Leucemia 1
Disclaimer:
Numb3rs non appartiene a me. Peccato. E non mi
appartengono neanche le piccole sezioni delle canzoni che iniziano
ciascun
capitolo.
Timeline:
Seconda o forse anche terza stagione. Non tanto
importante.
E mille grazie di nuovo a
Alchimista che ha fatto e sta facendo un buonissimo lavoro correggendo
questa
storia! …E no, non cambierò l’aggettivo
“geniale” in un altro per descriverla :)
Capitolo
1
We stood side
by side,
each
one fightin' for the other.
And
we
said until we died
we'd
always be blood brothers.
(Bruce
Springsteen, Blood Brothers)
Il
telefono
suonò. «Eppes».
«Hey,
Charlie,
come stai?»
Era
suo
fratello Don.
«Benissimo,
se
non ci fosse tutto questo stress per le tante cose da fare. Allora sii
breve.
Perché mi hai chiamato?»
«Avremmo
bisogno del tuo aiuto, Charlie».
Charlie
sogghigno. Chissà per quale ragione aveva immaginato una
cosa simile.
«Questo
già lo
so. Altro?».
Da
quando Don
si era accorto di come le capacità matematiche di suo
– in questo aspetto così
talentuoso – fratello potevano aiutare lui e il suo team,
erano passati pochi
casi nei quali non le avevano impiegate. E Charlie amava aiutarli, per
varie
ragioni. Certo, era felice di contribuire con la sua matematica alla
soluzione
di vari crimini, ma trovava anche molto avvincente essere sempre
lì da vicino.
E infine – anche se poco tempo prima avrebbe riso se qualcuno
gliel'avesse
detto – gli piaceva lavorare insieme a suo fratello e
soprattutto poter
ottenere l'attenzione di quello, qualche volta.
Anche
dalla
voce di Don si poteva sentire che stava sogghignando per la sua
risposta. «Stai
forse dicendo che noi saremmo completamente imbranati senza di
te?».
In
effetti
questo succedeva spaventosamente spesso, soprattutto quando avevano
bisogno di
risultati velocemente – e in ogni caso, quando avevano a
disposizione
abbastanza tempo?
Don
diventò
serio di nuovo. «Si tratta di due casi di morte abbastanza
strani in una
struttura che un tempo ospitava missionari cristiani a Santa Barbara.
Adesso lì
si trova un ospedale privato e nella settimana scorsa due pazienti sono
morti
d’influenza anche se erano ricoverati lì per altre
ragioni; e anche altri
pazienti sono stati infettati dal virus. Abbiamo avuto una segnalazione
anonima
e volevamo verificare quanto fosse corretta. Può darsi che
sia l'opera di
qualsiasi serial killer pazzo. Però non escludiamo per ora
che possa essere
bioterrorismo».
«E
cosa devo
fare io in questa faccenda?»
«Abbiamo
pensato che forse potresti capire come queste persone hanno potuto
infettarsi».
«Certo,
non
dovrebbe essere un problema. Però, per questo avrei bisogno
di più di
informazioni. Devo parlare con le persone ammalate».
«Okay»
rispose
Don, sorridendo tra sé. Appena qualche istante prima Charlie
si era lamentato
dello stress e adesso ne aveva accettato ancora di più. No,
questi professori –
soprattutto suo fratello – probabilmente non li avrebbe mai
capiti.
«Megan
ed io
vogliamo andarci comunque. Verremo a prenderti, dato che la CalSci
è di
strada». E
inoltre, in quel modo è più
sicuro per tutti gli utenti del traffico,
pensò Don e ridacchiò.
Pochi
minuti
più tardi Charlie salì nella macchina dei due
agenti dell’FBI. Durante il
percorso per l’ospedale privato i due gli diedero
informazioni circa i
differenti quadri clinici dei pazienti. Una delle vittime, una donna
sulla
tarda cinquantina, era stata ricoverata a causa di una spalla
fratturata.
L'altra vittima, un uomo anziano, aveva sofferto del morbo di Alzheimer
ed era
stato in ospedale solamente per un controllo pratico. Gli altri malati
avevano
malattie di ogni sorte: fratture, danni ad organi, malattie della
pelle.
C’erano a mala pene due persone che soffrissero dello stesso
male.
Arrivati
nel
piccolo ospedale, fecero visita per prima a Jessica Hayles, una donna
di circa
35 anni, che era stata ricoverata per delle bruciature non molto gravi
e che,
adesso, soffriva d'influenza già da più di una
settimana. I tre si presentarono
con i loro nomi e Don e Megan mostrarono alla donna i loro distintivi.
Poi,
chiesero le domande.
Charlie
notò
velocemente ogni dettaglio: da quando Mrs Hayles soffriva
d’influenza, che
farmaci aveva preso, perché era stata portata proprio in
quell'ospedale e tanto
altro. Per i suoi calcoli, ogni dettaglio poteva essere importante.
Infine,
quando Don e Megan sembravano aver finito e stavano per alzarsi
continuò lui a
fare domande.
«E
come,
esattamente, si è fatta queste bruciature?»
Mrs
Hayles, che
ovviamente aveva dimenticato la sua presenza, si voltò verso
lui in una
confusione blanda. «E' importante?»
Dicendo
questo
guardò di nuovo Don e allora quello dette la risposta.
«Tutto può essere
importante».
«Va
bene. E'
successo quando stavo cucinando. Volevo fare degli spaghetti, quando la
pentola
mi è scivolata dalle mani. Potete immaginare dove
è finita l'acqua bollente,
alla fine».
Charlie
annuì
scrivendo. «Lei ha una famiglia?»
La
donna lo
stava fissando. «Mi dica un po', chi è
lei?»
Charlie,
che
era stato a grattarsi il naso, guardò in alto staccando gli
occhi dalle sue
informazioni. Non l'aveva detto all'inizio? Arrossì
leggermente. Questa donna
aveva dovuto considerarlo un imbecille, forse un novellino dell'FBI.
«Io
sono un
matematico e occasionalmente aiuto l'FBI in qualche caso»
rispose nel modo più
dignitoso e allo stesso tempo più modesto possibile, una
prestazione che non
era di certo facile.
Jessica
Hayles
annuì come se avesse capito, ma la sua bocca rimaneva aperta
e Charlie credette
di poter di intuire dietro la sua espressione che la donna si stava
chiedendo
come, per tutto il mondo, un matematico potesse scoprire da dove veniva
il
virus.
Gli
interrogatori dei pazienti e del personale dell'ospedale
occupò quasi tutto il
pomeriggio e non solamente loro, ma anche i due agenti dovevano spesso
esser
pazienti quando Charlie voleva sapere di nuovo tutti i dettagli.
Più tardi
diventava, più irritati diventavano loro finché
Don non riuscì più a tenere per
sé i suoi pensieri.
«Charlie,
stai
esagerando!» l'ammonì quando lasciarono la
penultima stanza «Devi davvero dare
talmente fastidio alla gente con le tue domande?»
«Vuoi
avere una
formula alla fine, sì o no? E già i Greci antichi
lo sapevano: per aspera ad
aspra, se si vuole aver successo, si devono superare gli
ostacoli».
Con
questo, Don
dovette ammettere la sua sconfitta. Ma in fondo sapeva anche lui che
Charlie
aveva ragione.
Finalmente
e
senza poterci ancora veramente credere avevano finito e tutti e tre si
avvitarono alla loro macchina. Appena usciti dall’edificio
sotto il sole di
primavera, Charlie inciampò e sarebbe caduto se Don non
l'avesse preso.
«Ehi,
piano» lo
canzonò sorridendo – il sole aveva cacciato il suo
malumore in un attimo – e
aggiunse: «Credo che ti abbiano insegnato a camminare,
no?»
Però,
il sorriso
di Charlie gli sembrava un po’ troppo insicuro.
«Eh,
stai
bene?» si assicurò con un alito di preoccupazione,
ma il ghigno di suo fratello
stava già aumentando di sicurezza.
«Certo,
perché
no? O ti aspetti sul serio che io rida alle tue battute
banali?»
Con
questo
lasciarono perdere il discorso e i tre ripartirono.
Megan e Don lasciarono scendere Charlie a casa sua; poi andarono nel
loro
ufficio, mentre Charlie si appartò nel garage per inserire
tutte le
informazioni nel suo computer. A turno sedeva davanti al computer
oppure si
spostava davanti alle lavagne senza fare attenzione ai dolori nelle
membra e
nella testa che si erano appropriati di lui. E poi successe.
Partendo
dai
bordi del suo campo visivo, una foschia nera e impenetrabile si diffuse
davanti
agli occhi di Charlie. Sentiva come se tremasse un po' e si tenne alla
lavagna.
Il tremolio finalmente finì e lui lasciò la presa
dal suo appoggio. Aveva
appena fatto così che la foschia nera calò su di
lui con tutta la sua forza e
senza che se ne rendesse conto cadde sul terreno di pietra freddo.
Charlie
aprì
gli occhi. Si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Era
confuso.
Nonostante tutto stesse girando, Charlie poteva distinguere che la
prospettiva
che se gli presentava davanti era molto inconsueta. Chiuse di nuovo gli
occhi,
un po’ per le vertigini, un po’ perché
non dovesse più sopportare
quell'angolatura.
Cosa
era
successo? Si era messo in qualche modo in una contrazione
spazio-temporale,
forse? Se solo Larry fosse stato lì; lui sarebbe stato
sicuramente in grado di
spiegargli tutto, era sempre stato in grado di spiegargli tutto
talmente bene.
Va be', a volte si esprimeva in modo alquanto criptico, ma nonostante
questo
era sempre stato di grande aiuto per lui.
Però
non
adesso. Adesso Charlie doveva trovare da sé una soluzione.
Doveva trovare da
solo l'errore. Perché qualsiasi cosa fosse non era giusta. E
inoltre aveva
dolori ovunque. Ma perché?
Forse
è
a causa della superficie dura su cui mi trovo,
pensò Charlie
tra sé.
Superficie
dura? Ma il suo letto era morbido! Era sempre stato morbido finora!
Forse
qualcuno aveva rubato il materasso? (Se era così, era stato
sicuramente Don!)
Cautamente
Charlie guardò attorno a sé. Ovvio che fosse
talmente duro. Lì, sotto di lui,
non c'era un letto. C'era la terra.
Charlie
si
raddrizzò e represse le vertigini. Era vero. Era sdraiato
sul terreno, nel suo
garage, non sul suo letto. Come era possibile che gli fosse successo
una cosa
così?
A
scanso di
equivoci rimase seduto ancora per qualche minuto. Quando finalmente le
vertigini se ne furono completamente andate si mise in piedi,
raccogliendo da
terra i fogli che, a quanto pareva, aveva preso con sé
quando era crollato.
Tutto
ciò di
cui aveva bisogna adesso era dormire. Ma nonostante si sentisse
completamente
stanco, Charlie non credeva di essere in grado di addormentarsi in quel
momento. Nella sua mente c’era troppo chiasso, la domanda
“cosa diavolo mi
stava succedendo?” continuava a ronzare opprimente. Si
sentiva malato e
barcollava sui suoi piedi già da un po’ di tempo.
Aveva creduto che il suo
corpo potesse andare in tilt per una qualsiasi ragione, ma non si
aspettava di
certo qualcosa di simile.
E
anche
un'altra attesa non era diventata realtà: quando Charlie ce
l'aveva finalmente
fatta ad arrancare al piano superiore, nel suo letto – per
fortuna suo padre
stava già dormendo da tempo! – l'effetto
dell'adrenalina era scomparso del
tutto perché il suo corpo sconfisse la sua mente e Charlie
si addormentò
profondamente.
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