“Eh no, sta volta no!”
Con passo pesante marciò fino all’entrata del ristorante, fissando con
sguardo truce il solito gruppo di ragazzini.
“Ehi voi!” urlò, sbattendo il pugno sullo stipite della porta, facendo
trasalire gli adolescenti che scapparono a perdifiato. Al moro batteva
ancora la vena sulla tempia quando un giovanotto sulla ventina non andò
a dargli qualche piccola pacca sulla spalla.
“Su su sensei, non se la prenda. Prima o poi la smetteranno” commentò
il biondo volgendo un lieve sguardo alla parola STRONZO dipinta con un
rosso laccato acceso poco sopra il gradino. Queste maledette bombolette
spary.
“Prima o poi la smetteranno!? Che lo facciano subito allora!” sbottò
furioso l’uomo, accendendosi una sigaretta di stizza.
“Uhm…” sospirò l’altro, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Domani
chiamo l’imbianchino” disse solo, prima di scomparire dietro al
bancone.
“Brutti pezzi di merda...”soffiò tra le labbra il cubano,
calciando adirato il tappo della bomboletta usata. “Te lo giuro
Matthew, un’altra volta, che ci provino un’altra volta e non vivranno
abbastanza per vedere la luce del giorno!”.
“Si…” –dice così ogni volta- pensò sconsolato il canadese, riponendo la
farina nell’apposito contenitore.
Spense la sigaretta sotto la suola delle scarpe ed entrando si chiuse
la porta alle spalle.
“Stasera finiamo prima. Vai pure a chiamare i fratelli Vargas e digli
che è ora che mettano in ordine”.
“Ok” rispose il giovane strofinandosi le mani sul grembiule,
dirigendosi verso le cucine.
Il più grande si abbandonò sulla sedia li a fianco, sospirando
profondamente. Aveva deciso di aprire quella pizzeria perché aveva
notato che in quel luogo non ve ne erano ed era sicuro di poter
finalmente vivere agiatamente, ma non fu proprio così. Era un paesello
di provincia dopotutto, pieno zeppo di anziani e poco frequentato dai
giovani, tutti presi per le grandi città. Era stato un vero e proprio
buco nell’acqua.
Si massaggiò le tempie tra indice e pollice, come se sentisse
un’improvvisa emicrania. ‘Non durerà ancora per molto’ constatò
tristemente, notando i pochi tavolini immacolati poggiati al muro. Di
recente ricevevano solo chiamate per pizze d’aporto. Era da quasi una
settimana che non veniva più nessuno a mangiare lì e di certo quei
ragazzini non miglioravano le cose.
Di nuovo, il pensiero del muro imbrattato lo fece innervosire,
portandolo a dighignare i denti.
“Vee, capo!” una voce squillante lo portò ad alzare il capo, scontrando
i suoi occhi neri con due piccole sfere nocciola.
“Abbiamo rimesso tutte le cose a posto e gli ingredienti in frigo. Ah,
è finita la mozzarella, domani andiamo noi a comprarla!” annunciò
felice il moro, regalandogli uno dei suoi soliti sorrisi. Vestiva
ancora con la maglia bianca sporca di farina e i pantaloni del medesimo
colore, impiastricciati con un po’ di sugo. ‘Finisco di sporcarli,
capo!’ diceva ogni qual volta che tornava a casa così agghindato per
poter poi buttare tutto direttamente in lavatrice. E il fratello in
questo lo seguiva a ruota.
“Feliciano andiamo!” una voce alle sue spalle lo richiamò, lasciando
trasparire la giovane figura di Romano, poggiato allo stipite della
porta secondaria sul fondo della sala. Capelli mori ed occhi della
medesiama sfumatura. Toni più cupi rispetto al minore, che sfoggiava
una chioma bruna-ambrata.
“Arrivo Nii-san!” rispose sorridente l’italiano, salutando i due
ragazzi con un gesto della mano. Appena la porta si chiuse, lo sguardo
dell’americano si posò sull’uomo.
“Ce ne andiamo anche noi?”
“Si…”
Continua…
(Visto che il nome di Cuba non esiste mi limiterò a chiamarlo Bob =))
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