Compagni per la vita

di Ranerottola
(/viewuser.php?uid=73808)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Mi sembra impossibile che sia passato solo un giorno da quando ho scritto l’ultima volta, 

sono accadute talmente tante cose.

La scalata fino alla vetta, la valanga che mi ha trascinato via, la ferita alla testa.

Ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è quello che è successo con Fanny. 

Non capisco cosa posso aver fatto di sbagliato per farle cambiare così atteggiamento e, soprattutto, cosa abbia rotto lo strano incantesimo che ci permetteva di comprenderci a vicenda.

Il nostro incontro è la cosa più bella che mi sia mai accaduta e quella giovane Fenice è la creatura più spettacolare, più magica, più affascinante che io abbia mai visto. 

Ne sono rimasto incantato dal primo momento, è stato un colpo di fulmine. 

Se Fanny fosse un essere umano penserei di essermi innamorato. Non mi sentivo così da quando conobbi Gellert: provo di nuovo lo stupore di trovare un’anima affine, la gioia di scoprire di non essere solo.

Purtroppo provo anche il dolore dell’abbandono e il senso di tradimento di un anno fa, quando tutto mi è crollato intorno.

Dopo quello che è successo ad Ariana, quando finalmente ho aperto gli occhi su di lui, non avrei mai cercato di ritrovare Gellert o di rivederlo, ma questa volta è diverso.

 Sento di dover rivedere Fanny, parlarle, cercare di capire cosa ci è successo, me lo sento nelle ossa, nella testa, è come se il suo verso addolorato mentre volava via mi risuonasse ancora nelle orecchie, lasciandomi in bocca il gusto amaro di una fiducia tradita.

Ora ho bisogno di riposare per recuperare le forze, ma domani … domani cercherò in tutti i modi di trovarla, dovessi anche esplorare tutto il monte Everest!

 

Mi sembrano ore che sono in volo, volevo tornare subito al nido ma non ce l’ho fatta.

Non sono proprio riuscita ad andarmene prima di vedere Albus al sicuro.

Mi sono detta che è normale: in fondo non l’ho salvato dalla neve per vederlo precipitare in qualche crepaccio, eppure in fondo so che non è così.

Non riesco a smettere di spiare nella sua tenda, è molto tempo che traccia segni con una penna d’aquila  su una strana superficie che sembra una pelle.

Fino a poco fa aveva lo sguardo triste ma ora sembra più sereno, deciso.

Forse domani scenderà a valle e tornerà da dove è venuto, nel suo mondo umano e infido. 

Eppure, mentre parlavamo, mi sembrava di potermi fidare di lui, mi pareva quasi di conversare con uno dei miei fratelli di nido, qualcuno che poteva capirmi, qualcuno cui dare fiducia, qualcuno che mi amasse.

Invece è solo un umano!

E ora non capisco nemmeno più quando parla, l’ho sentito chiamare a lungo dopo essermi nascosta, credo cercasse me. Ma io non ho sentito il mio nome, solo dei versi sgraziati e incomprensibili. 

Che mi abbia ingannata con la sua magia?

Ma era davvero ferito e sono stata io ad avvicinarmi non lui.

Non capisco, non capisco proprio!

 

La notte scese sui monti e, mentre Albus spegneva la luce per riposare fino all’alba, 

Fanny si accovacciò su una roccia, una cinquantina di metri sopra di lui e nascose il capo sotto un’ala, 

addormentandosi all’istante stremata e sognando i suoi sogni da Fenice.






Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=552128