Nota: il nome della protagonista
si legge Giaiora ed è l’unione di due parole di origini linguistiche
completamente diverse ma che insieme danno questo significato…
Jayaura
Jayaura, figlia della luce,
questo è il mio nome e il suo significato, figlia di clandestini francesi sono
nata qui, in Giappone e più precisamente a Fujisawa.
Fui adottata quando ero ancora
in fasce…sto scrivendo nelle ultime pagine di questo diario per ricordare, per
non dimenticare come la mia vita sia cambiata grazie ad un sorriso, che come una
candela ha dato un barlume di speranza alla mia esistenza, al mio sentirmi
inutile e impotente. Jayaura, così mi chiamo…questa è la mia vita e questa è la
mia storia…
Spesso la nostra società ci
impone canoni di vita e modelli di comportamento che ancora adesso non riesco ne
a capire ne ad accettare.
Se non sei il Top sei Out,
nessuno ti guarda, ti considera, praticamente non esisti e vieni emarginato.
Questo è quello che è successo a me, quello che mi hanno fatto e che non
perdonerò, perché certe cose lasciano il segno, come un marchio stampato a fuoco
sulla pelle, e non si possono ignorare.
“La dama in nero”, così mi hanno
sempre chiamata a scuola e io…li ho sempre lasciati fare.
Non sono mai intervenuta in mia
difesa, per paura. Paura di vivere.
Alcune persone posso farti
sentire ad un tale livello di bassezza che non ti rendi nemmeno più conto se sei
un essere umano o un animale, come loro ti considerano.
Quando tutto questo può finire?
Quando qualcuno, al di sopra di ogni giudizio morale, ti prende per mano e ti
aiuta, soprattutto sa che esisti.
Anche questo mi è successo…come
non lo so, o forse non me ne rendo ancora conto, l’unica cosa che so è che
finalmente posso camminare a testa alta tra la gente perché tutti mi rispettano,
perché lui è con me.
Ho sempre frequentato la Toho
come scuola ma gli altri sembravano non saperlo, se non i professori che erano
gli unici a chiamarmi per nome, solo per interrogarmi.
Di certo io non ho mai cercato
amicizie, ne mi sono mai esposta per attirare la mia attenzione, succedeva già
abbastanza senza che io non facessi niente.
Il mio unico hobby è il disegno,
amo sognare ad occhi aperti e riportare i miei sogni su carta, forse per fuggire
alla realtà…già, perché spesso l’umiliazione è talmente forte che vorrei fuggire
via, dileguarmi e sparire, ma non posso, o per lo meno non potevo, mi riesce
difficile parlarne al passato anche se tutto ciò non mi succede più, però è
tutto così vivo nella mia memoria anche se sono solo ricordi…
Ogni mattina in classe uno
scherzo dei miei compagni mi aspettava e io restavo impotente, lo subivo e
andavo in silenzio a sedermi al mio posto, se solo mi fossi ribellata avrei
avuto tutta la classe contro, nessuno a difendermi…
Non ho mai provato rabbia nei
loro confronti, solo tanta pena, quella che loro non avevano nemmeno per me,
l’oggetto delle loro scorribande. Come quella volta che misero dell’inchiostro
nel mio bicchiere di te che lasciai incustodito per qualche minuto sul banco,
pure il professore si mise a ridere e io scappai…feci un permesso di uscita e
non tornai a scuola per una settimana in attesa che il colore andasse via.
Fu proprio quel giorno che andai
a sbattergli contro, mentre correvo verso casa…lui era fuori nel cortile con un
pallone ai piedi, io non me ne’accorsi e lo presi in pieno, caddi per terra…
“Ehi! Ti sei fatta male?”.
Subito non mi resi conto, ma
cercai di non alzare il viso per non farmi vedere altrimenti anche lui avrebbe
riso di me, come tutti.
“No, no! Scusa…” e scappai via
piangendo, solo non mi accorsi che nello scontro mi cadde la cartellina dei
disegni e fu proprio quella a farci rincontrare di nuovo.
“Ehi, ma dove scappi!! Guarda
che ti è caduta quest…ah tanto è inutile. Vediamo, Jayaura 5d. domani gliela
restituirò”.
Ma io il giorno dopo non andai a
scuola, l’ho già detto, rimasi assente per una settimana a nascondermi…quando
tornai in classe venni a sapere che per ogni giorno della mia assenza qualcuno
mi aveva cercata, ma non mi presero in giro per quello, anzi sembravano
spaventati nel farlo e solo dopo qualche minuto avrei scoperto il perché…
Come al solito fui “attaccata”
quella mattina, uno dei miei compagni rovesciò una bibita sul suo banco e mi
ordinò di pulirlo, io rimasi in silenzio senza il coraggio di farlo, con lo
sguardo basso, allora lui si avvicinò a me e mi ordinò di muovermi…io non lo
feci e nemmeno assentii, per tutta risposta mi vidi arrivare uno schiaffo e i
miei occhiali volarono dall’altro lato della stanza. Qualcuno aveva assistito
alla scena, senza occhiali non vidi molto ma fu abbastanza…qualcuno, con la
rabbia di una tigre e la forza di un rinoceronte prese il mio compagno e lo
sbatté contro il muro, sollevandolo per la camicia…
“Ma chi diavolo ti credi di
essere!!”
Era lui…lo stesso ragazzo di una
settimana prima, riconobbi subito la sua voce e rimasi fortemente imbarazzata
per quello che stava facendo per me, nessuno aveva mai osato…
“Rispondi!! Ho DETTO chi diavolo
ti credi di essere!!!”.
“…M-Mark, i..io, tu n…non
capisci.”
Il mio compagno era
letteralmente terrorizzato e lo si sentiva benissimo dalla sua voce.
“Ah si??? Io non capisco??!!”
vidi un braccio muoversi velocemente e dal gemito che udii mi resi conto che un
pugno lo aveva appena raggiunto in pieno stomaco, ma se il misterioso ragazzo
avesse continuato poi gli altri se la sarebbero presa con me e io non potevo…mi
accucciai per cercare gli occhiali ma non li trovavo…
“E ora sparisci!!”
Quando si girò mi vide e trovò
anche i miei occhiali che mi porse subito…
“Jayaura, sono qui i tuoi
occhiali.”
“G-grazie…ma come sai il mio
nome?”
“Semplice, è scritto sulla
cartellina dei tuoi disegni.”.
Mi rimisi gli occhiali e
finalmente vidi chi avevo davanti…era Mark Lenders, il fiero capitano della
squadra di calcio della nostra scuola.
“La m-mia cartellina?! Io l’ho
persa…” ancora mi tremava la voce.
“No, non l’hai persa, ti è
caduta una settimana fa quando mi sei arrivata letteralmente contro e sono
venuto a riportartela. Beh ora devo andare, ciao.”.
“C-ciao”.
Sparì esattamente come era
arrivato, all’improvviso. Nei giorni seguenti più nessuno tentò di farmi qualche
strano giochetto presi dal terrore che Mark sarebbe potuto tornare a difendermi
e che le avrebbe suonate a qualcuno di santa ragione.
Mi sentii sollevata, un po’ più
tranquilla al sapere che finalmente avevano smesso di tormentarmi, ma sapevo
bene che prima o poi tutto sarebbe ricominciato, che al primo cedimento del
protettorato di Mark, che alla sua prima assenza, tutto sarebbe ricominciato…e
io difficilmente mi sbaglio…
Perché la gente è colma di tanto
odio? Non lo so…non so più niente…
Un giorno qualsiasi, di una
settimana qualsiasi, semplicemente perché non ricordo quando, ero fuori nel
cortile della scuola a leggere un libro, un racconto che mi affascinava forse
perché avrei voluto tanto esserne io stessa la protagonista, per diletto ne
scriverò qualche passo cosicché anche voi possiate ammirare e restare ammaliati
dalla bellezza della storia d’amore tra Artù, Merlino e Morgana…
“Perché bisogna morire Merlino?”
Seduta ai piedi di un albero,
Morgana sistemava distrattamente sul prato un mazzetto d’erbe medicinali. Erano
nella penombra di un sottobosco. Attraverso la vegetazione, digradante verso la
costa, si vedevano le mura di Carduel inondate di luce estiva e, più in là, il
profondo braccio d’acqua che separa la terra dei Silures da quella dei Belgae e
si allarga verso ovest fino a confondersi con il mare detto d’Hibernia dai
Romani e d’Irlanda dai Sassoni.
“Perché bisogna morire?”, ripeté
Morgana, “sono piccola eppure avverto la fuga del tempo e l’approssimarsi della
fine. La vita è così breve.
“La fine di una vita non è la
fine del tempo, Morgana, e la morte di un uomo non è la morte dell’Uomo.”
“Cosa importa a me che l’uomo
duri?” ribatté stizzita. “Per me conto solo io. L’Uomo lo detesto: è uno schiavo
rassegnato alla sua sorte, disposto, pur di sentirsi confortato, ad accettare
tutte le idiozie sull’immortalità propinate da illuminati e ciarlatani.
Scempiaggini sull’Aldilà, con un Paradiso ed un Inferno in cielo, sottoterra e
non so dove altro […] . Potrei io, Morgana, accontentarmi di essere perpetuata
da quest’Uomo, eterno solo nella sua stupidità? […]. Si mise a piangere,
versando lacrime puerili su fatti vertiginosi, con quella tristezza intensa e
passeggera del bambino votato interamente e incondizionatamente al proprio
sconforto: tenera carne smarrita nell’abisso dello spirito. Merlino si avvicinò
e la prese fra le braccia. Lei gli strinse le sue intorno al collo e gli posò la
testa sulla spalla.
“Con te non ho paura, Merlino.
Amami. Amami sempre e non morirò.”
Il maestro sentì il suo corpo
leggero e delicato scosso dagli ultimi singulti, poi lei si calmò e si assopì.
[…] Merlino ebbe la sensazione che niente contasse più all’infuori di lei,
bambina soave e ribelle addormentata fra le sue braccia. E quell’istante d’amore
assoluto, restituendo alla penombra del contingente l’ordine e il caos, il bene
e il male, la coscienza e la morte, valeva più di qualsiasi sogno d’eternità.
[…] (Scena in cui Artù parla a
Merlino dopo che Morgana, che ha scoperto di essere incinta di lui, lo ha
abbandonato.)
“Perdonami padre” sussurrò “Non
sono degno di abitare il tuo mondo ne di governarlo. Questo mondo senza Morgana
è per me un deserto, e mi sono fatto schiavo di una passione che le ho detto di
poter dominare. Morgana mi ha vinto due volte. Con la mente, perché il suo
acume ha frantumato il mio cieco orgoglio, e perché ha fatto del veleno della
sua intelligenza una droga necessaria alla mia, che se ne diletta anziché
combatterla, un nettare per il mio animo assetato di questa sola bevanda
corrotta. Con il corpo, perché la mia fame di lei è tanto grande che la
privazione della sua carne stà devastando la mia. Così in me il caos ha vinto il
tuo progetto, affidato a uno schiavo che non hai saputo riconoscere come tale.
Perdonami, padre.
“Non ho nulla da perdonarti Artù
perché non provo alcuna delusione. Morgana insegue ad ogni costo la legge delle
cose, ma più si avvicina a penetrarla, più le si rivolta contro, perché vi
scorge l’ingiustizia e la crudeltà della propria insignificanza e della propria
morte. […] Morgana con la sua brama di sapere e il suo genio insuperato per la
ricerca, rappresenta nonostante tutto il trionfo della mente, artefice di quei
progetti che lei stessa vorrebbe annientare. E tu, vittima di una fiamma
riconducibile per se stessa ammissione al caos, finisci per subire le estreme
conseguenze di una passione che, pur scaturendo dalla legge naturale, non erode
la legge dell’essere, anzi la esalta. Non è la passione che bisogna uccidere per
prevenire il rischio di esserne uccisi, Artù: è la paura che essa ispira, la
paura del compimento quando Morgana ti accoglieva, la paura della frustrazione
adesso che lei ti rifiuta. Lascia vivere in te senza timore il dovere e la
passione, l’iniziativa e il dolore. Non rinnegare ne la Tavola ne Morgana. È
questo forse il colmo dell’utopia.”
[…] “Nel piacere sono una donna,
ma nell’amore sono Morgana. Non amo che due creature, Merlino e Artù, mio padre
e mio fratello. L’uno mi ha respinto, pur amandomi. Io, pur amandolo, ho
respinto l’altro. Da ciò dipendono le nostre vite e un intero mondo.”
Proprio mentre leggevo
quest’ultimo passo il libro mi fu improvvisamente strappato di mano, una
vendetta…ed è facile capire di chi. Mi trascinarono in un angolo dove nessuno
avrebbe visto quello che stavano per fare. Mi picchiarono e anche in modo
pesante, non mi resi conto nemmeno per quanto tempo, riuscivo solo a pensare al
dolore e al perché lo stessero facendo. Semplice anche quello da immaginare,
l’umiliazione subita da Mark era stata troppo forte per il loro orgoglio e io,
come avevo previsto, sarei stata punita per il suo gesto così umano nei miei
confronti. Un pugno dopo l’altro, un calcio dopo l’altro mi ritrovai accasciata
per terra, con il viso tumefatto. Potevo sentire il gusto acre del terriccio
arrivarmi fino in bocca che si mischiava con il rivoletto di sangue che mi
usciva dalle gengive e dal labbro…soffrivo terribilmente. Svenni.
Quando mi svegliai non mi resi
conto di quanto tempo era passato, ma una cosa era sicura, la scuola era già
finita perché non si udivano voci, tutto era silenzioso. Mi rialzai
trattenendomi lo stomaco dolorante, ebbi un giramento di testa e mi ressi ad un
cespuglio poco vicino, provai di nuovo a camminare, raccolsi il mio zaino e me
ne andai con l’anima spezzata, non credevo sarebbero mai arrivati a tanto…
Per fortuna in casa non c’era
nessuno quando rientrai, mi sbrigai ad andare in camera. Andai in bagno per
osservare il mio “dolore” e quando vidi la mia immagine riflessa nello specchio
ebbi un conato e feci appena in tempo a piegarmi sul water che tutto il mio
disprezzo venne fuori in pochi secondi. La bocca non aveva ancora finito di
sanguinare e si vedeva…volevo levarmi di dosso lo schifo che provavo, allora mi
spogliai e mi feci una doccia fredda. Tastai le ferite per controllarne la
gravità, avevo lividi dappertutto. Poi improvvisamente sentii aprire la porta di
camera mia…
“Jayaura, tesoro se lì??”
“Si mamma, sto facendo la
doccia!!!”
Piangevo e le mie lacrime si
mischiarono con l’acqua che, forte, usciva dall’erogatore. Dovevo assolutamente
inventare una scusa per non fare preoccupare i miei genitori ma non fu facile
convincerli…una caduta dalle scale, banale, ecco cosa raccontai.
Quel poco cibo che ingerii a
cena mi provocò un bruciore intenso allo stomaco e andai a rinchiudermi in
camera mia, nel mio sconforto.
Non potevo saltare altri giorni
di scuola e il mattino seguente fui obbligata ad alzarmi per andarci. Fu facile
nascondere i lividi sul corpo con una maglia a maniche lunghe e un paio di
pantaloni, per il viso adottai un paio di occhiali scuri, sperando che nessuno
avrebbe avuto il coraggio di ridere di me anche per quello…
Quando arrivai però ebbi una
felice sorpresa, sul cancello d’ingresso c’era un cartello che recava la scritta
“chiusa per derattizzazione”, avevo dimenticato che ci sarebbe stata, allora per
non tornare a casa a piangere su me stessa decisi di camminare e mi recai nelle
vicinanze del campo da calcio dell’istituto. Lì la Toho si stava allenando,
anche Mark. Mi nascosi, non volevo essere vista da lui così, avrebbe solo
peggiorate le cose. Mi sedetti all’ombra di un albero e tirai su gli occhiali,
la luce del sole mi accecò per un istante ma poi riacquistai la vista. Tirai
fuori dallo zaino il mio album da disegno e provai, mi sforzai di distrarre la
mia mente dal giorno prima, anche se non ci riuscivo, una lacrima dopo l’altra
mi solcarono le guance ma sentii dei passi avvicinarsi e fui costretta a
riabbassare gli occhiali per nascondermi…
“E tu che ci fai qui?”
Mark mi aveva trovata e io mi
rialzai in fretta per fuggire un ennesima volta.
“Io..scusa, non avrei dovuto.”
Mi girai e feci per andarmene ma
lui mi prese per un braccio.
“Ehi, non ti mangio mica.”
Potevo sentire il suo sguardo su di me. Mi girò.
“Ma tu stavi piangendo…”
“L…lascia stare non è niente, ho
solo qualcosa in un occhio”.
“Dai fammi controllare, togliti
gli occhiali!” detto, fatto.
“Noo!”.
Non feci nemmeno in tempo a
fermarlo che li aveva già tolti, ormai aveva visto…
“Chi ti ha ridotto così?!! Chi è
stato!!!??”
Stava stringendo in maniera
incredibile le mie braccia e dalla rabbia non si accorse che mi stava scrollando
con forza.
“Mark, lasciami!!!”
Lo fece subito.
“Scusa, non avrei dovuto. Ma chi
ti ha ridotto così?”
“Nessuno, sono caduta da sola,
ho inciampato nelle scale di casa.”
“Bugiarda, questi sono lividi di
botte non di una caduta, mi spiace ma stai mentendo alla persona sbagliata, so
riconoscere certe cose.”
“Mark smettila di preoccuparti
per me!!”
“Perché? Che ho fatto di
male??”.
Il nostro tono di voce si era
alzato e sembrava addirittura che stessimo litigando.
“Ecco cosa hai fatto!!
Guarda!!”.
Sollevai le maniche e la maglia
per mostrargli i lividi che avevo dappertutto.
“Si sono vendicati del pugno che
hai dato al mio compagno qualche giorno fa…per questo devi smetterla di
difendermi!! Altrimenti se la prenderanno anche con te e io non voglio!!!”.
“Vigliacchi!!!Maledetti
Bastardi…”
“Non preoccuparti Mark…passerà,
come al solito passerà…”
“Ma perché tu gli permetti di
trattarti così?”
“Ho altre alternative?? Mi
ritroverei tutti contro.”
“Allora chiedi aiuto!!”
“A chi?”
“A me…lo so, non ci conosciamo,
ma sento di doverti aiutare, non chiedermi perché ma io ti considero un amica, e
i miei amici non si toccano, tu non preoccuparti vedrai che troverò una
soluzione.”
Per la prima volta mi sentii
protetta e sicura, un ragazzo che avevo visto solo un paio di volte mi stava
difendendo da tutte le ingiustizie che avevo subito fino al quel momento ed era
davvero sincero nel volerlo fare.
Non capii ancora come Mark
voleva vendicarsi, solo mi rassicurò e mi disse di non preoccuparmi perché al
mio fianco c’era lui.
Dal quel giorno per ogni mattina
camminava al mio fianco insieme ad un paio di suoi compagni di squadra, come se
avessi delle guardie del corpo.
Poi un giorno finalmente capii
come Mark intendeva punire i miei compagni…di lì a qualche giorno ci sarebbe
stata una partita di calcio, un amichevole, tra i giocatori della Toho e i più
forti di ogni classe dell’istituto. Anche loro erano in campo quella mattina. Si
respirava un aria di rabbia incredibile. Io rimasi in silenzio e mi sedetti a
bordo campo dove Mark mi aveva ordinato. Già al primo fischio iniziarono i
falli, tremendi. Calci diretti sugli stinchi, testate, palloni nello stomaco,
tutti a sfavore degli avversari ovviamente. Mark aveva istruito bene la squadra,
avevano l’ordine di andarci pesante in qualsiasi modo e tutti appoggiarono
l’idea del loro capitano, spinti dal sincero desiderio di aiutarmi. Uscirono dal
campo doloranti e si sentivano diverse lamentele…lo so è macabro, ma ne fui
soddisfatta.
“Vedrai, da oggi in poi nessuno
avrà più il coraggio di sfiorarti.”
E così fu…
FINE
Note finali: il libro dal quale
ho preso i passi si intitola “Morgana” e i diritti sono riservati all’autore,
Micheal Rio.
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