Angolo autrice: sono in Inghilterra. Ieri sera mi sentivo bllea (si',
e' uno stato d'animo!) e avevo voglia di sfogare un po' di
frustrazione, cosi' ho buttato giu' questa piccolezza.
Mi scuso se nelle note non son opresenti gli accenti o se nella storia
saranno presenti piccoli errori di battitura, sono stanchissima e
seppur avendola riletta molto spesso il mio cervello mi gioca brutti
scherzi.
E' ambientata prima della rivoluzione americana, diciamo che questo e'
il preciso istante in cui Alfred capisce che Arthur potrebbe non tenere
piu' a lui.
E in tutto cio' Francia ci mette lo zampino, come mai? Diciamo che sta
a significare l'aiuto che le truppe francesi diedero agli americani,
per ottenere anche loro un pochino di spazio in piu' nel mondo.
Piccole note:
-Francia e' vicino di Alfred in quanto le colonie al sud (es. New
Orleans) sono state di principio francesi.
-Francia ha un bastone da passeggio ornato con l'avorio in riferimento
ai possedimenti francesi in Africa.
-Come mai il the? Tutti sapranno che la rivoluzione americana e'
iniziata con l'affondamento di una barca da the, e i motivi della
rivoluzione sono stati soprattutto le pesanti tasse e la trasfomrazione
effettiva delle colonie in semplici "produttori di materie prime". Fonte
Credo sia tutto :)
La
fanfiction partecipa all'iniziativa 2010:
a year togheter indetta
dal Collection
of starlight, con il prompt154. « Rispondimi, se ci
riesci. »
Do
you want a cup of tea?
Alfred
F. Jones non era un tipo facilmente influenzabile; affatto.
Sin
da piccolo aveva precise idee e quelle idee gli stavano in testa
così a lungo e così aggrappate alla sua mente,
che alla fine finiva sempre per trasformarle in atti.
Alfred
F. Jones, allo stesso tempo, era un tipo molto cordiale; considerava
casa sua una piccola taverna –ah! Quante sgridate
Inghilterra gli aveva fatto “Questa casa non è un
porto. Non possono entrare cani e porci”-
Così
accoglieva tutti indiscriminatamente, organizzando dei piccoli tea
party, dove poteva dar sfoggio di quelle buone maniere che Arthur gli
aveva insegnato (certo, mancava ancora di bon ton, ma era a buon punto).
Quel
pomeriggio rimase sorpreso dal vedere Francis sulla porta di casa,
intento a sistemarsi il fazzoletto bianco sulla piccola superficie di
ottone lucido. Francia si voltò e con amabile sguardo si
chinò a guardare un po' meglio il proprietario di casa.
America
fece lo stesso, puntando gli occhi in alto e non staccandoli neanche
per un attimo da quelli del suo strambo e piuttosto inusuale vicino:
seppure Monsieur Bonnefoy vivesse a pochi passi da lui non veniva mai a
fargli visita; ancora si ricordava di quando, negli anni passati,
veniva spesso a parlare con Arthur e si ricordava ancor meglio le
sopracciglia nere di quest’ulltimo aggrottarsi e gli insulti
uscire come un fiume in piena da quelle labbra sempre garbate.
Francis
stava di fronte e lui e lo scrutava con occhi maliziosi. Appariva come
uno di quei cattivi da palcoscenico che spesso Inghilterra gli aveva
fatto vedere, quelli che ghignano come se stessero soffrendo.
«France, what do you want?»
chiese, spostandosi un poco e facendolo entrare –sembrava
impaziente. Non appena fu dentro si studiò attorno e
trattenne piccole smorfiette di disgrusto: per quanto Angelterre provasse
a imitarlo rimaneva sempre un pacchiano provincialotto.
«Mon cher, sono
veramente felice di vederti!» esclamò, voltandosi
di scatto e inchiodandolo con gli occhi azzurri e penetranti. Alfred
trattenne un brivido, non lo aveva visto mai così
determinato, ogni traccia di frivolezza era sparita e anche i suoi
gesti erano diventati tutto d’un colpo freddi e precisi.
«Sei
cresciuto molto dall’ultima volta che ti ho visto»
continuò, passando una mano scherzosamente sulla testa di
America. Questi si ritirò, facendo un passo indietro e
balbettando a disagio: «France,
you should go away, now. Sai che Arthur si
arrabbierà»
Già
la voce di Inghilterra gli risounava nelle orecchie: tuoni e tempeste!
Francis
scoppiò a ridere, con la grazie che si addiceva alla sua
figura, si mise a sedere pesantemente su una magnifica poltroncina di
calicò e rise: «e le buone maniere? Su, Alfred,
non essere come quel borioso di tuo fratello! Sono venuto a farti
visita, mi hanno detto che eri tutto solo... ad annoiarti, tra sequoie
e questa...» si voltò verso la finestra, con
espressione contrariata e disgustata «simpatica
natura»
America
si morse un labbro, in difficoltà, poi
sospirò pesantemente e mormorò: «Excuse me, Frence.
Solo che sai che Arthur ultimamente è molto teso, non vorrei
contrariarlo ulteriormente»
Si
sedette accanto a lui, sorridendo cortesemente.
A
Francis non sfuggirono i pantaloni rattoppati appena sotto il
ginocchio, il piccolo buco sulla calza, all’altezza del
polpaccio destro né il fango sulle scarpe; con una
più attenta analisi poté notare anche i mobili
leggermente tarlati, le tende strappate sul fondo e una leggera e
strana sciatteria che era dovuta non tanto a cattivo gusto quanto a una
vera mancanza di fondi.
Aveva
sentito di quei litigi tra i fratelli, che finivano sempre con dei
tagli da parte di Arthur sui fondi di Alfred.
«Sono
assetato» annunciò, come se la cosa avrebbe dovuto
far smuovere il mondo. Notando che America non si muoveva
sospirò. «Hai qualcosa da offrirmi, petit Alfred?»
Questi,
imbarazzato, si alzò; non voleva assolutamente fare brutta
figura, chissà cosa si sarebbe poi detto di lui nel
continente! Già Arthur andava a dire a destra e a manca che
stava diventando incontrollabile e intrattabile!
«Vado...
a prendere un po’ di the, vuoi?»
Francis
annuì, soddisfatto della proposta e aspettò
pazientemente che il suo ospite tornasse, rigirandosi tra le mani un
vecchio libro polveroso.
Intanto,
in cucina, Alfred guardava sconsolato la piccola scatolina di latta nel
quale mantenava il the, che ormai era vuota. Tutta colpa di suo
fratello, si disse. Continuava a chiedergliene a bizzeffe! Anzi, lo
pretendeva!
E
dentro il corpo di America si iniziò a creare un turbine di
rabbia, frustrazione e orgoglio ferito. Francis aveva iniziato a
canticchiare, come per trattenere la scocciatura.
Aveva
un ospite e non poteva servirlo. Un uomo, in casa sua, non avrebbe
ricevuto una giusta accogilenza.
Di
nuovo la rabbia gli montava in petto, e iniziò a respirare
più velocemente. Strinse tra le mani il metallo freddo e
cercò di calmarsi; chiuse gli occhi e inspirò a
fondo.
Non
si accorse del ticchettio ritmico provocato dai tacchi di Francia,
né del suo mellifluo sorriso, che lo raggiunse dalle spalle.
«Oh,
Alféd,
cosa succede?» domandò con aria innocente, posando
una mano sulla spalla del più giovane. Questo chiuse
istintivamente il barattolo, riposandolo e asciugandosi una lacrima
leggera di rabbia.
«Nothing, Francis.
Ho finito il the, ti spiace se ti offro solo
dell’acqua?»
Il
sorriso di Francia si allargò, annuì come a
dirgli che per lui andava bene e lo seguì di fuori fino al
pozzo.
Lì
l’osservò tirare su la carriola con lena, deciso e
preciso. Ogni gesto pieno di energia e di spirito. Francis, per un
attimò, ammirò qualcuno all’infuori di
sé.
«Mi
chiedo perché un ragazzo così in gamba ed
indipendente come te debba essere trattato in un tale modo!»
cinguettò, posandosi con i gomiti sul bordo e osservando i
capelli d’oro di Alfred.
Alfed
tirò su la testa e lo fissò a lungo. Non sapeva
cosa stava succedendo.
«Insomma,
se tu fossi mio fratello io ti darei il mio the, di sicuro non lo
userei tutto per degli stupidi festini in patria, no?»
continuò, sfiorando il bastone da passeggio dal manico di
avorio.
«Inghilterra
non fa festini con il mio the!» protestò
l’altro, eppure, sapeva bene che era impossibile che Arthur
consumasse tutto quel the da solo.
Francis
alzò un sopracciglio e sorrise, angelico: «petit
cher, quanto sei ingenuo. Arthur é solo uno schiavista,
Alfréd. Su, quanto ci hai messo a raccogliere quel
the, eh? Un anno, due anni? Quanto lavoro, quanto sudore?
E
quanto ne hai bevuto? Quanto ne hai assaporato? Quanto ne hai potuto
condividere? Quante volte hai potuto offrirlo e dire: guarda! Questo è
il mio lavoro?»
Concluse
la piccola arringa ritirandosi e guardandolo con un sorrisetto serafico.
«Non è
vero» provò a protestare, sapendo
benissimo pure lui di quanto fosse vero tutto ciò.
«Rispondimi,
Alfred, se ci riesci. Ti ho fatto una domanda.»
Il
ragazzo abbassò la testa, un fremito di rabbia e
frustrazione a percorrergli la schiena. Si morse le labbra e non appena
alzò di nuovo la testa non trovò più
Francis. Nell’aria aleggiava solo un vago profumo di rose e
il tanfo di una delusione che andava marcendo, giorno dopo giorno.
Angolo autrice:
In questi giorni ho l'America che mi sta inghiottendo.
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