-Titolo:
Memorie di una statua a Budapest
-Genere:
Storico, Malinconico.
-Avvertimenti:
posti alla fine, da leggere dopo la oneshot.
Memorie
di una statua a Budapest
1956, 4 novembre.
Fuoco, sangue, morte.
Le carni dilaniate dei soldati ungheresi giacciono sull'asfalto,
assieme agli studenti del Politecnico e alle infermiere del Soccorso
Civile. Sotto di loro sono sepolte le speranze di liberare l'Ungheria
dalla dominazione sovietica.
L'orrore che mi circonda scaccia all'istante l'orgoglio per le prime
vittorie riportate, prendendone il posto ed invadendomi brutalmente. Il
senso di colpa mi investe in pochi attimi, sottolineando nella mia
coscienza il ruolo che ho avuto in tutta questa distruzione.
Striscio, sfruttando il braccio sano come leva, fino a raggiungere il
corpo del volontario Gergely che, sotto i colpi delle mitragliette
nemiche, era caduto proprio dinanzi ai miei occhi. E io, io che ero
stato fra i comandanti della ribellione, io che avevo infervorato gli
animi di questi giovani, io, assediato dagli avversari russi, non ho
mosso un muscolo per corrergli in aiuto.
Una lacrima pregna di vergogna lascia una traccia pallida sul mio volto
annerito dalla polvere da sparo. Socchiudo gli occhi e dietro le
palpebre vedo la possibile vittoria che avremmo potuto ottenere; non
riesco a evitare di confrontarla con la desolazione attuale, e un
groppo mi blocca il respiro in gola. La stanchezza invade il mio corpo
e i muscoli del collo cedono, costringendomi a riversare le lacrime nel
fango.
Ho sbagliato.
Avrei dovuto intervenire prima, annunciare la ritirata non appena avevo
visto le truppe sovietiche caricare contro noi ribelli.
Se l'avessi fatto, forse avrei dato all'Ungheria un futuro migliore,
lontano dal comunismo dei sovietici. Se l'avessi fatto, i nostri
giovani avrebbero avuto la possibilità di porre le basi di
una nuova generazione, che noi vecchi avremmo cresciuto con l'affetto e
la pace di cui i nostri figli erano stati privati.
In lontananza si leva un singhiozzo e, come spinta dallo spavento che
quel suono mi ha provocato, la verità, cruda ma
già nota, mi abbraccia le spalle facendomi sprofondare
maggiormente nel terreno melmoso.
Era destino forse.
Perdere, morire, sopravvivere.
Era destino che, nonostante attorno a me i miei compagni fossero caduti
uno dopo l'altro come pilastri di un tempio in decadenza, io dovessi
assistere alla loro morte e sentire sulla pelle l'odore della loro
delusione per comprendere a fondo la perdita che quella battaglia
costituiva.
Queste morti, questa sconfitta, segnano l'ulteriore allontanamento
della liberazione ungherese, un'altra posticipazione di un dovere che,
a causa del nostro fallimento, ricadrà su qualcun altro in
futuro.
Chiudo gli occhi, sfiancato dagli eventi; le labbra che baciano il
fango, il respiro rarefatto che raschia la gola, le ferite pulsanti che
lentamente cessano di esistere insieme al resto del mondo. Niente
più colpe, né morti sulla coscienza,
né vittorie, né sconfitte.
Il vuoto mi raccoglie da terra, mi anestetizza e mi inghiotte in
un'unica mossa, lasciando di me una sagoma, un ricordo. E forse neanche
questo.
2003, 19 giugno.
Mattino, pomeriggio, sera.
Quando si è una statua in pietra abbandonata in una stradina
chiusa e scordata dal mondo, le ore tendono a susseguirsi velocemente.
Così come gli anni.
Nel 2003 ormai l'Ungheria è libera. I giovani studiano le
guerre fra i banchi di scuola, imparando a memoria gli anni della prima
e della seconda guerra mondiale, la Liberazione dell'Ungheria dal
nazifascismo con l'intervento dei sovietici nel 1945, la guerra fredda
e lo smantellamento della Cortina di Ferro, la caduta del muro di
Berlino... I giovani studiano ciò che viene detto loro di
studiare, ciò che è programmato e servito sui
loro banchi, e ignorano l'esistenza delle battaglie intermediarie che
portarono agli scontri finali o alla pace. Ignorano l'esistenza di un
Pal Maleter che ha pianto come un vigliacco prima di spirare nel fango,
ignorano l'esistenza della sua statua che giace simbolicamente lontano
dal Szoborpark, il Parco delle Statue della periferia di Budapest.
I giovani ignorano molte cose e i vecchi dimenticano il resto.
Di me non è rimasto nulla. Né la carne,
né la memoria.
Sono soltanto una statua delle dimensioni di un braccio adulto, posta
su un piedistallo che sovrasta una fontanella. Sono una pagina
ingiallita e difficile da collocare nella storia perché
indecifrabile. Sono un filo d'erba che, messo a confronto con un prato
di storia, passa in secondo piano o peggio perde completamente
importanza. Eppure continuo ad erigermi nella mia modesta altezza,
protendendo il braccio armato verso il cielo come se ancora covassi la
speranza di essere ammirato per il mio coraggio. A gambe divaricate,
col busto protratto in avanti, accolgo con fierezza gli occhi diligenti
della giovane Anna Dimitrov, studentessa della facoltà di
Belle Arti di Budapest, che, seduta a terra con le spalle appoggiate al
mio mantello, rappresenta tutto ciò che avrei voluto sentir
nominare e rimembrare dai giovani ungheresi: il mio onore, il mio
coraggio, la mia morte.
Riempio le mie interiora cave d'orgoglio e, se potessi, smuoverei
questa pietra crudele ma sempiterna per gonfiare il petto e mostrare
alla fanciulla dalle dita di fata il meglio del mio essere.
Ma la morte mi ha accolto anni e anni fa, e tutto ciò che
posso fare è assistere alla donna che, scorrendo il carbone
su un foglio, mi ritrae con destrezza, aumentando le proporzioni al
punto da farmi apparire più maestoso e degno di nota di
quanto io stesso oserei dirmi.
Ancora e per sempre, teso verso le nuvole mutevoli, immobile nel
silenzio di un pomeriggio d'estate, rinnego la delusione per la
battaglia persa che mi aveva oppresso prima di spirare. Invaso
dall'euforia ringrazio il destino per la sua magnanimità,
per aver trascinato gli eventi fino a questo pomeriggio in cui con un
colpo di matita tutta la mia speranza è stata ristabilita e
ringrazio l'Ungheria, la mia amata e libera
Ungheria, per aver accolto fra le mani della dolce Anna il sogno di un
comandante caduto per la patria.
Chiarimenti
Dunque. Ho un po' alterato la storia per adattarla all'impronta che
volevo dare alla oneshot.
Le vittorie che Pal nomina all'inizio risalgono alle prime due fasi
della ribellione, che effettivamente furono vinte dai ribelli
ungheresi. La terza fase si concluse con la vittoria delle truppe
sovietiche, che restaurano un governo conservatore filo-sovietico. In
realtà però Pal Maleter non è morto in
questa terza fase (in realtà non so neanche se abbia
combattuto effettivamente, so solo che ha comandato i ribelli nella
prima e nella terza fase -vi sembrerà una contraddizione, ma
si può comandare senza entrare in campo, credo-) ma
è stato giustiziato il 17 giugno del 1958, due anni dopo
l'insurrezione.
In più non esiste alcuna statua di Pal, è tutto
frutto della mia mente disoccupata che oggi ha deciso di farsi un salto
nella storia Ungherese. Chissà magari domani
toccherà alla Spagna. Beh, non ricordo tutti i dettagli che
ho cambiato a dire il vero, sappiate solo che ho adattato un po' gli
eventi a ciò che volevo scrivere. Spero abbiate apprezzato!
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