare a meno
di alzarmi presto la
mattina e avere
qualcosa da fare, magari imposto
da qualcuno pronto a decidere del
mio futuro. Io
l’ho sempre pensato, la scuola rovina la gioventù.
Il mio
sogno era fare la scrittrice: fin da piccola passavo le mie
giornate a inventare storie assurde sperando che un giorno le avrei
scritte e
pubblicate, ero addirittura convinta
che una volta
cresciuta la mia fantasia sarebbe rimasta tale. Ahi, ahi, beata
innocenza. In
quel momento fui costretta a dover chiudere il mio sogno nel cassetto e
iniziare a cercare un’università dove avrei preso
una buona laurea per
diventare un avvocato o buttarmi in qualche ufficio a fare la precaria
perditempo.
Sì,
mi arresi senza opporre resistenza.
«Buon
giorno.» quello stesso pomeriggio mi recai allo sportello
universitario.
Dovetti
prendere l’autobus per raggiungerlo visto che quello del mio
piccolo e disperso paese era fuori uso da quasi un anno.
«Salve,
lei è?» una signora visibilmente robusta e sulla
cinquantina mi
guardò con aria di sfida portando gli occhiali sulla punta
del naso in attesa
di una mia risposta.
«Agata,
Agata Condorelli.» risposi io stranita.
«Bene
signorina “Agata Condorelli”, lei lo sa che le
iscrizioni per le
università ormai si fanno su internet, vero?».
Ero
davvero sbigottita nel vedere come quella sconosciuta fosse tanto
incazzata con me (perché non si può dire che
fosse semplicemente “arrabbiata”).
La fissai per un attimo, poi risposi prima che mi potesse avvelenare
aprendo
bocca.
«Si,
certo… ero venuta solo –
«Oh,
Cristo, arrivi al dunque!» esclamò interrompendomi.
Chiusi
gli occhi e portai la mano destra alla fronte massaggiando con il
pollice e l’indice l’estremità superiore
del naso cercando di calmare i miei
istinti omicidi, poi riaprii gli occhi.
«Senta
signora…» mi avvicinai allo sportello
«non ho idea di cosa lei
abbia nei miei confronti, ma le chiedo cortesemente di fare il suo
lavoro e di
darmi queste cazzo di informazioni su queste cazzo di
università. Chiaro?» dissi
abbassando la tonalità della mia voce.
La
signora accennò un sorriso, non uno intimidatorio, era un
misto di
presa per il culo e di allegria, questo mi fece innervosire
ulteriormente.
«Sono
“signorina”, prego.» mi diede un malloppo
di fogli, per poi alzarsi
e scoppiare a ridere.
«Grazie.»
furiosa mi allontanai, pensai che la “signorina”
prima di
andare a lavorare avesse sniffato probabilmente qualche bella dose di
cocaina.
«E meno male che è signorina.» borbottai.
Quando
arrivai alla fermata dell’autobus mi sedetti su una panchina
e
iniziai a sfogliare il malloppo…
qualcosa evidentemente non andava.
«FOGLI
BIANCHI?!» mi alzai dalla panchina con un diavolo per capello.
Quando questi mi
caddero dalle mani mi accorsi che erano
semplicemente girati.
Dopo
averli raccolti mi risedetti mantenendo la calma. Mi sentii
esaurita, pensai che il mio “self control” fosse
andato a farsi friggere, risi
rendendomi conto di quanto ero ridicola.
In mezzo
al malloppo c’era una busta grande quanto un foglio A4, lo
aprii.
Ciò
che la busta conteneva era una sorta di modulo di iscrizione per una
fantomatica accademia di scrittura. Il contenuto era totalmente scritto
in
inglese e, per quanto me la cavassi, in alcuni punti non era chiaro
cosa
volesse dire.
Pensai
fosse una presa per il culo, ma in effetti era un documento
talmente ben fatto che non poteva essere uno scherzo (e poi a quella
chi la
conosceva…).
Le
domande del modulo erano al quanto bizzarre, alcune addirittura
interessanti, le lessi una
volta tornata
nella mia umile dimora ed iniziai a rispondere un po’ per
gioco, un po’ per curiosità.
Le domande erano tipo:
“How
did you find this form?”
E le mie
risposte erano tipo:
“Because
of a bitch.”
Inutile
tradurre.
Finito
il modulo decisi che era ora di fare un po’ di zapping, non
avevo
sonno quindi provai a cercare in televisione qualcosa di interessante,
ma al solito
non c’era niente di che.
Furono i
“dolci” rimproveri di mia madre a svegliarmi
l’indomani mattina,
tutto questo per non aver preso informazioni sui test di ammissione per
l’università. Mi ordinò che il prossimo
venerdì mattina ci sarei dovuta andare
insieme a lei nonostante avessi insistito che bastava semplicemente
fare tutto
su internet.
Proprio
quel pomeriggio mi resi conto che quello strano modulo era
sparito. Non era importante, però durante la notte avevo
pensato a nuove
risposte altrettanto idiote da scriverci sopra.
«Pazienza.»
mi dissi.
Da quel
momento in poi, però, il mio pensiero era andato a finire su
quel
modulo… chissà, magari era davvero
un’accademia di scrittura. Sarebbe stato
bello andare in America o in qualche altro luogo all’infuori
di questo per
studiare come si deve e iniziare una vera carriera da
scrittrice… o magari mi
stavo semplicemente illudendo.
«Cazzo quanto sono
stupida…» in
quel periodo facevo abuso di parole poco fini per esprimere le mie
emozioni,
portai le mani sul volto e stetti sdraiata sul letto per quasi un
quarto d’ora.
***
A
Day_Dreamer: ti ringrazio per
avermi avvertito degli orrori grammaticali e per aver aggiunto questa
storia
tra quelle seguite!