1. Rancore
bicolore
«Bene»
disse James, che sembrava furibondo. «Bene...»
Saettò un
altro lampo di luce, e ancora una volta Severus si ritrovò a
mezz’aria, a testa in giù.
«Allora... chi
vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?»
La folla esplose in un miscuglio di risate e lunghi
"oooh"
di stupore, qualcuno di indignazione.
Peter fremeva eccitato sperando che qualcuno degli studenti incitasse
James a proseguire con i suoi piani, troppo vigliacco per farlo
personalmente; Remus alzò nervosamente lo sguardo dal suo
libro.
Sirius soffocò una risata, cercando di mantenere la
serietà pertinente che la sua posizione di potere adesso
richiedeva.
In realtà, sapeva benissimo che Severus Piton - nonostante
lui stesso non conoscesse anima viva capace di urtare di più
l’amico - non correva alcun rischio di venire denudato in
pubblico: James, pur furibondo com’era, non
l’avrebbe mai fatto.
Ma di una cosa Sirius era certo: che per almeno altri quindici minuti,
James, fingendo di star lì a pensarci su,
l’avrebbe lasciato ciondolare all’aria a
tormentarsi nel dubbio. E lui, da migliore amico quale era, non
l’avrebbe lasciato solo in quella tremenda messa in scena.
«Allora?» continuò James. «O
vuoi cominciare da sopra, Mocciosus? Hai voglia di abbronzarti un
po’ il petto? E’ bianco come tutto il resto, non
è vero? C’è un bel sole oggi, dovresti
approfittarne!» proseguì, condensando
sull’ultima parola tutto il disgusto e la rabbia che gli
ribollivano dentro, dando vita a qualcosa di molto simile a un ringhio.
Ancora una volta la folla sbottò in voraci risate.
Sirius finse un’espressione preoccupata e miagolò
in tono premuroso: «Oh, non dirmi che ti vergogni,
Mocciosus».
«Non ho niente d...» sibilò Severus in
tono talmente velenoso che la frase risultò per
metà incomprensibile.
«... niente di cui vergognarti?» concluse Sirius al
suo posto. «
Davvero?»
«Non c’è problema» disse
James, mostrando un sorriso gelido. «A questo provvederemo
noi».
James si guardò intorno, squadrando le facce di tutti i
presenti che ormai si erano radunati chiudendo lui, Sirius e Severus in
un largo cerchio: era facile leggere in molte delle loro facce il
divertimento, l’ammirazione e il rispetto. Poi
ritornò lentamente a guardare la sua preda.
«Allora, chi vuole vedermi togliere le mutande a
Mocciosus?» ripeté, in tono accattivante.
Sirius gettò distrattamente un’occhiata veloce al
di là della folla. Qualcuno era rimasto lontano: chi
leggendo per nulla infastidito o incuriosito, chi chiacchierando
normalmente col proprio gruppo di amici, e qualcuno fissando indignato
la scena da lontano.
Tra questi ultimi una ragazza, il volto pallido e rigido in
un’espressione disgustata e densa di rabbia, i brillanti
occhi sbarrati. Stringeva un libro in una mano, le nocche erano bianche
dallo sforzo, e con l’altra racchiudeva il niente, ma
stringendo altrettanto forte il pugno. Gli occhi chiari brillarono di
una scintilla furente quando incrociarono quelli di Sirius, e subito
dopo mostrarono un’espressione ancora più nauseata.
Sirius, turbato, distolse lo sguardo in fretta, mentre una stretta gli
fermava lo stomaco. Che diavolo...
Intanto altre risate accompagnate da qualche applauso fugace volarono
ancora, dopo che James aveva detto qualcosa.
Sirius rabbrividì al solo pensiero che una semplice
ragazzetta lo avesse disorientato tanto. Chi diavolo era per fare
sentire lui in quel modo?
Improvvisamente si sentì una scomoda agitazione in corpo,
qualcosa gli si mosse dentro. Qualcosa chiedeva ardentemente di uscire.
«Basta James» disse. Le parole uscirono come una
liberazione. Il peso divenne improvvisamente più leggero.
«Che?» chiese piano James, spiazzato.
«Hai sentito... basta» mormorò Sirius,
mentre cominciava a vergognarsi del suo stesso vigliacco comportamento.
James lo guardò sbalordito, un poco preoccupato, come se
stesse accorgendosi che l’amico si trovava in pessime
condizioni di salute, poi, improvvisamente il volto gli si
radiò di nuovo e gli lanciò un gran sorriso.
«Aaah» fece illuminato. «Ho capito...
vuoi far finta di lasciarlo andare per poi riacchiapparlo di nuovo
all’ultimo secondo, eh? Ah, Felpato, non finisci mai di
sorprendermi» bisbigliò compiaciuto, mentre
tornava a fissare Severus che si agitava appeso all’aria.
«Dico sul serio, mettilo giù...»
insistette, in tono adesso più fermo. «Voglio
dire...» continuò ansioso, e per un secondo
pensò ad una scusa plausibile. «Comincio a
seccarmi» buttò lì, fingendo noia.
James lo fissò perplesso, ma siccome era Sirius che glielo
chiedeva non fece storie.
«Va bene» mormorò controvoglia, mentre
con un gesto della bacchetta liberò Severus
dall’aggancio invisibile che lo teneva sospeso in aria; il
Serpeverde cadde appesantito sul prato. Si mosse leggermente stordito
in cerca della sua bacchetta, e la trovò.
«Non ti conviene usarla» lo anticipò
James acido, puntandogli la sua, prima che potesse fare altrettanto.
«Sparisci» sibilò.
Severus si mise barcollando in piedi, lo guardò disgustato,
mormorò qualcosa e si voltò, camminando a grandi
passi verso il castello, oltrepassando davanti a lui il varco che la
folla gli aveva creato.
«Andiamo» mormorò James con un velo di
irritazione, dirigendosi di nuovo verso il faggio da dove Peter li
guardava supplichevole, deluso dalla conclusione troppo precoce della
vicenda, e Remus sembrava essersi di nuovo immerso nella lettura del
libro.
Sirius fece per seguirlo, ed istintivamente voltò lo sguardo
in direzione del punto in cui poco prima si reggeva la ragazza: era
sparita.
Deglutì, soffocando l’irritazione.
Fino a pochi minuti prima era sempre stato convinto di essere
completamente indifferente agli esami, alla scuola e a tutte le
pressioni che turbano ogni comune adolescente, adesso cominciava a
dubitare della sua stessa inattaccabilità. Forse in fondo
l’esame aveva agitato anche lui e solo adesso stava
cominciando a dare segni di debolezza... o forse stava semplicemente,
inesorabilmente, completamente impazzendo.
Cambio
prospettiva.
Elyn intercettò Severus appena prima che sparisse dalla
vista. Sapeva dove fosse diretto.
Si lanciò a grandi passi su per il prato, diretta in quel
luogo.
Era successo di nuovo. Quegli idioti di Potter e Black lo avevano
umiliato ancora e, come se non bastasse, adesso Severus si era
guadagnato anche l’odio di Lily. Lily, l’unica
persona che teneva veramente a lui. L'unica persona che lui era
disposto ad amare.
Elyn sentì un forte senso di colpa oscurargli ogni altro
sentimento, rabbia e odio compresi. Forse se fosse intervenuta lei
prima di Lily una parte di tutto quel disastro non sarebbe accaduta. Ed
esattamente la parte più terribile per Severus, di questo ne
era sicura.
Rallentò evitando i tanti studenti che cominciarono a
disperdersi nuovamente in mezzo al prato, diretti alle loro postazioni
ordinarie, all’ombra dei grandi alberi o sulla riva del lago.
Naturale, per loro lo spettacolo era finito: si erano già
rimpinzati con la cara dose di divertimento giornaliera a spese di un
povero ragazzo.
Immediatamente sentì il cuore gonfiarsi di odio. Odio verso
tutti, nessuno escluso.
Beati, inconsapevoli dei problemi della vita. Nessuno puntava loro una
bacchetta in volto ogni dieci giorni, nessuno si prendeva sporcamente
gioco di loro, a nessuno di loro capitava di doversi improvvisamente
difendere in un duello sleale, contro un nemico in
superiorità numerica.
E già, Potter, Black e gli altri si muovevano sempre in
branco. E tali erano. Un vero branco di animali.
Scansò per un pelo una ragazza in divisa corvonero che
sfrecciava come una saetta verso un ragazzo della stessa casata. Subito
dopo fu fuori dal prato.
Entrò nel castello e si mosse nella strada verso la sua
meta, sistematicamente: non ricordava neanche più quante
volte si era ritrovata a dovercisi incamminare e quante volte era poi
ritornata sui suoi passi, spesso dopo essere stata cacciata di malo
modo.
Si costrinse a non pensarci e sperò che quella volta Severus
apprezzasse un po’ più la sua presenza.
Finalmente giunse alla torre ovest e salì le scale che
conducevano alla Guferia: la porta era aperta, entrò.
Come si aspettava, Severus se ne stava seduto a terra, in mezzo alle
schifezze, tra la paglia e le cacche di gufo, la schiena appoggiata
alle mura della torre, le gambe piegate sul petto.
Teneva entrambe le mani strette in un pugno e fissava i gufi mezzi
addormentati davanti a sé, lo sguardo incollerito.
«Vattene» abbaiò, senza neanche voltarsi.
Continuava a stringere le nocche e a sfregarsi le mani nervosamente.
«Lo faccio» replicò Elyn annuendo.
«Ma, ti prego, non startene lì a crogiolarti il
fegato» la voce uscì stranamente autorevole.
Sapeva che era una cosa stupida da dire e che non poteva pretenderlo.
Sapeva anche che, probabilmente, nelle sue condizioni, si sarebbe
comportata esattamente allo stesso modo, ma non le venne in mente
nient’altro di migliore da dire.
«E che cosa dovrei fare?» urlò Severus
indovinando i suoi pensieri, portandosi le mani in volto.
«Quello... schifoso... non lei... non lei»
biascicò fra sé. «Si è preso
anche lei... ANCHE LEI!» tuonò d’un
tratto, sferrando un pugno sul muro.
Fece una smorfia di dolore e la mano cominciò a sanguinare.
Elyn scattò in avanti raggiungendolo, si chinò e
gliela prese.
«Si sistemerà tutto, Severus, te lo giuro. Lily
capirà e...»
«No, che non capirà!» ruggì,
strattonandola e riprendendosi la sua mano. «Non lo
farà e... non vorrà farlo...»
mormorò fra sé, guardandosi sporco di sangue e
cominciando a gettare occhiate sulla ferita, febbrilmente.
Elyn si sentì agghiacciare: quel comportamento ai limiti
della schizofrenia non era da Severus. O, almeno, non del Severus che
conosceva. Si rimboccò le maniche e si armò di
pazienza. Non poteva lasciarlo così, non lui. Non Severus.
«Forse riesco a fasciarla con qualcosa, aspetta...»
disse, mentre fiondò le braccia fino al gomito dentro la sua
tracolla.
«Lasciami stare» protestò flebile
Severus, improvvisamente stremato.
«Ma Sev...»
«Lasciami stare» sbottò, più
spietato. Gli occhi neri la guardarono un secondo e poi presero a
fissare gelidi il vuoto davanti a sè.
Elyn gli lanciò ancora un’occhiata supplichevole,
ma lui non se ne accorse neanche.
«Quando capirai che c’è anche qualcun
altro che ti vuole bene sarà forse troppo tardi...»
Così dicendo, Elyn si tirò su e
ritornò sui suoi passi, mettendo a tacere la speranza, che
poco prima le formicolava nel cuore, e che le diceva che quella volta
sarebbe stato diverso.