Era iniziato tutto con una marcia. Partirono in qualche
migliaio d’improvviso dalla stazione radunatisi lì con vari mezzi per non far
notare l’afflusso di gente. Quando ci furono tutti si
radunarono, si misero i passamontagna e le divise da “lavoro” e marciarono
verso Piazza Maggiore. Alcuni reggevano tamburi. Da lontano si sentivano
rimbombare i tonfi profondi e cadenzati della parata. Riecheggiava tra i
portici la paura. Il corteo non emetteva un suono se non quello dei loro
tamburi e del suono sordo ed angosciante del loro simbolo. Rosse croci uncinate
splendevano fiere sui loro petti, tatuate sulle loro
braccia, rasate sui capelli, ricamate sulle loro bandiere. Erano silenziosi ed
anonimi come a dirci che non avevano volto né avevo
segni particolari, loro erano massa omogenea, codarda ma compatta, fiera
fisicamente pronta a prevaricare. L’aria era tesa. Ero incredulo davanti a
quello che vedevo sfilare. Erano in troppi perché qualcuno osasse urlare
“bastardi”. Ognuno pensava che magari lo avrebbe fatto qualche altro audace,
loro in prima persona proprio non se la sentivano. Così la lingua nera
continuava ad insinuarsi tra le case e lungo via
Indipendenza. Giunti in piazza iniziarono a tenere il loro comizio.
“fratelli che per anni nell’oscurità avete taciuto davanti
allo scempio che veniva fatto del nostro stato vi
ringrazio di aver trovato il coraggio di uscire alla luce del giorno. Non sono
ideali facili i nostri, la verità mai è pura da vedersi, mai è
semplice da spiegare” Silenzio. Alcuni passanti impietriti ascoltavano altri
cercavano di essere più lontani possibili. Il carico
di rottura di una città come questa è alto ma tutti
sapevano che prima o poi qualcosa sarebbe successo.
“come Cristo duemila e cinque anni fa fu
crocifisso in nome di ideali creduti assurdi e contro la morale del tempo così
la Germania cadde per mano di quelle potenze che fino al giorno prima le
rifornivano di armi e prodotti per non rinunciare al mercato europeo. Ora non
sono passati duemila anni ma il fatto che siamo qui in migliaia testimonia che
è tempo forse per un altro tentativo. Se così non sarà vi prego di sfuggire
alla mano capitalista e oppressiva del governo e dei grandi potenti e tornare
nell’ombra finchè non saremo di
nuovo pronti a riprovare. Lo spirito che non muore testimonia che al
contrario di tutti quegli altri spiriti deceduti al primo tentativo in noi c’è
un principio di verità e forse un giorno il mondo ce lo
riconoscerà con affetto. Non saremo taciuti a lungo. Ora fratelli vi chiedo di portare un segno di ciò che ci hanno fatto agli
schiavi dei padroni che come immaginerete ormai si ammassano ai lati della
nostra grande massa. Poliziotti. Figli di coloro che anni fa
ci spalleggiarono il nostro atto di coraggio. Unitevi a noi e gettate da
parte ogni ipocrita servigio che regalate ad uno stato irriconoscente e succube
di potenze straniere. Per un'unica volta azzardate la scelta per me ne è valsa la pena di azzardare, ne è valsa la pena anche
per questi migliaia qui radunati. Nessuna missione divina ci spinge de ideale
folle, solo stanchezza, frustrazione e anni di vessazione. Di ciò che erano i nostri nonni rimane una innata voglia di combattere
e ribellarsi. Scegliete adesso o sarà tardi perché io non potrò più fermare la
mano di un popolo stanco.” Decine di camionette della
polizia circondavano la piazza. Poliziotti in antisommossa guardavano
silenziosi e tesi la massa di incappucciati. Scudi
lucidi e pronti a resistere all’impatto. Caschi con visiere abbassate sui visi.
Manganelli in mano. I giovani tremavano e il loro pensiero era per la famiglia,
la ragazza e per la pistola che gli pendeva dal fianco e grazie alla quale,
seppur nel fodero, non erano ancora fuggiti.
Il giorno dopo la città non era si
riconosceva. Per le sue strade vuoto e
silenzio. Ogni tanto cadeva qualche pezzetto di vetrina non ancora crollata o
gocciolava qualche tubatura rotta. Alte colonne di fumo nero si levavano dal
centro e dalla periferia.
La città era caduta.