My
Heart Has Your Name
Sakihito
aveva votato la sua intelligenza, il suo cuore e la sua esistenza
stessa alla scienza.
Non si curava delle persone se non le trovava sufficientemente
interessanti per essere degne d’essere le cavie per i suoi
esperimenti, perché la scienza gli aveva rubato il cuore che
lui le aveva donato e l’aveva costretto ad una vita
artificiale fatta della sua spropositata intelligenza.
Per questa ragione gli piaceva tanto Aldred: sprovvisto
d’un’arma di lignaggio, il giovane vampiro
differiva dai suoi simili.
Costruire per lui quell’arma era divenuto uno dei progetti ai
quali teneva di più.
Aldred, tuttavia, aveva attirato la sua attenzione anche per un secondo
motivo, molto più umano, e forse per questo Rengokuin non se
n’era reso conto – o forse rifuggiva una simile
consapevolezza – : quel vampiro –
quell’esponente d’una razza che era stata ritenuta
una specie mostruosa per secoli, prima di giungere ad una pace
edificata sul sangue ancora adesso compromessa dalle differenze tra
loro e gli esseri umani – era più vitale,
più umano di lui.
Al principio, Sakihito aveva trovato ridicolo il suo attaccamento agli
amici; in seguito, tuttavia, aveva deciso di emularlo, di diventare
come – e anche migliore – di Aldred Van Envurio.
Era soddisfatto dei progressi che aveva compiuto da allora.
Ormai, riusciva quasi a provare emozioni.
Ma il vuoto dentro di lui, quel vuoto doloroso derivante
dall’essere unico e solo al mondo, non si era ancora colmato.
Poi aveva incontrato Kei, la lancia di Aldred.
Kei, che era sempre stato trattato come una macchina –
esattamente come lui, da quando i suoi genitori avevano scoperto la sua
intelligenza esagerata. Kei, l’arma vivente, destinato a
sacrificarsi per un bene superiore del quale non conosceva nulla
– non sapeva nemmeno che sapore avesse una torta, come lui
non sapeva che gusto avessero i sentimenti.
A Rengokuin, Kei piaceva anche di più di quanto gli piacesse
Aldred.
Si era trasferito nel dormitorio per poter condividere la camera con
lui, era stato il primo a non chiamarlo più per cognome,
bensì semplicemente “Kei”, e sarebbe
stato sempre il primo a preoccuparsi per lui.
Era stato Sakihito a soccorrere Kei quando la lancia aveva cominciato a
divorarlo, non Aldred – dov’era,
lui? Se era il suo padrone, perché era stato Rengokuin ad
aiutare Kei a mettersi a letto e riposare?
Kei, tuttavia, preferiva Aldred a lui.
Quando il vampiro era andato via, quando aveva scelto di sacrificare se
stesso e non la sua lancia, Kei non aveva mai smesso un unico istante
di pensare a lui: Sakihito l’aveva letto nei suoi occhi
spenti, lo specchio del suo stesso stato d’animo.
Perché lui lo sapeva perfettamente, come mai a Kei piaceva
di più Aldred: era la medesima ragione per la quale,
malgrado adesso avesse un altro soggetto ben più
interessante al quale dedicare la propria attenzione, nemmeno Rengokuin
aveva mai cessato, nemmeno per un momento, nemmeno per un’ora
o un giorno, di aspettare Aldred.
Perché il vampiro aveva dato loro la vita e, quando se
n’era andato, l’aveva sottratta ad entrambi.
Debilitati da quel furto, Kei ora viveva sulla sedia a rotelle e
Sakihito trascorreva sempre meno tempo con quelli che, insieme ad
Aldred, aveva preso l’abitudine di chiamare
“amici”, per potersi dedicare alle sue ricerche.
Avrebbe trovato il modo di estrarre la lancia da Kei senza che lui
morisse, avesse dovuto sacrificare quel poco di umanità che
aveva raccolto in tanti anni: perché era come ed anche
migliore di Aldred e sarebbe stato per Kei ciò che era il
vampiro – o almeno se ne sarebbe illuso, ingozzandosi di
latte per divenire più alto di Aldred e restando al fianco
di Kei perché il ragazzo gli volesse bene.
Per lui trovava sempre del tempo ed un sorriso.
« Le ricerche stanno andando bene, Kei! Presto troveremo una
soluzione! »
Ma Kei si limitava ad annuire, vuoto.
« Lo sai chi sono io, eh? Sono Rengokuin Sakihito, il giovane
genio della scienza, e ti salverò! »
Patetico tentativo di eguagliare una persona alla quale non si sarebbe
mai nemmeno avvicinato.
« Rengokuin… »
Quasi trasalì, Sakihito, quando per la prima volta Kei lo
chiamò.
La sedia a rotelle era abbandonata alle sue spalle e, seppur con un
poco d’incertezza, il ragazzo era in piedi dinanzi a lui e
parlava di nuovo.
Quanto tempo
è passato dall’ultima volta…?
Ah, sì:
è stato il giorno in cui Aldred ha detto che sarebbe tornato
presto.
Rengokuin abbozzò uno dei suoi consueti sorrisi carichi di
sicurezza, mentre si spezzava: non era merito che del vampiro se Kei
era improvvisamente rinato, seppe vedendo la piuma nera.
« Che cosa c’è, Kei? Il grande Rengokuin
può fare qualcos’altro per te? Vuoi che ti
accompagni da Aldred? Ora che sono diventato così alto e
forte posso portarti sulle spalle: ci impiegherò pochi
secondi, vedrai! »
« No. Posso andarci da solo ».
E poi Kei lo abbracciò e Sakihito percepì un
fremito nel suo cuore morto.
Avvertì i suoi capelli che gli accarezzavano il mento, la
sua guancia contro il suo petto, le sue braccia attorno alla vita ed il
suo profumo sul viso, e per un attimo barcollò e
pensò che sarebbe caduto e che sarebbe stata proprio una
vergogna, per un uomo come lui.
Infine, tuttavia, riacquistò l’equilibrio e cinse
lentamente le spalle di Kei, quasi avesse timore di ferirlo, tanto era
delicato – o forse di non riuscire in
quell’esperienza che era così nuova per lui.
« Ti ringrazio, Rengokuin: grazie per avermi tenuto compagnia
per tutto questo tempo ».
Kei sussurrava al suo orecchio ed ogni sua parola era una carezza
tenera e delicata, come le piume color inchiostro che adesso piovevano
su di loro e si depositavano con dolce eleganza tra i loro piedi,
volteggiando nel vento come se stessero danzando.
« N-non devi nemmeno dirlo, Kei! Il potente Rengokuin
può fare qualsiasi cosa! »
Kei si ritrasse e gli sorrise, poi l’oltrepassò e
corse a dare il benvenuto ad Aldred.
Sakihito sorrise tra sé a propria volta, si chinò
e raccolse i frammenti del suo cuore, spezzatosi quando quello del
ragazzo era tornato in vita.
Lasciò cadere quei cocci nella tasca e si
affrettò dietro Kei per andare a salutare Aldred –
ora aveva trovato un nuovo cuore, uno che non era contaminato
dall’artificialità delle macchine che costruiva
com’era stato il precedente.
Era un cuore che, adesso lo sapeva, avrebbe sempre avuto un posto anche
per lui, dentro di sé.
Un cuore che camminava, parlava, sorrideva.
Si chiamava Kei.
|