I love you, Chocolate.

di Human_
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I love you, chocolate.

«Ehi, cosa ci fai qui tutta sola?».
Distolgo lo sguardo dalla superficie del lago e volto il capo, scorgendo appena la figura slanciata del mio amico che mi guarda dall'alto, con un sorriso dolce ad increspargli il viso.
Sospiro e torno a guardare l'acqua, battendo con la mano sinistra sull'erba accanto a me, invitandolo a sedersi.
«Non sono sola, no? Tu mi raggiungi sempre» commento.
«Solo fisicamente, darlin'. In realtà non ti raggiungo mai. Mi chiedo se ci riuscirò più».
Mi volto di scatto e cerco, nell'oscurità di questa notte d'agosto, illuminata solo da questa mezza luna argentea che si riflette su questo specchio d'acqua, i suoi occhi neri, che in tutto questo buio si confondono con il cielo.
«Cosa stai dicendo?» sussurro. «Non.. non c'è nessuno più vicino a me di quanto non lo sia tu».
«Io sono il più vicino, ma non sono vicino. Hai un muro a difenderti dal mondo, e io ci sto appiccicato, ma non sono dentro».
«Entra».
«Dovresti darmi la chiave, prima».
«Dovrei trovarla, prima».
«Appunto».
Distolgo lo sguardo e torno a guardare l'acqua, i riflessi che vi danzano sopra, ipnotici.
«Non scappare».
«Non mi sono mossa» borbotto. Lo odio quando fa così.
«Perché parli sempre di corpi?».
«Perché parli sempre di anime?».
«Touché».
Sorrido e lo guardo, il profilo illuminato dalla luna, solo dalla luna, la camicia a scacchi grigi e neri sopra la t-shirt nera appena visibile, al contrario della sua kefiah color ocra che spicca. Mi avvicino e poso la tempia sulla sua spalla, chiudendo gli occhi ed abbandonandomi alle sue carezze che rapide raggiungono i miei capelli.
Sospiro. «Sei insopportabile».
«Naah, sei tu che sei poco paziente». Lo sento sorridere e gli do un colpetto sulla coscia.
«Io sono fin troppo paziente, sennò saresti già morto e sepolto!».
Lo sento ridacchiare e sorrido, accoccolandomi meglio nel suo abbraccio.
«A cosa pensavi, prima che io ti raggiungessi?».
«Non lo so» ammetto.
«Io sì».
«E allora spiegamelo».
Sollevo lo sguardo e trovo il suo. Non che la cosa mi sorprenda.
«Perché mi sei venuto a cercare?».
«Sapevo che avresti avuto bisogno di un amico. Parla, darlin'» risponde.
Gli poso un bacio lieve sulla spalla e chiudo gli occhi, di nuovo. È tutto meno brutto, con gli occhi chiusi. E il suo profumo, il suo calore, il suo abbraccio, sono più belli, con gli occhi chiusi. Tace, e me l'aspettavo, perché vuole che sia io a parlare, ma io non ho le parole. Torno a fissare il lago e le cerco. Le trovo.
«L'amore è una grandissima fregatura».
Mi stringe più forte; le lacrime scendono.
«Quanto stai male?» Quanto, non se. Per questo è mio amico, perché non fa domande stupide. Sorrido beffarda, con le lacrime a bagnarmi il sorriso.
«Non credo di saper trovare le parole adatte a quantificare la cosa» ribatto.
«Brutta storia, eh? Voglio dire, queste parole che scappano e si nascondono..».
Ridacchio. «Ma alla fine a noi non servono».
«Esattamente. Sai cosa?».
«Cosa?».
«Ti voglio bene, e ci sono io per qualsiasi cosa. Lo so che non ho proprio l'aria del prode cavaliere, ma ti difendo io. Dai tuoi demoni e dal mondo. Anche da te stessa».
Le lacrime si fanno sentire, e le trattengo, mentre gli sorrido.
«No, no, ehi, non trattenerti. Piangi, piccola, piangi».
«Non chiamarmi piccola» lo rimprovero, tirando su col naso. Tanto non gli darò retta.
«E allora tu rispondi ad una semplice domanda».
«Questo è un ricatto!».
Mi guarda con un sopracciglio alzato e sbuffo, alzando gli occhi al cielo.
«Che domanda?».
«Perché continui a guardare il lago?».
I polmoni si bloccano, il cuore dà uno scossone, uno unico e forte, e poi rallenta, la bocca si schiude, gli occhi si aprono di colpo.
«Perché continui a fare domande?».
«Perché continui a non rispondere?».
«Perché t'interessa tanto?».
«Perché non riesci a concepire l'idea che qualcuno possa volerti bene?».
Chiudo gli occhi e stringo le labbra, poi riapro entrambi e torno a fissare il lago.
Decido di rispondere, a tutto.
«Speravo che spuntasse. Non dal lago, non fisicamente. Speravo che il suo riflesso comparisse accanto al mio, stretto nella mia mano». E una. «Non voglio rispondere perché sono patetica, chocolate. Sono terribilmente patetica e terribilmente innamorata, e una cosa include l'altra. E non è che non riesco a concepire l'idea che qualcuno mi voglia bene, è che io ti voglio un bene che non t'immagini, e non voglio appesantirti con con le mie cazzate».
Mi abbraccia, forte, e immerge il viso nei miei capelli neri.
«Non sono cazzate» risponde, con la voce spezzata. «Ti confesso una cosa. Io, a volte, mi volto a cercare persone che so non esserci, sai? Ogni tanto, a tavola, guardo accanto a me e spero di vedere nonna seduta intenta a fregar la mollica a tutti, perché non riesce a masticare la crosta, e non c'è, e mi fa un po' male qui, proprio qui, ecco, dammi la mano che ti faccio capire. Qui, un po' più sopra la bocca dello stomaco. E anche quando magari tu sei lontana, per esempio, nei tuoi viaggi in giro per il mondo, io mi giro a cercarti anche se so che non ci sei e ci rimango comunque male ogni volta, come uno scemo».
«Siamo due scemi» commento, la mano ancora sul suo petto, sul suo cuore, e un sorriso bagnato ancora qui, sul viso.
«Almeno ci facciamo compagnia».
«E che compagnia».
Ridacchiamo e lo stringo, e mi stringe.
«Mi piacciono i tuoi abbracci» confesso. «Sono forti, e dolci insieme. Mi fai sentire bene».
«A me piace quando ridi, oltre a quando mi abbracci».
Gli sorrido e gli poso un bacio sul mento, mentre le sue labbra s'increspano e raggiungono la punta nel mio naso.
«Hai il naso freddo».
«Ho freddo».
«Andiamo dentro?» chiede, premuroso, e forse pure un po' troppo iperprotettivo.
«No, sto bene qui. Scaldami tu».
Silenzio.
Silenzio che sa di buono, di caldo e di fresco, silenzio che sa di zenzero e cannella, silenzio che sa un po' di rosmarino e salvia e timo, silenzio che sa di lago, silenzio che sa di noi.
«Darlin'?» mi chiama.
«Mh?».
«I will never let you fall, I'll stand up with you forever».
«I love you, chocolate».
«Oh, I love you more».
E addormentarsi così, in riva un lago, abbracciati, con le stelle che, gelose, guardano giù.
Perché le stelle brillano, ma non possono toccarsi, e noi sì.
E le stelle scaldano, illuminano, ma noi di più.


















Ve lo state chiedendo anche voi, vero?
Con che coraggio pubblico 'na simile ciofeca, intendo.
Oibò, non lo so people. Non lo so.
Però ormai è qui, tanto vale che mi facciate sapere qualcosa, se davvero ne pensate qualcosa.
Magari v'ho pure fatto suicidare i vostri neuroni.
Chiedete pure un risarcimento danni, se volete; prometto di fare il possibile.
Ad ogni modo, questa è la shot.
Un abbraccio.
 vostra
    Human_    [che tra parentesi vi vuole pure un sacco di bene, toh]




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