Indivisibiliter ac
Inseparabiliter
Le montagne
toccano il cielo.
Anzi, è più esatto dire che vi sprofondano. Con
le loro cime bianco latte,
soffici come la panna di quelle belle torte che vede spesso mangiare
dalle
signore ben vestite nei caffè di Vienna, invitano il cielo
ad accoglierle, ad
abbracciarle.. e lui non si fa certo pregare. È
così alto, lassù, ma riesce
comunque a far loro compagnia. Che cosa si racconteranno?
La
bambina alza gli occhi al cielo, sorridendo. Le piace inventare storie
che
abbiano per protagoniste le nuvole, il cielo, o gli animali che
incontra nel
giardino. Ogni cosa possiede un po’ di magia, ed è
giusto aiutarla a venire
fuori, a suo parere.
E di
certo ha anche la colonna sonora dalla sua parte…
Qualcuno,
dall’interno della casa, sta suonando il pianoforte. La mano
è sicura ma allo
stesso tempo delicata, il suono che ne nasce puro e limpido come pochi
altri:
si sente che il pianista ci sta mettendo l’anima, che dedica
gran parte della
sua giornata ad esercitarsi con lo strumento e che quelle ore passate a
suonarlo,
lucidarlo, anche solo ad accarezzarlo con lo sguardo, sono per lui
speciali.
Roderich Edelstein, il ragazzo dal quale lavora come cameriera,
è fatto così..
molto sulle sue, sempre accigliato, quasi snob nella sua raffinatezza
nobile,
nei suoi bellissimi e costosissimi vestiti. Ma ha un fascino
impagabile, che la
bravura nel suonare non fa che accrescere.
Si
scrolla di dosso le foglioline e la terra che addobbano i suoi vestiti
con
noncuranza – d’altronde è sempre stata
una ragazza dalle maniere spicce – e si
dirige verso il palazzo, cogliendo al volo, con un sorrisetto furbo,
l’occasione di fare qualche dispetto a Roddy.
Concentrato
su un brano particolarmente complicato, il giovane austriaco non si
accorge
della manina sporca che si è appena infilata nella porta e
l’ha leggermente
socchiusa. Ma non può ignorare i gomiti che si appoggiano
sulla superficie lucidata a piombo
del suo adorato piano,
che sicuramente si sporcherà un istante dopo, o peggio
– rabbrividisce al solo
pensiero – potrebbe graffiarsi.
Il viso
sorridente di Elizavetha Hédérvàry fa
capolino dall’altro lato del piano: i
suoi occhioni verde smeraldo lo fissano affettuosamente, mostrando
chiaramente
l’intenzione di non volerlo mollare troppo presto…
D’altronde,
c’è stata una volta in cui quella peste lo abbia
lasciato in pace?
“Cosa
vuoi, Elizavetho?”
Lei non
perde occasione per fare la linguaccia, indispettita.
“Per
una
volta tanto riesco a capire che sei una ragazza!
Cos’è, hai deciso di mettere
ad Italia la tua uniforme? È strano vederti in gonna, una
volta tanto..”
soggiunge, con tono quasi teatralmente malinconico, per poi riprendere
imperterrito a dedicarsi al piano. La sua buona dose di carinerie
quotidiane
non deve mancare mai.
“No, ho
lavato apposta i vestiti per metterteli di notte, mentre dormi. Mi sono
sempre
chiesta come staresti in gonna, sai?” risponde lei, per
ricambiare la sua
cortesia.
Per un
secondo, le dita di Roderich si fermano, quasi impercettibilmente, come
per
fermarsi a chiedersi se prendere sul serio o no le sue minacce. Ma si
riprende
quasi subito, riportando le note sul loro percorso originario e facendo
comparire sul viso della piccola ungherese che lo osserva con tanta
attenzione
un sorrisetto sornione.
È
sempre stata così, tra di voi.
Fin da quando
eravate due bambini,
sembrava che l’unico scopo di Ungheria fosse quello di farti
i dispetti. Piccola
e spettinata, così simile ad un maschiaccio nel
comportamento e nel modo di
vestirsi, è stata sempre diversissima da te e dalle tue
maniere affettate, da
“damerino”, come ti prendeva in giro Prussia.
Nonostante questo, però, in lei
esisteva – e ora si manifesta più chiaramente
– una vena di femminilità
sottile, adorabile: quella di una ragazzina che fa di tutto per
mascherarla.
Tra una stagione e l’altra, siete
cresciuti insieme. Avete sperimentato battaglie, ferite, problemi,
rancori,
altri litigi e riappacificazioni; qualcosa stava nascendo, ma
timidamente, a
bassa voce, lasciandovi il tempo di vivere ogni nuova situazione che si
creava
tra voi. E, cessate infine le guerre che vi hanno costretto a crescere
troppo
in fretta, è arrivato il tempo di vivere la vita di sempre:
alle consuete
lezioni di piano, passeggiate e cavalcate si sono aggiunti due
spettatori, il
piccolo Italia e Sacro Romano Impero, che formano quasi una famigliola
unita
insieme a voi (Nonostante lei ti rimproveri di maltrattare
eccessivamente
quella peste di Italia..).
Tutto
sembrava andare per il
meglio. Fino a nuove guerre, nuovi scontri, l’abbandono di
Sacro Romano Impero,
la crescita di Italia (quel piccoletto che Eliza si ostinava a vestire
da
femminuccia, trovandolo molto più carino coi suoi vecchi
vestiti addosso
piuttosto che con abiti maschili)… ma avete affrontato
tutto. Ogni cosa è
passata, spinta avanti dalla forza che scaturiva dal vostro essere
uniti, prima
ragazzini scatenati e litigiosi, poi amici e forse anche qualcosa di
più.
E, trascorso il tempo
dell’adolescenza, sconfitti una volta per tutti i vostri
nemici (e ti secca
ammetterlo, ma senza l’aiuto della tua guerriera sarebbe
stato impossibile),
una nuova fase della vostra esistenza si è sostituita a
quella dei giochi e
degli abbracci innocenti e affettuosi da compagni di gioco…
8 Giugno 1867
Il
sole
splende nel cielo di Vienna, ma questa volta non ci sono nuvole.
Peccato, si
ritrova a pensare Elizavetha, avrei voluto vedere che forma avrebbero
preso
oggi. Si sono mai sentiti oracoli che scrutino il futuro nella forma
delle
nubi?
Scrolla
appena la testa, come per far prendere il volo a quei pensieri oziosi,
e osserva
la sua immagine riflessa nel grande specchio davanti a sé,
sul guardaroba di
legno intagliato della stanza in cui le cameriere di casa Edelstein
l’hanno
portata, per aiutarla ad indossare il vestito e pettinarla.
La sua
prima sensazione è di disagio, per la lunghezza del vestito
e la strettezza
delle scarpe, che le fanno immediatamente rimpiangere i suoi comodi
stivali e i
pantaloni che indossava un tempo, quando ancora non conosceva Roderich
e
trascorreva le giornate rincorrendo farfalle e animali selvatici,
spensierata come
solo una bambina di campagna può esserlo. Guardandosi
indietro e avanti, avanti
e indietro, alzando un orlo e poi un altro, prova a prendere confidenza
con
l’immagine della splendida bruna vestita di bianco che lo
specchio le rimanda,
tentando di identificarsi totalmente in lei e nella sua bella figura.
Si
risiede, sconsolata: non ci riesce. Deve essere l’ansia di
ogni giovane sposa –
così le ha detto la più anziana delle cameriere
– la paura per qualcosa che
ancora non conosce, ma che presto dovrà affrontare. O forse sarà la mia totale
impossibilità di essere femminile,
piuttosto, conclude pessimista la ragazza, tra se e
sé.
Non
può
fare a meno di pensare al momento in cui Roderich le ha fatto la sua
proposta,
poche settimane prima.
Appena
tornati da una cavalcata,
tornano nel salone, stanchi e accaldati. Lei si siede su una
poltroncina
foderata, ancora ansante ma sorridente.
“Non
pensavo che i campi qui
intorno fossero così belli!”
“Mi
fa piacere averteli mostrati.
Ci tenevo a farteli vedere.. a piedi sfuggono tante cose che a cavallo
passano
così vicine! Dovrebbe essere il contrario, ma spesso
è anche così” soggiunge
Austria, e sorride, cosa alquanto rara per lui.
Elizavetha
è così felice da
alzarsi e buttargli le braccia al collo, d’impulso.
“Grazie
mille, Roderich. È stato
un bellissimo pomeriggio.. vorrei che ce ne fossero più
spesso di simili”
sussurra all’orecchio del ragazzo, senza riuscire a
trattenersi.
Le dita
morbide di Austria [ore ed ore
passate ad accarezzare
l’avorio di quei tasti bianchi e neri le hanno forgiate] la stringono lievemente, impedendole di spostarsi.
Più audace, la mano
destra si muove lungo il suo fianco e arriva a sfiorarle una guancia,
catturando il viso arrossato ma terribilmente grazioso di Ungheria.
“Potrebbero
essercene tanti altri.
Li vorresti veramente?”
[Il cuore
si ferma per un istante..]
“Sarebbe
la nostra casa. La nostra
piccola reggia.. il nostro regno, il nostro impero”.
[Silenzio.]
“Vuoi
sposarmi, Elizavetha?”
[.. e
riprende a battere, più forte di prima, poco dopo.]
Una piccola
lacrima scivola giù da
entrambi gli occhi, ma un gesto stizzosamente imbarazzato della ragazza
la
caccia via. Per l’emozione, non riesce a far altro che
scostarsi con forza
dalle braccia di Roderich, per poi afferrare le sue mani e trascinarlo
a terra
in un enorme abbraccio di gioia.
Cadono entrambi, come quando da
ragazzini si rotolavano nei campi fuori dalla tenuta degli Edelstein, e
ridono,
proprio come due ragazzini. Le labbra morbide dell’uomo che
ama (perché, lo ha
deciso, ormai sarà con lui che condividerà la sua
vita) si appoggiano su quelle
di Elizavetha che ricambia il bacio con trasporto.
“Certo
che voglio. Desidero
diventare tua moglie, Roderich”.
°
° ° ° °
°
La
chiesa
è gremita di invitati. Alcuni, in punta di piedi, attendono
l’arrivo degli
sposi. Altri, meno curiosi, si limitano a guardarsi intorno, o a
scambiare
qualche parola con il vicino di panca. Sul giornale di uno di loro
svetta la
data del giorno, 8 giugno dell’anno 1867, ma a nessuno sembra
importante: l’unico
elemento che ricorda l’estate in arrivo è un
raggio di sole ancora tiepido, che
accarezza le vetrate colorate in alto.
[Tra
molti anni questa data sarà ricordata da molti come il Concordato Austro-Ungarico. Ma per i due
sposi è semplicemente un
giorno molto importante].
La porta
si spalanca, segnando l’ingresso di un uomo ed una donna,
entrambi
elegantissimi: coperta dal velo lei, alto e impettito nella sua
uniforme
militare lui.
Elizavetha
sorride, rassicurata dalla presenza di Roderich. Con lui non
è servito il
solito avvertimento perentorio a non vedere la sposa prima delle nozze:
la sua
riservatezza l’ha portato a non invadere lo spazio della
compagna, senza però
impedirgli di gratificarla con un “Sei bellissima,
Elizavetha” alla sua uscita
dalla stanza.
La
cerimonia inizia e prosegue, con la rapidità di tutte le
cose aspettate per
lungo tempo. Il sole, lassù in alto, cerca di partecipare
alla gioia generale
allungando di più i suoi raggi.
E,
scambiandosi gli anelli, confermano tutto ciò che finora
hanno portato dentro.
°
° ° ° °
°
Al
ballo
in onore dei giovani sposi non manca nessuno. Sulla pista si muovono
già alcune
coppie, più desiderose di farsi vedere rispetto ad altre, che
conversano o si
servono da mangiare. L’orchestra alterna i valzer a danze di
carattere più
folkloristico, accendendo una scintilla di felicità negli
occhi di Elizavetha
appena attacca con alcune canzoni popolari ungheresi.
Entrambi
gli sposi aprono le danze più volte. Austria è
stupito dalla grazia di Ungheria
(la stessa ragazza che, fino a pochi anni prima, adorava pestargli i
piedi e
saltellare come una matta ogni volta che provava ad insegnargli il
valzer), dal
modo elegante in cui tiene il vestito, da come si fa strada tra i
ballerini. È come
se il maschiaccio Ungheria si fosse congedato da lei, lasciando il
posto a
quella bellissima dama in bianco, che lo attira ma, allo stesso tempo,
un po’
lo spaventa.
“Sicura
di riuscire a ballare un valzer intero, Elizavetho?”
“Secondo
te? Mi sono esercitata per ore. Se
avessi i pantaloni vedresti come sto muovendo bene le gambe!
Piuttosto… che
dici, la tua gente mi darà della contadinella zotica se
chiedo all’orchestra di
fare il bis su una danza ungherese? Vorrei tanto
scatenarmi un po’. Voi austriaci amate balli così
lenti!” termina, rivolgendo
al marito una linguaccia che solo lui vede, e lo fa ridacchiare
involontariamente.
Ungheria
è sempre Ungheria. Per
fortuna non cambierà mai.
°
° ° ° °
°
La
cerimonia è ormai terminata. Stretta
tra le braccia dell’uomo che ormai puoi considerare tuo
marito ufficialmente, vi
dirigete verso la vostra casa. Il palazzo che, d’ora in poi,
sarà la residenza
Edelstein – Hédérvàry.
Roderich ha insistito per portarti
in braccio fino alla soglia di casa, come vuole la tradizione, ma non
si ferma:
con cautela praticamente inutile (quasi tutta la servitù sta
dormendo) si
dirige verso la vostra camera da letto, per depositarti sul letto
morbido e pieno
di cuscini, come lo hai sempre desiderato da quando eri piccola e
facevi le
pulizie in casa di quel ragazzo pallido e bruno,
all’apparenza così scontroso ma
in realtà gentile.
Sei felice. Così felice, che non
ti viene in mente nessuna parola per descriverlo.
Lui si stende accanto a te,
sfiorandoti le labbra col dito, sovrappensiero. Per tutta risposta gli
sfili
gli occhiali e, dopo averli posati sul comodino, ti dedichi a baciarlo
sul
viso, accarezzando i capelli soffici che non avevi mai osato toccare.
Come risvegliato da quelle
attenzioni, anche lui comincia a fare la sua parte, spogliandoti piano
piano di
quell’abito da sposa che nasconde la tua vera forma, quella
della piccola
Ungheria che vuole ritrovare a tutti i costi; anche tu fai lo stesso,
cercando
di controllare la fretta e godendo di quel calore che emanano i vostri
corpi
semplicemente sfiorandosi, come se scandissero un ritmo preciso,
alternandosi.
Così passa la vostra prima notte
di nozze, ancora una volta più rapidamente di quanto vi
sareste aspettati,
nonostante cerchiate di trattenerla mentre scivola via, ricca di
sussurri,
baci, nomi mormorati così piano da essere uditi solo da voi
due.
°
° ° ° ° °
Le
palpebre di Austria si sollevano dai suoi occhi viola, mentre mettono a
fuoco
il mondo. La stanza è illuminata da una luce ancora debole,
ma che consente di
vedere con esattezza i mobili. È
la
stanza che condividerete per sempre.
Abbassa gli
occhi e osserva, senza parlare, Elizavetha che ancora dorme.
La sua
principessa è serena, coperta quasi del tutto dalle
lenzuola: una ciocca di
capelli castani pende dolcemente giù dal cuscino, mossa
appena dal ritmo del
suo respiro. Le dita si muovono impercettibilmente, le labbra sono
chiuse ma
non tirate.
Forse sta
sognando. Forse è me che
sta sognando.
Sempre
evitando gesti bruschi, appoggia le labbra sulla sua spalla nuda e
traccia il
bordo morbidissimo della sua pelle, memorizzando quella sensazione
dentro di sé.
Lei mugola appena, ma non si sveglia.
È tutto
così perfetto. Come potrebbe essere, altrimenti?
Tutto
ad
un tratto, ad Austria viene in mente il motto con il quale i documenti
dell’unione
dei loro due paesi sono stati siglati. Gli sembra così
adatto a quel momento da
non potersi trattenere.
“Indivisibiliter
ac
Inseparabiliter”.
Non
sa se
lei l’abbia udito o meno sussurrare quelle parole in latino
nel suo orecchio,
ma di una cosa è certo: se davvero esiste qualcosa di
indivisibile e
inseparabile, quelle saranno proprio le loro vite. Come lo sono state
in
passato, così lo sono ora, ora che lo scontroso Austria e la
piccola Ungheria e
sono finalmente marito e moglie.
8 giugno
1867: Austria e Ungheria
diventano un unico impero.
*******
Buonsalve,
cari lettori!
Erano
millenni
che avrei voluto scrivere una fanfic dedicata al pairing etero in
Hetalia che
preferisco (assieme al FrSey e l’UsBelarus), ossia
l’AusHun! L’avevo iniziata
tempo fa, ma l’ispirazione mi è tornata ieri, nel
vedere una splendida immagine
che “riassume” i momenti di vita di Roderich ed
Elizavetha. La parte del
matrimonio e della “mattina dopo” sono nate dalla
mia fantasia, così come l’infanzia
dei due ragazzini. Spero di non aver fatto strafalcioni
storici!
Ho
controllato la data del "matrimonio", che poi è quella
riportata dai fan come compleanno di Ungheria e data ufficiale del
concordato Austro-Ungarico. Il titolo significa "Indivisibili e
Inseparabili", che è appunto il motto dell'Impero.
La parte
di Roderich che punzecchia Eliza forse è un po’
OOC, ma non posso farci nulla,
mi piaceva troppo l’idea di questi piccoli “litigi
di coppia” XD
La dedico
a tutte le fan AusHun che vorrebbero leggere qualcosa sulla coppia, e
in
particolare alla mia Alu (Tsunade_91)
che la adora. Grazie anche a TsunadeHime
(altra fan) per avermi mostrato l’immagine
ispiratrice!
Grazie anche a
Micchan___ per la recensione alla storia precedente!
Insomma,
come sempre spero che possa piacervi, e di non essere andata OOC.
Mi
piacerebbe sapere cosa ne pensate, che siano critiche o complimenti :)
Ino
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