In Deus Nomine
(colonna sonora: The
Dark Crow Smiles)
In nome del Padre,
Del Figlio,
Dello Spirito Santo.
Mi hai chiesto di tenere gli occhi chiusi sino a che non mi avessi
permesso di fare altrimenti ed io ti ho obbedito: non ho intenzione di
vedere anticipatamente gli esseri che abitano il luogo dove
andrò una volta concluso il Contratto.
Disteso a terra, sono scivolato sul bordo dell’impalcatura ed
ho allungato debolmente una mano per afferrarlo prima di venire
inghiottito dalle acque del Tamigi, sotto di noi. Per un doloroso
istante, il mio corpo si è teso a mezz’aria sin
quasi a spezzarsi e poi si è rilassato, urtando
violentemente contro il legno duro della struttura portante superiore
del ponte – ho sentito il sangue sulla lingua come mai prima.
E adesso mi trovo qui, sull’orlo del precipizio, come sono
sempre stato soltanto figurativamente, ad attendere che il mio
maggiordomo mi salvi.
Ti sto aspettando,
Sebastian: aspetto che tu venga a reclamare il mio spirito, come da
accordo.
Dalle tenebre dietro le mie palpebre, quelle che mi hai proibito di
vedere, mi giunge la tua voce, differente, spietata, deformata in
qualcosa di così disumano e crudele che non sono in grado di
definirlo: mi fai una seconda richiesta – non esagerare,
servitore: sai perfettamente che dovrebbe essere il padrone a domandare
ed il servo ad eseguire e non il contrario; non abusare delle mie
concessioni.
Ricorda qual
è il tuo posto, Sebastian.
Vuoi che io resti in vita sino a quando non avrai contato sino a zero,
a partire dal dieci.
Obbedisco, sebbene, costretto in una simile posizione, avverta sempre
più insopportabile il dolore al petto fasciato, dove mi
hanno sparato, e la mano abbia iniziato a perdere
sensibilità.
Tu cominci a contare e, ad ogni nuovo numero, odo un nuovo grido di
quell’angelo malato.
Soffre mille e mille volte in più di quanto lui abbia fatto
soffrire te – perché tu restituisci sempre
decuplicata ogni umiliazione subita, giusto, Sebastian? È
ciò che stai aspettando di poter fare anche con me,
dopotutto, quando non avrai più obblighi nei miei confronti
se non quello di divorarmi.
Ti accusa d’essere una bestia – affondi i tuoi
artigli nella sua carne.
Dice che sei ripugnante, impuro, disgustoso – graffi,
portando via con le tue unghie frammenti di pelle, lo fai sanguinare.
Urla, invoca il Cielo di salvarlo, di distruggerti – gli
strappi le ali bianche, e grida.
Non avevo mai sentito un grido simile, così lacerante,
così struggente, così penetrante ed acuto, di
pura ed intollerabile sofferenza, tanto che provoca un tremito lungo la
mia spina dorsale. Ho gli occhi chiusi, eppure lo so, so che hai
afferrato la base delle sue candide ali, laddove si trovano le scapole,
e hai tirato – gli hai sottratto
l’integrità del suo essere, la sua
identità di angelo.
Questa è la sua punizione, il castigo divino di un Dio
insano che gli ha permesso di rubare le anime agli uomini per costruire
un ponte di pace menzognera sul sangue e sui cadaveri
d’un’Era di fiamme che oramai va spegnendosi,
lasciando dietro di sé soltanto braci e carne bruciata.
Una luce intensa si insinua sotto le mie palpebre e per un momento temo
che il calore possa incenerirmi e questo bagliore accecarmi, mentre il
Cielo reclama quel che rimane del suo folle apostolo per ripulire la
terra dei suoi rivoltanti peccati – ma questo non
riporterà indietro chi è morto questa notte, non
salverà gli spiriti condannati ad edificare il ponte, e ci
sono persone che non lo dimenticheranno; come ti farai perdonare da
noi, Signore?
Come potrai mai
perdonarci?
Infine apro gli occhi ed incontro il tuo sguardo: ti ergi sopra di me,
fregiandoti nuovamente della forma di mio perfetto maggiordomo, con i
vestiti stracciati ed un moncherino al posto del braccio sinistro
– ed il mio occhio destro arde, come se fossi stato privato
d’esso come è accaduto al tuo arto.
Increspi le labbra in un sorriso che potrebbe essere quasi dolce, quasi
gentile, se non ti conoscessi a sufficienza per scorgervi del
compiacimento.
Anche io sorrido debolmente – hai visto? Ti ho obbedito, sono
ancora vivo.
E poi mi lascio cadere.
In un effimero istante, quanto basta perché batta le
palpebre, sono già lontano da te; adesso, tuttavia, il tempo
sembra essere rallentato, tanto che il vento non sferza più
il mio corpo e posso distinguere chiaramente il tuo volto attraverso i
viticci luminosi di pellicole che stillano dal mio stomaco, dove
percepisco un calore più dolce del precedente,
più affettuoso, più accogliente, come
l’abbraccio di una madre.
Il tuo sorriso è svanito, sostituito da
un’espressione incredula che non ho mai visto sul tuo viso
– tu che non ti sei scomposto mai, qualsiasi cosa potessi
fare per costringerti a manifestare una qualche emozione.
Era sufficiente che
morissi per riuscire nel mio intento?
Non riesco a sentire la tua voce, ma vedo le tue labbra muoversi.
« Non oserete morire, signorino… »
sussurrano, contorcendosi in quella che so essere indignazione.
Il mio sorriso, al contrario, si amplia, tingendosi di divertimento e
soddisfazione.
« Oh, sì, » sillabo « oso
».
Prima di sfondare la dura parete costituita dal Tamigi, scorgo
un’unica parola sulla tua bocca: bugiardo
– non te lo aspettavi, vero?
I demoni non mentono;
gli umani, sì, e non avresti dovuto dimenticarlo.
L’acqua è così fredda: a contatto con
essa, il calore che mi accarezza il ventre svanisce. Il fiume mi
trascina a fondo, nelle profondità del suo utero, come fossi
suo figlio, il proibito, impuro frutto nato dall’unione tra
Cielo ed Inferno, colui che più d’ogni altro
quell’angelo desiderava sterminare.
Il gelo mi soffoca, mi toglie ogni energia, ogni più piccolo
frammento di un desiderio di vivere che non esiste più
– ho compiuto la mia vendetta: non c’è
altro, oramai.
Di Ciel Phantomhive non
è rimasto nulla.
Socchiudo gli occhi, improvvisamente sonnolento, quando la tua voce
m’impedisce di assopirmi.
Non la voce del demone: la voce cortese, falsamente umana, di Sebastian
Michaelis, quella voce che mi ha sempre irritato e che persino adesso
mi infastidisce – non
vuoi nemmeno lasciarmi morire in pace, vero?
« Siete un bugiardo, signorino » affermi in tono
pacato – niente ira, niente irritazione, niente sdegno: sai
che mi compiacerebbero ed è per questo che me li nascondi,
per canzonarmi, un’ennesima volta, con la serenità
del tuo comportamento. « Avevate promesso che sareste rimasto
in vita ».
« Sì, » ammetto con semplice
onestà « io… ho mentito ».
Le menzogne, oramai, non servono più a nulla: tu sei venuto
a prendermi, sei venuto perché non potessi venir meno ai
termini del patto, sei venuto a strapparmi alla pace eterna.
Sei venuto da me, anche
se questa volta non avevo chiamato il tuo nome.
Stringi con l’unico braccio rimasto il mio corpo morente,
nuoti verso l’alto, verso la superficie, verso
l’unica e vera fine che mi spetta, ed io non mi oppongo, non
tento più di vincere questa partita; tu sorridi, consapevole
di aver fatto scacco matto.
« Sebastian, posso chiederti una cosa? » voglio
sapere in un mormorio flebile.
« Che cosa? »
« Che cosa sei, ora? »
Non ti vedo bene, non posso sapere se sei ancora Sebastian Michaelis o
se sei divenuto la creatura dell’Inferno che brama il mio
spirito.
Ma so che tu non mentirai.
« Per voi, quale che sia l’occasione, io
sarò sempre soltanto un maggiordomo ».
« Capisco » sussurro, permettendo infine che le
palpebre – appesantite dalle tante sofferenze vissute, che
sembrano volermi accompagnare sulla strada che conduce alla morte
– calino sui miei occhi stanchi. « Allora,
obbedisci al mio ordine… »
Distinguo una nota di sottile sorpresa nella tua voce quando replichi:
« Sì, mio signore? »
Ma è troppo
tardi.
Non avverto più la tua presenza accanto a me, non odo
più lo sciabordare del Tamigi, non percepisco più
il gelo delle sue acque che penetra nelle mie ossa. La mia coscienza ha
abbandonato il mio corpo, ed ora non c’è
nient’altro che una profonda oscurità.
E, tuttavia, sono consapevole che è semplicemente la quiete
che anticipa la fine d’ogni cosa.
Presto mi risveglierai un’ultima volta.
Di me non lascerai
davvero niente.
Lo so, Sebastian, lo so perfettamente che non è a questa
dolce serenità che mi scorterai.
Io ti sto aspettando, ancora una volta, perché è
così che deve essere.
Ascolta il mio ultimo
ordine, sebbene non abbia avuto tempo di dartelo: tu, che vivrai
più a lungo di chiunque altro, non dovrai mai dimenticare il
mio nome.
« Yes, my Lord ».
Amen.
( Questa
è una delle fanfictions più sentite che abbia mai
scritto - e non yaoi,
né shounen-ai [ che palle,
è così complicato vederli semplicemente come "duo
psicologico"? ].
In realtà non so nemmeno perché, o meglio, non lo
so con certezza: so che dovevo scriverla, che dovevo creare un qualche
tributo per l'ultimo episodio della prima stagione -
perché, truth
be told, ho pianto mezz'ora.
La maggior parte dei dialoghi è presa, appunto, dalla
ventiquattresima puntata, forse talvolta leggermente modificati - ma
sono quelli, neh.
E poi... poi.
Poi, a dir il vero, non lo so - anzi, lo so: il titolo e la preghiera
che si accompagna al segno della croce c'entrano qualcosa solo se ce lo
vedete voi... Boh, io inizialmente avevo pensato ad una specie di cosa
che dovesse riferirsi a Sebastian anziché a Dio, ma poi...
poi ci siete voi che, se vi va, recensite e mi dite che ne pensate,
ecco.
Mi fareste un grande piacere.
'til next time, chu. )
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