Sesto
Capitolo
Quel nuovo mattino, nonostante i raggi di un tiepido sole filtrassero
attraverso la finestra della mia stanza, io non ci vedevo nulla di
buono.
Avevo preso
la mia decisione, eppure era complicato attuarla. Ma dovevo.
Non potevo
più ingannare lo Shogun, mio padre, ma soprattutto me stessa.
Mi vestii
lentamente, sistemando meglio il kimono di un marrone scuro con
semplici rifiniture sul giallo, come una serie di ghirigori senza senso
che sfioravano la schiena. Legai un obi dorato alla vita, e vi fissai
all’interno il Tanto imperiale che mi era stato consegnato
dopo la mia prima lezione. Raccolsi i miei lunghissimi capelli
d’ebano con una coda alta, in una maniera forse
più femminile.
Una volta
pronta, mi soffermai qualche istante davanti allo specchio e quello che
vidi era una donna con uno sguardo fermo e deciso, i cui tratti
apparivano severi, rigidi, ma i suoi profondo occhi scuri dalle
sfumature violacee erano spenti, vuoti, annegati in un mare di profonda
tristezza e delusione.
Scossi il
capo, non permettendomi di piangere ancora, e afferrai l’arco
e la faretra, amati compagni, che fissai sulla spalla. Feci scivolare
di lato la porta e mi accinsi a percorrere tutto il corridoio che
conduceva alla sala d’addestramento. E’
lì che avrei incontrato lo Shogun, ne ero certa.
Una volta
giunta a destinazione, iniziai a guardarmi intorno. Lasciai spaziare il
mio sguardo lungo tutto il perimetro dell’area, osservando i
soldati che si allenavano continuamente, desiderosi di dimostrare il
loro valore e rispettare il loro giuramento, cosa che io non avevo,
infine, fatto.
Sospirai al
pensiero e ripresi a guardarmi in giro. Mi soffermai in particolare su
una parete sulla quale erano affissi gli archi imperiali, in dotazione
a coloro che, una volta superato il periodo da recluta, decidevano di
diventare dei veri e propri arcieri. Erano lunghi e di un legno chiaro
e pregiato, e provai una fitta al cuore al solo pensare che uno di
quelli potesse essere mio.
Avanzai di
qualche passo, fino a raggiungere il terrazzo, dove non sarei stata
d’intralcio ai vari addestramenti che si stavano svolgendo.
Respirai un poco d’aria e, quando tornai a voltarmi, subito
il mio sguardo incrociò il suo.
Il mio cuore
prese immediatamente a battere più forte nel petto, temevo
che potesse essere udito da tutti, ma soprattutto da lui, e sarebbe
stato terribile! Non doveva accadere, quindi cercai di fare un altro
profondo respiro, ma non si può comandare al cuore,
purtroppo.
Non appena
lui mi vide, si avvicinò con fare stanco verso di me. Al
battere incessante del mio cuore, si aggiunse una fitta tremenda al
basso ventre, all’intestino, che mi spinse a posarvi sopra
una mano con la mera speranza di alleviare tanto dolore.
Nell’osservarlo
meglio, restai allibita: appariva più vecchio e
più stanco, quasi fragile, seppure potesse sembrare una cosa
priva di senso. Il grande Shogun, austero e imperioso, capace di
uccidere con pochi colpi, ora sembrava un uomo troppo stremato, come se
il peso del suo ruolo e delle sue decisioni lo avessero abbattuto di
colpo e non riuscisse più a sostenerlo con le sue sole
spalle.
Mi faceva
male vederlo così, in quel momento avvertivo il bisogno di
aiutarlo, di abbracciarlo come per alleviare un poco quella sofferenza
che sembrava provare e alleggerire un poco il carico che portava.
Ma, trattenni
immediatamente l’impulso, sapevo bene, infatti, che
ciò non era possibile.
Lui si
fermò a pochi passi da me, mi guardò serio e allo
stesso tempo stanco e poi mi rivolse parola:
«
Konnichiwa Minako-san. » un semplice saluto, prima di sedersi
a terra, ignorando tutto e tutti. « Sono troppo vecchio
ormai, ho fatto il mio tempo…» non mi
guardò minimamente, ma si limitò ad osservare
dinanzi a sé, un punto non ben decifrato nella stanza.
Le sue parole
mi apparvero incomprensibili: cosa voleva dire? Lui troppo vecchio?
Perché si sentiva così? Mi fece cenno di sedermi
accanto a lui e subito obbedii, pur rimanendo un poco discostata da
lui, per non sfiorarlo minimamente.
«
Cosa vuoi dire, mio Shogun? » proferii a bassa voce,
assecondando il suo tono usato, e non smisi mai di guardarlo, ignorando
il dolore che avvertivo, troppo preoccupata per lui.
«
Un mese fa ho condannato a morte un uomo senza prove; dovevo trovare un
colpevole di omicidio, e lui era perfetto. Poco fa ho interrogato un
uomo che ha cercato di uccidermi e l'ho lasciato andare,
perché non ho più voglia di uccidere...
» si fermò qualche istante, soffermando poi i suoi
occhi pece su di me ed io non distolsi il mio sguardo. Sentivo che
aveva bisogno di sfogarsi e, pur non capendo perché avesse
scelto proprio me, mi sentii lusingata e felice, ma allo stesso tempo
provavo una tal sofferenza nel vederlo così e mi sentivo
incapace di aiutarlo. « Per troppo tempo sono stato Shogun,
troppo a lungo ho dovuto prendere decisioni, stabilire chi doveva
vivere e chi morire, ucciso in battaglia, difeso questi luoghi e il
divino imperatore, ma ora sono stanco. » sorrise tristemente
e poi il suo sguardo oltrepassò la mia stessa figura,
facendosi lontano, come se sognasse ad occhi aperti « vorrei
avere qualche amico, vedere mio figlio un uomo che cavalca, e mia
figlia una perfetta Geisha. ».
Non riuscii a
parlare. Avrei voluto stringere le sue mani alle mie e fargli forza,
fargli capire che io c’ero per lui e, se avesse voluto, ci
sarei sempre stata. Ma per lui ero solo la figlia del suo migliore
amico no? Probabilmente solo una bambina ai suoi occhi.
«
E’… è così triste vederti
così. Sentire che lo Shogun, l’uomo che ammiro di
più al mondo… » e che amo
– avrei voluto aggiungere « … dica tali
parole. Forse è solo un momento, forse, se mi è
concesso dirlo, hai soltanto bisogno di riposare, per poi tornare ad
essere lo Shogun che eri e che sei ancora nel profondo. » non
sapevo se potevo rivolgermi così a lui, ma volevo dire
qualcosa, giacché a gesti non era possibile far nulla.
Lui scosse il
capo e poi posò una mano sulla mia spalla, ed io mi trovai a
sussultare un attimo. Una miriade di sensazioni mi avvolse a quel
semplice contatto. L’amore ed il dolore si fondevano insieme
e non sapevo se sentirmi male o bene.
«
Sai cosa penso di questo posto, Minako? Credo che sia ora di
rinnovarlo, forse è venuto il momento di lasciare il mio
posto a un altro venerabile Shogun. » allontanò la
mano dalla mia spalla, nonostante una voce dentro di me gridasse per
sentire ancora quel semplice, innocente, tocco, e poi sembrò
di nuovo perdersi nei suoi sogni.
«
L'ho sognata... la Cascata di Gelsomini, il fiore perfetto finalmente
trovato. » la sua voce sembrò un semplice
sussurro, come la voce del vento. « mia figlia che lo riceve
e viene mandata al Castello per la cena ed io che sorrido e mi
addormento per sempre... »
Quelle parole
erano terribili. Perché mi parlava così?
Perché si rivolgeva in questo modo proprio a me?
Perché pensava così presto alla morte?
Non riuscii
più a trattenermi: i miei occhi si fecero lucidi e lacrime
vi si addensarono. Lo guardai ancora e, incurante di tutto e tutti, pur
mantenendo un tono basso, presi parola:
«
Perché parlare di rinnovamento ora? Ci sei tu, un grande
Shogun. Colui che mi ha accolta qui e mi ha insegnato tanto. Colui per
il quale sin da bambina ho provato una profonda ammirazione. Colui che
tutti lo venerano e di cui tutti parlano. Guarda quei soldati, guarda
come si allenano. Loro vogliono seguire le tue orme, diventare dei
perfetti uomini d’arme come te, pieni di onore,
lealtà, rispetto, orgoglio. Lottano per diventare uomini.
Lottano per amore della propria terra, del proprio imperatore, ma anche
di te, dello Shogun che insegna loro a vivere, oltre che combattere.
» le lacrime iniziarono a scorrere dai miei occhi, non
riuscendo più a trattenerle. « Ti prego
Shogun-sama non parlare della tua morte. Come starà tua
figlia? Credi che tua moglie e tuo figlio sarebbero felici di sentirti
parlare così, se fossero ancora qui? Come faranno qui senza
una persona valida come te al comando del glorioso esercito imperiale?
» e come
starò io senza di te? Altro pensiero da tenere
nascosto. « E’ triste vederti così,
davvero tanto. E mi risulta ancora più difficile dirti la
mia decisione. »
Sembrò
non ascoltarmi, seppure mi guardasse intensamente. Non smisi di
piangere, anche se mi sentivo fragile e sciocca, ma le sue parole mi
avevano notevolmente turbata e non potevo rimanere in silenzio a
guardare. Dopo qualche secondo di silenzio, interrotto solo dal rumore
delle spade, dalle urla dei soldati e dalle mie lacrime capricciose,
disse:
«
Cosa devi dirmi Minako-san? Sei arrivata dunque alla tua decisione?
»
Annuii,
asciugando poi le lacrime con la manica destra del kimono.
«
La decisione è stata presa. Ci ho pensato a lungo, per un
intero giorno, valutando i pro e i contro e, alla fine, ho capito che
non posso più ingannare né te, né mio
padre, né me stessa. Mi sento triste nel doverti dire
ciò, ma ho deciso di non restare qui. Non è
questa la mia strada ed io non sarò mai un vero soldato.
» abbassai per un attimo lo sguardo, poi ripresi. «
mi dispiace dirti ciò, so che ti deluderò, come
ho deluso profondamente me stessa e come deluderò mio padre
vedendomi tornare tanto presto. Ma qui non mi trovo bene, non
è questo il mio posto. E’ venuto per me il tempo
di partire: tornare da mio padre o forse andare altrove,
chissà. Amo l’arco, è ormai parte di me
stessa, e continuerò sempre ad usarlo, ma non posso divenire
arciera dell’esercito imperiale. » nonostante la
tristezza, la delusione, il dolore e le lacrime, il mio tono era deciso
e il mio sguardo tornò a soffermarsi su Azumamaro che mi
fissava a sua volta.
«
Non posso dire di essere felice di questa tua decisione,
però se questa è la tua strada che gli antenati
ti proteggano sempre. » mi disse, sfiorando con lo sguardo il
mio viso, per poi lasciarlo ricadere sul tanto che spuntava
dall’obi stretto alla mia vita.
«
Ti ringrazio mio Shogun. » non so perché
continuavo a rivolgermi così a lui, mio. Lui non sarebbe mai
stato mio. Poi sfilai il Tanto che avevo all’obi e glielo
porsi. « quindi devo ridarti questo. Non sono meritevole di
portarlo ancora con me ».
Lui lo prese
tra le sua mani, senza dire una parola. Temevo che mi cacciasse in malo
modo e invece…
Rimasi ad
osservarlo in silenzio, attendendo una sua parola, il suo congedo. Non
potevo alzarmi e andarmene di mio libero arbitrio.
Lui
osservò con cura il Tanto, muovendolo tra le sue mani, poi
lo sentii sussurrare.
« I
fiori… »
Inarcai le
sopracciglia non capendo che volesse dire, ma poco dopo riprese:
«
Ho visto il fiore perfetto venticinque anni fa e lo sposai. Dicono che
nel nostro Impero, non ci si può sposare per amore, ma io lo
feci… » quelle parole mi trafiggevano
l’anima ed il dolore aumentò, ma rimasi di sasso
nel vedere ciò che stava per fare: puntò il Tanto
al suo stomaco, con la parte affilata e tagliente, e iniziò
a dare una leggera pressione, non così esagerata da
trafiggersi, ma delle piccole gocce di sangue uscirono dalla
lacerazione.
Allarmata
quasi mi ritrovai a gridare un « NO! », mentre,
incurante di tutte le etichette da rispettare, allungai le mie mani nel
tentativo di allontanare quell’arma da lui. No, non potevo
sopportare di perderlo così. Già non potevo
averlo, ma vederlo morire sarebbe stato ancora più doloroso.
« No, ti prego Shogun-sama. Non fare così, non
devi… ti scongiuro. » sembravo una bambina, mentre
lasciavo scorrere di nuovo quella dannate lacrime e mi sforzavo di
impedirgli di uccidersi.
Lui, a
differenza del mio dolore, mi sorrise ed annuì di fronte al
mio fare. Mi lasciò allontanare quell’arma da lui
e poi, fissandomi, replicò:
«
L’ultima lezione è fatta. » sembrava
quasi commosso nell’osservarmi. « non
morirò così, non temere. » non si
curò affatto della piccola ferita che si era inflitto.
Sarebbe guarita in breve tempo. Si alzò da terra, e si
guardò intorno, prima di rivolgermi ancora sguardo e parola.
«
Saresti stata un’ottima arciera, ti avrei già
promossa. Ma hai preso la tua decisione, ed io non posso far altro che
accettarla. » fece una piccola pausa, e poi concluse
« puoi andare Minako, stasera potrai dormire qui, nel tuo
alloggio. Ma… guarda la strada, un giorno potrai vedere lo
Shogun dietro di te.»
Le sue parole
mi apparvero ancora una volta incomprensibili. Mi avrebbe seguita? E
perché mai? Allontanai ogni pensiero, riservandolo per dopo,
quando sarei stata di nuovo sola ed annuii. Mi alzai da terra e gli
riservai un perfetto inchino. Lui accennò un altro lieve
sorriso, denso di stanchezza forse, e poi si allontanò
scomparendo nei corridoi.
Quella sera
sistemai tutte le mie cose e dormii ancora un’ultima volta
nel mio alloggio.
L’indomani,
con unicamente l’arco, la faretra, e una semplice sacca con
cui ero arrivata, ripresi il cammino verso casa, dove avrei trovato
sicuramente delusione, ma almeno sarei riuscita ad allontanare da me
quel dolore e quel sentimento troppo grande che non potevo provare per
lui.
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Il prossimo capitolo sarà l'epilogo.
Spero che finora vi sia piaciuta. :)
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