I
Il treno si fermò al primo binario e subito il marciapiedi
si riempì di viaggiatori che, in fretta, si dirigevano
all’uscita. Tra essi, c’era Buffy Summers che
tornava a Sunnydale dopo un’assenza di oltre otto anni.
Avvolta in un elegante cappotto scuro, guardava con insistenza intorno
a sé, all’evidente ricerca di qualcuno che
sembrava però non esserci. Attese qualche minuto, poi
chiamò un fattorino che l’aiutò a
trasportare le valigie sul piazzale antistante la hall, dove una fila
di taxi aspettava di essere prenotata. Mentre si affrettava dietro il
ragazzo, Buffy pensò che essersi aspettata un comitato di
accoglienza era stata di certo presuntuoso da parte sua. Per quanto
Trevor Rogan l’avesse accolta e fatta studiare come fosse
stata una dei suoi rampolli, forse non aveva programmato di inviare
limousine o altro alla stazione per lei. E tuttavia, sebbene quel
pensiero ora le sembrasse estremamente logico e di buon senso, non
poteva negare di provare una punta di delusione.
Una volta fermato il taxi, pagò il fattorino ed attese con
pazienza che l’autista caricasse i bagagli. Poi, diede
l’indirizzo e si appoggiò esausta allo schienale
del sedile posteriore dell’automobile. Il viaggio era stato
faticoso e lungo. A Londra aveva preso l’aereo e dopo dodici
ore di volo, era salita sul treno che l’aveva riportata nel
paese dove era nata e cresciuta e che aveva lasciato a sedici anni..
Una vita fa. Ricordava ancora il giorno della partenza per
l’Europa, dove avrebbe frequentato il collegio esclusivo
scelto da Trevor, l’uomo che le aveva salvato la vita.. Quel
giorno pioveva e la famiglia al completo era venuta a salutarla alla
stazione. C’era Trevor, i figli di lui, Wesley, Lindsay, e
Andrew, il più piccolo, nato dal suo secondo matrimonio.
Buffy li aveva salutati con le lacrime agli occhi. Sentiva ancora il
dolore che l’aveva invasa quel pomeriggio e che non
l’aveva lasciata ancora per molto tempo dopo.
Trevor Rogan l’aveva presa sotto la sua ala protettiva,
divenendo suo tutore, e subito si era preoccupato di darle tutto quanto
riteneva fosse necessario alla sua vita. Tra queste cose,
c’era un’istruzione di ottimo livello.. Per questo
era partita così in fretta, lasciando l’anno
scolastico a metà nel liceo pubblico e volando oltre oceano,
dove sarebbe rimasta per ben otto anni, il tempo necessario per
diplomarsi, prendere la laurea e fare pratica nello studio di un
eminente avvocato londinese.
Pensava a tutto questo, mentre l’auto attraversava la
città nella notte. Non si sforzava nemmeno di riconoscere
vie o quartieri, era troppo stanca anche solo per questo…
Poi, ad un tratto, mentre erano fermi ad un semaforo rosso,
guardò alla propria destra e, oltre il vetro,
notò quel che pareva un piccolo assembramento.
Pensò si trattasse di un incidente o di qualcuno che avesse
avuto un malore. Così, chiese all’autista di
accostare e discese, senza nemmeno ascoltare le sue proteste. Fece
qualche passo per vedere meglio, quando le giunsero alle orecchie delle
risate sguaiate ed un rantolo sofferente.. Corrugando la fronte, si
avvicinò ulteriormente e vide che la folla che aveva notato
era formata da alcuni individui vestiti completamente di nero che
guardavano a terra quel che sembrava un fagotto informe e tremante
completamente schiacciato contro il muro.
Osservò meglio e capì in che cosa si era
imbattuta, si trattava di un pestaggio. Con ogni
probabilità, gli uomini vestiti di nero erano membri di una
banda, o qualcosa del genere, che si accaniva contro il poveretto
accasciato a terra. Subito, sentì che il respiro le si
mozzava per lo sdegno, come accadeva ogni volta che si trovava di
fronte ad una palese ingiustizia. Che razza di gente era, questa che si
accaniva contro un uomo solo, nel cuore della notte?
La sua presenza fu notata da qualcuno e non passò molto
tempo che si ritrovò diverse paia d’occhi puntati
addosso. I teppisti vestiti di nero la fissavano in cagnesco.
“Molto interessante. Uomini grandi e grossi ed armati fino ai
denti, a quanto sembra, che se la prendono con un poveretto”
esclamò incrociando le braccia sul petto, per niente
intimorita dalla situazione. Gli uomini, dopo un iniziale momento di
sbigottimento, presero a sorridere sarcastici ed uno di loro si fece
avanti “Oh, ma chi abbiamo qui, una barbie
coraggiosa?”.
“Sei tu il capo?” lo affrontò alzando il
mento in segno di sfida “Se lo sei, dì ai tuoi
uomini di disperdersi o sarà peggio per loro”.
L’uomo alzò le sopracciglia e scoppiò
in una sonora risata “Ah, si? E quale sarebbe questo
peggio?”.
Senza neanche farlo finire di parlare, Buffy gli sferrò un
calcio allo stomaco, cogliendolo di sorpresa e facendolo barcollare.
Poi, con una gomitata lo stese a terra e gli appoggiò un
ginocchio fra le scapole, tenendogli ferme entrambe le braccia.
“Intendevo questo peggio” mormorò
premendo più forte e strappandogli un urlo di dolore.
Nessuno si mosse. Era avvenuto tutto nel giro di pochi secondi,
lasciando la gang senza fiato. Erano immobili, disposti a semicerchio
intorno a Buffy ed al loro capo reso innocuo, completamente dimentichi
del poveretto contro il muro.
Il silenzio fu rotto da un applauso solitario e lento e da una voce,
roca e divertita, che diceva “Brava. Bello spettacolo. Ti
faccio i miei complimenti”.
Buffy alzò la testa e vide gli uomini intorno muoversi per
lasciar passare qualcuno che sembrava emergere letteralmente dalle
tenebre. Alto, avvolto in una giacca di pelle nera, jeans scuri e lo
sguardo fisso su di lei. Sorridente.. di un sorriso che non coinvolgeva
lo sguardo, freddo come il ghiaccio.
“Un numero eccezionale. Hai fatto venire voglia anche a me di
ballare” poi lasciò scorrere gli occhi sprezzanti
sui presenti “Hai dimostrato in meno di trenta secondi che mi
circondo di incapaci” la guardò ancora
“.. se non l’hai ancora fatto, spezzagli qualche
osso, così si ricorderà della
lezione..”.
Riprendendo il normale ritmo del respiro, Buffy si sollevò
velocemente, riassettandosi i vestiti. Guardò
l’uomo ancora steso a terra, poi disse “No. Non
colpisco chi ho già reso innocuo”. Alzò
la testa e guardò il nuovo arrivato, che era decisamente il
capo di quella banda di disgraziati “Né
è mia abitudine infierire.. quindi..” si diresse
al taxi, ancora fermo al lato della strada “Cercate di non
farlo neanche voi” e prima di salire sul sedile posteriore,
lanciò un’occhiata alla vittima della gang.. Era
sparita.
Prima di chiudere la portiera, sotto lo sguardo esterrefatto
dell’autista, guardò ancora una volta
l’uomo avvolto nello spolverino di pelle. Anche lui la stava
fissando.. un’espressione indecifrabile sul viso dagli zigomi
infiniti. Forse la stava studiando o forse stava meditando una qualche
vendetta..
Mentre l’automobile ripartiva, Buffy abbassò le
palpebre e si appoggiò allo schienale.
“Non preoccuparti, ci rivedremo, William”
pensò tra sé, sospirando.
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