Armadio con sorpresa
Sebbene
la sera, e la nottata, precedenti fossero state particolarmente vivaci, Tonks,
non ne aveva ancora abbastanza dei baci di Remus e, nonostante le sue continue
lamentele, continuò a stuzzicarlo per impedirgli di abbandonare il letto.
«Tonks ti prego, perché non provi a dormire per almeno un’ora? Non abbiamo
chiuso occhio per tutta la notte», la supplicò cercando di girarsi su un fianco
e coprirsi con il lenzuolo.
«Ma
come, sei già stanco? Pensavo ti piacesse…» Lo provocò con fare decisamente
malizioso, accarezzandogli e baciandogli la schiena e le spalle nude.
«Certo
che mi piace, anzi adoro fare l’amore con te, ma non sono più un ragazzino e
non riesco a tenere i tuoi ritmi».
«Strano,
non l’avrei mai detto. Te la sei cavata piuttosto bene ieri sera, qesta notte e
anche poco fa». Così dicendo tornò sopra di lui e ricominciando poi a baciarlo
per non farlo controbattere. e Remus ci mise poco a farsi convincere, invertì
rapidamente le posizione e cominciò a baciarle il collo scendendo sempre più
giù togliendole quasi il fiato ad ogni tocco.
Toc.
Toc.
«Hanno
bussato…» Le sussurrò ad un orecchio per poi tornare alla sua esplorazione.
«No…
Ti sbagli…» Replicò a fatica.
Toc.
Toc.
«Amore,
guarda che è vero. C’è qualcuno alla porta».
«Sarà
il postino babbano, sbaglia sempre appartamento»
Toc.
Toc.
«Vai
a mandarlo via, così possiamo continuare, sempre che ti vada ancora», la
provocò beffardo. Tonks non se lo fece ripetere due volte, scese di corsa dal
letto, afferrò la sua vestaglia rosa preferita e si precipitò verso la porta,
ignorando del tutto le risate di Remus.
«Tu
sta fermo lì, torno subito». Lo avvertì prima di sparire chiudendosi la porta
alle spalle. Controvoglia Tonks aprì la porta, decisa a scacciare in fretta il
disturbatore di turno, ma quello che si trovò davanti non era il solito
stempiato postino babbano, bensì sua madre, avvolta nel suo solito poncho viola
scuro e l’aria di chi ha molte cose da fare e pochissimo tempo per farle.
«Mamma!!»
Urlò con voce strozzata, sperando che Remus la sentisse. Cose che probabilmente
avvenne visto il tonfo che riecheggiò per tutta la casa.
«Ciao
tesoro. Ma c’è qualcuno qui con te?» Chiese Andromeda, guardandosi in torno con
sospetto mentre entrava lentamente nell’appartamento della figlia.
«Chi
vuoi che ci sia qui dentro? Jarold sarà caduto dal suo trespolo come al
solito». Disse Tonks cercando di dare alla sua voce un tono convinte, «tu
piuttosto, cosa ci fai qui?»
«Visto
che tu non ti degni di rispondere ai miei gufi, ho pensato di venire di persona
a chiederti se domenica vieni a pranzo da noi». Rispose passando in rassegna
l’appartamento con lo sguardo, per poi tornare a concentrarsi su di lei.
«Scusa,
è che prima di risponderti volevo controllare i turni per la settimana
prossima». Le rispose Tonks, mentre le nascondeva sotto il divano delle vecchie
riviste che erano sparse per il tappeto.
Andromeda
però no se ne accorse nemmeno, intenta com’era a scrutare la cucina. «Come mai
non hai ancora lavato i piatti di ieri sera?»
«Pensavo
di farlo questa mattina, prima di andare al lavoro. Anzi, lo faccio subito» E
con rapido tocco di bacchetta i piatti cominciarono a lavarsi da soli,
levitando a mezz’aria
«Noto che hai avuto ospiti…» Commentò
osservando due bicchieri che si erano appena appoggiati al lato del lavello
pronti per essere asciugati.
«Oh,
sì è vero. Ieri sera una.. Una mia collega dopo il turno di lavoro si è fermata
qui da me. Sai due chiacchiere una cena veloce, ci serviva un po’ di relax».
Andromeda
annuì felice che la figlia avesse un minimo di vita sociale. Poi, mentre si
stava per sedere sul divano sgranò gli occhi. «Ma cara, indossi solo la
vestaglia!» Esclamò Andromeda, osservandola meglio e non vedendo spuntare
nessun altro vestito dalla scollatura.
«Cosa?
Oh sì, è che quando sei arrivata stavo… Ecco stavo per farmi la doccia». Altra
bugia, a cui però la madre sembrò credere.
«Capisco.
Allora questi turni?»
«Non
sono ancora stati resi noti, ma non ti preoccupare appena lo faranno sarai la
prima a saperlo». La rassicurò, sedendosi accanto a lei e coprendosi come
meglio poté le gambe con i lembi della vestaglia
Proprio
in quel momento però, quando sembrava che le cose stessero andando bene, un
altro tonfò proveniente dalla camera da letto rimbombò per tutta la casa,
facendo fermare per un attimo il cuore di Tonks, e alzare le “antenne radar” di Andromeda.
«C’è
qualcuno in casa…» Mormorò sospettosa.
«Ma
che dici? Me ne sarei accorta se…» Troppo tardi sua madre era gia partita in
quarta verso la stanza incriminata, spalancandone la porta senza tanti
complimenti
La
camera era deserta. Andromeda Si guardò più volte in torno, alla ricerca di
prove sospette, ma non trovò niente, poi un miagolio proveniente da dietro il
letto fece tirare un sospiro di sollievo alla padrona di casa. «Non pensavo
avessi un gatto», disse osservando lo strano gatto arancione che continuava a
miagolare nella sua direzione.
«Infatti
non è mio. Questo è quella palla di pelo dei miei vicini casa, si chiama
Cagliostro». Tonks tentò di prendere in braccio il felino, che però non voleva
saperne di lasciare andare un lembo di una camicia bianca che sbucava
dall’armadio. Lo riconobbe subito, era uno dei vestiti che Remus indossava la
sera precedente, “ecco dove si è nascosto!” pensò, mentre il suo cuore
ricominciò a battere all’impazzata.
Fortunatamente
l’attenzione di Andromeda si era focalizzata sul disordine generale che regnava
nella stanza, impedendole così di prestare attenzione a quello che sbucava
dall’anta dell’armadio. I battiti cardiaci di Tonks tornarono normali, mentre
riaccompagnava la madre in salotto, “meglio non rischiare” pensò, lanciando
un’ultima occhiata all’armadio. «Si è fatto tardi, meglio che vada subito a
fare la spesa prima che Diagon Alley si riempia di gente», esclamò la donna
guardando l’ora e dirigendosi verso la porta d’entrata. «Ricordarti di farmi
sapere per domenica», si raccomandò afferrando la maniglia della porta.
«Certo
mamma, sarai la prima a saperlo».
«E
sistema un po’ questa casa, di questo passo non troverai mai marito».aggiunse
continuando a guardarsi in torno con aria critica.
«Sì,
mamma. Riporto questo furfantello dai vicini e mi metto subito al lavoro».
«Brava.
Ciao tesoro». Salutandola con un bacio sulla guancia, si avviò giù per le
scale.
Richiusasi
la porta alle spalle, e aver abbandonato il povero mal capitato gatto nel
corridoio, Tonks si lasciò cadere a terra cercando di riprendere il controllo
di sé. Era nel bel mezzo della sua meditazione “zen” post visita materna quando
si ricordò di Remus. Corse in camera da letto e spalancò le ante dietro cui si
era nascosto.
La
scena che si ritrovò davanti aveva un qualcosa di comico impossibile da
spiegare a parole. Remus, che indossava solamente i boxer, era incastrato tra
due scatole di cappelli, con la schiena ricurva per evitare di essere infilzato
dagli appendiabiti vuoti mentre in testa gli era caduta una sciarpa verde acido
ma, essendo incastrato anche con le braccia, non era ancora riuscito a
toglierla. «Hai intenzione di aiutarmi o vuoi restare lì a ridere per tutta la
mattina?» Chiese infine, vedendo che Tonks non si decideva ad aiutarlo.
«Oh
scusa amore, è che… Sei così buffo!» Riuscì ad esclamare tra una risata e
l’altra.
«Tonks!»
Esclamò esasperato.
«Ok,
ok. Dammi la mano».
Dopo
vari tentativi Remus riuscì ad uscire più o meno indenne dall’armadio, facendo
però cadere entrambi sul letto, sistemato proprio davanti all’armadio.
«Questa
posizione mi ricorda qualcosa», mormorò Remus, cominciando a baciarle una
spalla che si era scoperta dopo la caduta.
«Sì,
anche a me. Ma ora come ora sono ancora troppo provata dalla visita inaspettata
di mia madre. Quando si è avviata da questa parte volevo morire, e pregavo che
tu ti fossi smaterializzato». Disse scostandolo leggermente da sé per evitare
di cadere in tentazione.
«Ci
ho pensato solo dopo a smaterializzarmi. Ero troppo preso dal panico per
pensare lucidamente al da farsi», confessò con una punta d’imbarazzo nella
voce.
«Il
famoso Remus Lupin, sempre padrone delle proprie emozioni in tutte le
circostanze, Preso dal panico?» Lo prese in giro, ricominciando a ridere.
«Proprio
così. Chissà, forse sei tu che mi hai cambiato nel profondo, e hai fatto
crollare tutte le mie certezze».
«E
questo è un bene o un male?» Chiese leggermente preoccupata.
«In
bene naturalmente. Sei la cosa più bella che mi potesse capitare». E così
dicendo la baciò. «Direi che ora potremmo riprendere il discorso che abbiamo
lasciato in sospeso a causa di tua madre», propose di nuovo.
«Ma
non eri stanco?» Chiese con fare malizioso.
Ma
per tutta risposta, Remus sciolse il nodo della vestaglia scostandone poi i
lembi, così da poter riprendere la sua esplorazione del corpo di Tonks.
«Mmm,
direi che ti sei ripreso molto bene. Nonostante la sosta nel mio armadio».
Rise, così Remus la morse delicatamente su un fianco.
«Dicevi
del tuo armadio?» Chiese risalendo verso il suo viso.
«Assolutamente
niente. Perché? Non ho nominato nessun armadio».
«A
ok. Mi sembrava di averlo sentito. Mi sarò sbagliato». E la baciò nuovamente.
«In
compenso il verde acido non è proprio il tuo colore». Lo prese di nuovo in
giro, e Remus questa volta cominciò a farle il solletico.
«No!
Basta ti prego! Farò tutto quello che vuoi, ma smetti!»
«Tutto?»
Chiese fermandosi per un attimo, guardandola dritta negli occhi.
Tonks
annuì incapace di dire altro, mentre si asciugava gli occhi pieni di lacrime
per il troppo ridere.
«Bene,
ti prendo in parola…» Sussurrò avventandosi su di lei sogghignando.