Capital Letter
#23 - { W }
~ Weapon #1
Il Revolver.
Perché
non un’altra arma?
Stringendo
l’impugnatura in entrambe le mani sente la vernice lucida
aderire alla pelle, una patina nera e liscia sulla curva morbida che si
modella perfettamente alla sua mano. Fissa il mirino, trovando di colpo
una concentrazione totale, una sincronizzazione completa con il metallo
plasmato dalle sue stesse mani, sentendolo quasi parte integrante delle
proprie braccia tese. Poi la tensione, il lieve groppo alla gola che
precede il gesto finale, il pollice che affonda sulla sicura, il
tamburo che ruota appena, si assesta, il bagliore dei proiettili che
giacciono in attesa. Sei, perfetti, dorati, immobili e letali.
L’indice
preme il grilletto con la forza di una mano esperta,
l’agitazione che si disperde con un sospiro, un sibilo
metallico ed uno schiocco. Poi l’esplosione, magnifica, che
gli si ripercuote lungo il polso, intorpidendogli il braccio. Ma
dischiudendo le labbra è solo ansioso di ricominciare il
ciclo dal principio, ignorando qualsiasi fastidio.
C’è solo l’ebbrezza di un colpo che va a
segno, il calore nelle mani, il grilletto che scatta ancora, e ancora,
e ancora.
Perché
non un’altra arma?
D’altronde
è lenta. Ha un numero limitato di proiettili.
E’
antiquata.
Scopre il tamburo
con un secco scatto del polso, lascia scivolare via i bussolotti vuoti;
li sente che ad uno ad uno rintoccano sul pavimento come piccole e
cristalline lancette dorate. Poi le dita esperte collocano rapidamente
i proiettili nuovi e freddi, la rete degli ectoplasmi che li ha
plasmati sfrigola sul metallo rigido che li avviluppa l’uno
dopo l’altro.
E
tendendo il braccio davanti a sé, l’espressione di
nuovo composta e assorta, sente il cane scattare ancora; le dita della
mano sinistra sfiorano il profilo elegante dell’arma come in
un silenzioso e sensuale scambio di segreti.
E poi l’estasi.
Bang.
Fino
a che il sole non muore.
~ Weapon #2
La
Katana.
Perché
non un’altra arma?
La morte ridotta
all’essenziale. Semplice acciaio luminoso che non ha
pietà, semplice acciaio freddo che lacera e raggiunge la
bellezza suprema e ultima quando si macchia di rosso.
Lo
hanno sempre rimproverato di non avere alcuna tecnica.
Non
ha mai imparato quale sia la posizione corretta per l’affondo
o la guardia, non conosce i fondamenti dell’arte della spada:
sa solo come impugnarla, sa qual è il lato affilato della
lama, ha imparato a capire quando un fendente andrà a segno
o meno. Per il resto si affida all’istinto, al caso ed
all’improvvisazione.
Come
quando guarda in faccia la morte, deglutisce, congela la paura e muove
i primi passi, chiedendosi se anche questa volta sarà la
propria fortuna ad avere la meglio. O se, nello stesso istante in cui
solleverà la spada per sferrare il proprio attacco, le
ginocchia cederanno e verrà inghiottito dalla consapevolezza
di non sapere quale sarà la prossima mossa, sopraffatto
dalla sua stessa inesperienza.
Ma
di una sola cosa è certo. La sensazione di onnipotenza che
quella lama gli insinua nelle ossa non potrà mai in alcun
modo morire assieme ad un passo falso.
E
dopo aver commesso un errore, dopo aver registrato i movimenti
sbagliati – sputando il sangue e ingoiando la bile
– si rialzerà in piedi e tornerà ad
attaccare.
La
prossima volta non inciamperà.
Perché
non un’altra arma?
L’hai
scelta solo perché ti affascina.
Non
sai usarla a dovere.
Si limita a
stringere le dita intorno all’elsa della spada, facendo
crepitare gli intrecci dello tsukaito rosso, il metallo freddo dello
tsuba che preme sul pungo chiuso. La lama gli rimanda affascinanti
riverberi ondulati e lui si stupisce di aver intessuto così
abilmente gli ectoplasmi – lo fa sempre senza pensare a
inutili perfezionismi, e non gli risulta di aver ereditato i geni di un
antico forgiatore samurai di nome Akatsuki. Sul palmo non sente
affondare nessun ornamento di bronzo, nessun porta fortuna, nessun buon
auspicio, nessuna incisione.
La
sua dea bendata è il temperamento, la voglia disperata di
sopravvivere e lottare fino alla fine.
C’è
solo la spada, ciò che serve a purificare le anime
disfacendo la loro prigione di carne corrotta.
Uno strumento.
Una lama affilata.
Fino a che non rimane
più nulla.
(xxx)
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