G
Buongiorno
gente *C*
Vi
tormento
con le mie fics anche a quest'ora impossibile.
ù_ù Non ho
molto da dire eh o.ò solo che c'é una versione
più
estesa di questa fics (in quanto partecipante ad un contest avevo un
massimo di pagine e ho dovuto ridurre) che pubblicherò
prossimamente, sempre qui, come "secondo capitolo". Ah, e l'Ouzo
è un liquore greco *capirete leggendo*.
Disclaimer:
i personaggi non sono proprietà mia ma di masami Kurumada.
Purtroppo.
NOTE!
Questa fanfics ha partecipato al "Contest
5 stagioni - Tema Estivo" indetto sul forum Gold Insanity,
e ha vinto il Premio Pucciness, e il premio Fics scelta dai lettori *C*
Buona lettura!
Il sole di Grecia splendeva implacabile sulla scalinata di marmo bianco
del Santuario, illuminando quella che sarebbe potuta essere una
giornata come tante altre.
Sporadiche urla dalla Dodicesima casa lasciavano intuire che la sua
quiete era stata turbata da una – non tanto insolita
–
visita del Cavaliere della Quarta; Milo di Scorpio era stato visto
salire verso l’Undicesima la sera precedente, e ancora non
era
ridisceso. In un tempio integro, Shaka meditava sotto gli alberi dello
Sharashojo.
Sion osservava tutto questo dal Tredicesimo Tempio, con un sorriso
amaro sulle labbra.
Sembra che il tempo si
sia riavvolto, pensò, per la milionesima volta
da quando tutto era finito. O iniziato.
Erano passate già settimane da quando Athena era riuscita a
concludere una sorta di pace provvisoria con Hades, mettendo la parole
“fine” a quell’ultima Guerra Sacra in un
modo mai
visto prima. Ed erano tornati tutti. Vivi.
Da settimane il Santuario era tornato il luogo di Pace e Onore che era
nato per essere, silente sentinella che vegliava sul destino del mondo.
Sembra che quei lunghi
anni non ci siano mai stati, pensò ancora,
sospirando.
Meglio così, in fondo. Sapeva che le ferite della guerra
erano
dure da cicatrizzare. Forse quell’aria di
normalità, di
ritorno ad un passato di relativa pace, avrebbe giovato ai
Cavalieri. Forse.
Tuttavia, era altrettanto consapevole di quanto l’apparenza
potesse ingannare; di come ci fosse ancora qualcuno che non era
riuscito a tornare indietro, né ad andare avanti.
Lasciò scivolare lo sguardo dalla Nona casa al punto in cui,
metri più in basso, si trovava la Terza. Era stato
estremamente
difficile per Aioros, questo ritorno alla vita; per lui che
l’aveva lasciata da eroe. Eppure Sion sapeva, dentro di
sé, che era Saga ad aver sofferto più di tutti e,
nonostante fosse stato proprio il Cavaliere di Gemini a porre fine alla
sua vita, non dubitava della sua fedeltà: ne aveva avuto
abbondante prova quando, nel Meikai, aveva piegato il ginocchio davanti
a lui, accettando di portare ancora una volta il marchio del traditore
per un fine superiore.
Lasciò scivolare le mani dal davanzale.
Spero che anche voi
riusciate a superare tutto questo.
***
Saga osservava il paesaggio da una delle finestre della Terza Casa,
senza osare avventurarsi al di fuori. Aveva appena concesso il
passaggio a Mu, forse diretto da Shaka, forse dal suo maestro. Non
aveva chiesto.
Gli sembrava così strano, essere di nuovo lì. A
volte
sollevava lo sguardo verso la Tredicesima, come se quei lunghi anni non
fossero stati che un incubo. Poi il viso di Aioros tornava ad
affacciarsi alla sua memoria: e il senso di colpa e la vergogna
tornavano a tormentarlo.
Perché era
ancora vivo?
Perché Athena aveva riportato in vita anche lui? Lui che
aveva
tentato di ucciderla. Lui che era un usurpatore. Lui che era tornato
per prendere la sua testa.
"Saga."
Alzò lo sguardo, incontrando occhi uguali ma diversi.
Avere Kanon lì con lui era la cosa più strana di
tutte: un sogno
e un incubo mischiati insieme.
"Sì?"
Il gemello esitò sulla soglia; poi scosse il capo,
voltandosi. "No, nulla."
Saga si morse un labbro. Era così da quando erano tornati:
estranei nella loro casa, quasi estranei l'uno per l'altro.
Era tutto come se quei
lunghi anni non ci fossero mai stati:
tranne che per quelle troppe parole non dette che aleggiavano fra loro;
fantasmi del passato troppo importanti per essere ignorati.
"Dove vai?" Chiese, nonostante lo sapesse già.
"Via."
"Kanon, non credo sia sagg--" tentò di fermarlo; ma venne
zittito dall'occhiata di fuoco del fratello. Ricordò il medesimo
sguardo attraverso sbarre di roccia impossibili da infrangere.
Deglutì mentre Kanon, senza aggiungere niente, si
allontanava.
Provò il fortissimo impulso di alzare una mano e
trattenerlo,
stringerlo a sé in modo da non farlo più andar
via. In
modo da cancellare tutto quello che era successo, per tornare a quella
totale e dolce comunione che c'era stata tra di loro tempo prima. In un
altro tempo, in un'altra vita.
Sentire ancora il suo calore accanto a lui.
Provò un moto di irritazione al pensiero delle braccia di
altri
- di un altro in particolare - che di lì a poco avrebbero
stretto suo fratello. Braccia che da troppo tempo non erano le sue.
Ma, in fondo, non era a Rhadamantys - perché era da lui che
Kanon andava, sempre - che la sua rabbia era rivolta. Era
a se stesso.
Non era nemmeno tanto il fatto che l'amante del gemello fosse uno
spectre di Hades ad infastidirlo, quanto semplicemente il fatto che
suddetto spectre aveva ottenuto da Kanon quell'intimità che
un
tempo aveva solo con lui.
Scosse il capo. Non aveva nessun diritto sul fratello. Non quando i
suoi stessi pensieri continuavano – ancora e dopo tutto
quello
che era successo – a essere divisi fra Kanon e Aioros.
Aioros.
Era tornato tutto come tanti anni prima: tranne lui
stesso.
Ma lui non
poteva tornare
al se stesso di tanti anni prima. Non poteva, non doveva e non voleva.
Il ricordo di occhi rossi che lo guardavano dallo specchio ancora lo
tormentava.
Come poteva fare allora?
Saga.
Sobbalzò quasi, preso alla provvista, quando il cosmo del
Cavaliere del Sagittario carezzò leggero il suo, chiedendo
l'accesso alla Terza Casa.
Talmente assorto nei suoi pensieri, non aveva notato il suo arrivo.
Si guardò freneticamente intorno, forse in cerca di una via
di
fuga; di un modo per evitare la conversazione. Non ne trovò.
Cercando di convincersi che, forse,
l’altro Cavaliere era diretto da Aldebaran – cosa
alquanto
improbabile in realtà – gli concesse
l’ingresso.
Si umettò le labbra quando sulla soglia comparve la splendente figura
di Aioros.
Distolse lo sguardo, la colpa a bruciarli incandescente nel petto.
"Come mai sei venuto?" Chiese, più secco di quanto
intendesse.
Aioros ignorò il suo tono, sedendosi di fronte a lui.
"Volevo vederti." Disse semplicemente.
Gemini non rispose.
Sagitter sospirò. Non era stato facile, per lui, scendere
alla Terza Casa. Aveva atteso settimane, prima di decidersi.
Osservò distrattamente una mano di quel corpo troppo
giovane, troppo inesperto della vita, prima di allungarla - solo apparentemente ferma -
per voltare il viso del Cavaliere di Gemini verso di lui.
Saga fu costretto a incontrare i suoi occhi - troppo sinceri.
"Dobbiamo parlare."
Tornare indietro, andare avanti.
Come fare?
***
"Ah!" Kanon gemette forte, affondando le unghie nella schiena
dell'amante e gettando la testa all'indietro, mentre le ultime ondate
dell'orgasmo si diffondevano nel suo corpo, cancellando ogni pensiero
coerente.
Rhadamantys si accasciò sul petto del Cavaliere, respirando
pesantemente al suo orecchio e osservando a occhi socchiusi i lunghi
capelli del compagno, sparsi disordinatamente sull'ampio materasso.
"Dei." Mormorò Gemini, mentre aspettava che il respiro si
regolarizzasse.
La Viverna ghignò, volutamente bastarda "Sei già
stanco, Kanon?"
L'altro si limitò a scoccargli un'occhiataccia. Ricevette in
risposta solo un'altro ghigno, mentre l'amante si accomodava sui
cuscini.
Stettero in silenzio a lungo, finché Rhadamantys - stanco
dell'insolito silenzio - non riprese a far vagare una mano sul petto
dell'altro.
Kanon lo lasciò fare, tornando a fissare il soffitto.
"Dannazione!" sbottò infine, bloccando il Giudice che aveva
da poco sostituito la mano con le sue labbra.
"Non è possibile che quell'idiota passi le sue giornate a
fissare un punto imprecisato della Scalinata!" Non è possibile che
passi le giornate a pensare solo a lui! Aggiunse
fra sé e sé; la gelosia che tornava bruciante.
Rhadamantys tentò di ignorare gli sproloqui del Cavaliere,
ma
venne nuovamente interrotto quando Kanon si sollevò sui
gomiti
per fissarlo con sguardo accusatore.
"Non tenta nemmeno di parlarmi!” Neanche fossi stato io a
rinchiuderlo in una prigione condannandolo a morte,
aggiunse ancora, nonostante riconoscesse l’ingiustizia di
quel pensiero.
Egoisticamente, però, incolpare Saga, ora che la guerra era finita,
era molto più semplice che affrontare i suoi sentimenti e la
sua colpa.
Rhadamantys si limitò a fissarlo. Gemini si scosse, a
disagio, cercando di evitare quell’esame del Giudice.
"Si raccoglie sempre ciò che si ha seminato." Gli
disse soltanto la Viverna.
"Parli della tua giustizia."
"Parlo della giustizia così come deve essere."
"Una punizione eterna."
Il giudice inclinò appena il capo, rivolgendogli uno sguardo
impenetrabile. "Ma nel mondo degli uomini nulla è eterno."
Kanon si stese nuovamente sui cuscini, pensieroso e irritato.
Cercando di capire.
***
Nella Terza Casa aleggiava un silenzio pesante, carico di rimorsi e
aspettative.
Saga posò un bicchiere d'acqua e ghiaccio sul tavolo davanti
al
compagno di un tempo, prima di girarsi e tornare ad appoggiarsi al
davanzale della finestra. Per non guardarlo.
"Saga..." incominciò Sagitter, deciso a rompere quel
silenzio. “...Perché mi eviti?"
"Io non ti sto evit--" cercò subito di negare, ma lo sguardo
dell’altro lo bloccò.
Un sospiro.
"E va bene!” Ammise, con un tono a metà fra
l'arrabbiato e
il frustrato. “Sì, ti sto evitando. Ti sembra
così
strano dopo ciò che è successo?"
"Saga," ripeté, "quello che è stato..."
"Io ho ordinato la tua
esecuzione!"
"Non mi importa." Sentenziò, lapidario e sincero, gli occhi
di quell'insostenibile verde fissi nei suoi.
"No Aioros, non capisci. Tu... voi... forse pensate che quello non
fossi io. Non è così! Ho passato anni a cercare
di
convincermi di questa stessa cosa, ma..." Ma Kanon aveva ragione.
"...ero io." Lo disse, e il tono si incrinò appena.
"Saga...” Sagitter si alzò,
avvicinandosi a lui e
interrompendo il suo fiume di parole. “Lo so.” Saga
inspirò fra i denti, mentre la figura del compagno diventava
dolorosamente vicina. "E non mi importa."
"Come può non importarti?"
La pazienza e l’amore di quegli occhi chiari erano quasi
insostenibili. "Guarda il Santuario. E’ tutto come prima.
Anzi,” si corresse “è meglio,
perché non
incombe più la minaccia della Guerra Sacra. E' come se
quella
notte non ci fosse mai stata. Torniamo indietro anche noi, Saga, a
quello che siamo stati. Dobbiamo tornare indietro per andare avanti."
Seguì un attimo di silenzio, in cui furono sguardi evitati,
desiderio e colpa ad aleggiare nell'aria.
Era quella la risposta?
Ancora una volta la
salvezza gli si presentava con quel volto?
Capì.
E allora furono soltanto le labbra di Saga su quelle del compagno, in
gesto dal sapore agrodolce.
***
Era calata la sera.
Aioros se ne era andato poche ore prima, diretto alla quinta casa,
lasciandogli un ultimo bacio come commiato.
Ora Saga sedeva - più tranquillo e ancora un po' incredulo -
su di una sedia della cucina.
Aveva ancora qualcosa da
fare.
Osservava il posto vuoto dall'altra parte del tavolo. E aspettava.
Persino dopo gli avvenimenti di quel pomeriggio, ancora dubitava un
po’ di se stesso.
Sospirò.
Un Cavaliere, anche in tempo di pace, non può esitare; ma la
pace, a volte, è più difficile della guerra. Ti
da il
tempo per pensare. Soprattutto
ora che era tutto come
prima. Tranne quest’ultima cosa.
Saga sapeva cosa gli mancava.
Ed era altrettanto consapevole che sarebbe stata la parte
più difficile.
Sentì il cosmo del fratello entrare nella Casa,
così familiare ed estraneo allo stesso tempo.
Lo chiamò.
Il gemello si affacciò nella cucina; e, stranamente, il suo
sguardo - che fino a quella mattina era stato fisso nel suo, accusatore
- ora lo fuggiva.
Kanon si morse appena un labbro. Avvertiva fisicamente la distanza che
li separava. Ricordò
un tempo in cui le loro menti erano state così vicine da non
aver bisogno di parole, per comunicare.
Ricordò il
calore della pelle di Saga.
Infine, incontrò i suoi occhi: nascose l'insicurezza dietro
la solita maschera sprezzante.
"Dimmi."
"Ricordi la promessa che ci scambiammo in quella pineta, da bambini?"
Questo lo spiazzò. E gli fece male. Tanto da fargli
abbandonare
quell’atteggiamento di difesa. Perché la
ricordava,
eccome. Avevano
promesso che qualunque cosa avesse cercato di dividerli, l'avrebbero
combattuta e sconfitta insieme.
Sogni di bambini.
"Sì." Disse, dopo un po'. "Certo."
"Mi mancano quei giorni."
Kanon distolse lo sguardo. "Anche a me." Fu difficile, ma lo ammise.
Saga prese un respiro. Poi, lo disse. "Allora… torniamo a
quei giorni."
Il fratello, tuttavia, si ritrasse. "E' impossibile." Scosse la testa.
"Era un'altra vita."
"Anche questa lo è."
Fu silenzio. Ancora.
"Non dico… di cancellare tutto quello che è
successo.
Solo... riproviamoci. A recuperare ciò che è
stato."
Aggiunse Saga, in tono più sommesso. Quasi temendo che da un
momento all'altro il gemello se ne sarebbe andato. Come aveva sempre
fatto.
Kanon attese, combattendo contro quell'idea. Riavvolgere il tempo, senza
dimenticare tutto ciò che era successo in quegli anni? Era
possibile?
Solo allora notò la bottiglia di Oúzo posata sul
tavolo, insieme a due bicchieri.
Si passò una mano fra i capelli, mordendosi un labbro per
l’indecisione.
Infine si sedette, versandosi un po' di liquore.
In fondo, potevano far esplodere le galassie.
Parlare non sarebbe
stato tanto difficile, no?
"Allora," disse, "da dove cominciamo?"
Ingoiò un sorso, godendosi senza darlo a vedere il sorriso
del fratello.
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