Guardò
le sue mani, tutte arrossate e doloranti per i continui sforzi di
uscire da quel posto.
Quella
stanza, quel fantasma che la avvolgeva stringendola a sè. Non
poteva liberarsi dalla sua stretta.
Nessuno
l'avrebbe portata via da quella stanza, poteva urlare quanto voleva.
Gridare, disperarsi, battere i piedi, piangere, ma nessuno l'avrebbe
portata via.
Ma
nessun l'avrebbe portata via da lì. Era una ragazza cattiva, e
quella era la sua punizione.
Emise
un gemito violento e una scossa percorse ogni cellula del suo corpo,
forse era vero. A forza di rimanere soli con i propri spettri del
passato si diventa pazzi.
Si
guardò attorno, e c'erano sempre le stesse cose. Nulla di
nuovo. Lo stesso letto dove aveva passato le sue notti insonni,
cercando di spiegarsi come aveva fatto a finire lì.
Perché
la punivano, non aveva fatto niente. Le lenzuola erano tutte
attorcigliate su sé stesse, le aveva messe così. Non
voleva dormire sugli spettri della notte scorsa.
E
tanto, ogni volta che si sdraiava lì, finiva per piangere come
sempre.
A
volte si sporgeva in alto, verso la piccola finestrina, unica fonte
di luce in quei 4 muri polverosi dove l'avevano buttata senza
rispetto. Per poter respirare aria nuova, per poter scorgere dei
raggi di sole.
A
volte si aggrappava disperatamente, ma aveva imparato che non doveva
farlo. Altrimenti avrebbero pensato che voleva fuggire, e le
avrebbero inflitto altre punizioni.
Punizioni
su punizioni. Come faceva a scontare la pena, se non sapeva neanche
qual era la colpa che le avevano addossato?
Avrebbe
voluto almeno poter sentire qualcosa, ma il silenzio le soffocava
l'animo. Quel costante silenzio, che le rinfacciava la sua miserabile
solitudine.
Qualunque
cosa, la voce di un bambino, le note di un musicista di strada, anche
delle urla. Ma qualcosa. Voleva sentire qualcosa, sentire che c'era
vita attorno a lei.
Perché
quella stava diventando la sua bara, col tempo. Chi poteva dirlo, chi
poteva dirle che un giorno sarebbe
uscita da quella gabbia e sarebbe tornata a respirare?
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