Il profumo delle rose.
I personaggi, i fatti e i luoghi
qui citati sono frutto della fantasia dell'autrice. Ogni riferimento
è puramente casuale
A Jo, perchè mi sentivo di
doverle regalare qualcosa di mio.
E più 'mio' di questa storia non credo ci sia altro.
A lei perchè le voglio bene e ormai mi sto affezionando
sinceramente al suo humor tutto italiano e al suo carattere forte.
A lei perchè la vedo benissimo socia di un club letterario :)
Il
profumo intenso delle rose riempiva lo studio.
Il Concerto
in D minore, primo movimento, Vivace permeava il
sottofondo della stanza e due donne sedevano in cerchio attorno ad un
piccolo tavolino traballante di frassino scheggiato in poltrone dalla stoffa ormai consunta. Sorseggiavano
una tazza di tè ciascuna. I loro occhi, cantastorie
intonanti poemi nordici ormai dimenticati, sepolti sotto lo spirare
pungente del vento scandinavo, si osservavano loquacemente.
La prima a
poggiare la tazza fu Eva, che arricciò le labbra
indispettita, quasi una nota stonasse nella fina melodia che si poteva
udire, proveniente da un antiquato e quanto mai abbacchiato giradischi.
Bach era quasi
un tacito accordo d'unione tra le donne, che ormai si riunivano
mensilmente in quella stanza, sorseggiando tè e narrando le
trame più affascinanti in cui erano incappate durante quelle
settimane silenziose.
La quiete
venne interrotta dall'abbassarsi della maniglia d'ottone e una
trafelata Ilona irruppe, saturando subitaneamente l'aria della stanza
con la propria aura. Un consistente manipolo di ciocche bionde sfuggiva
all'acconciatura e sulla spalla magra reggeva una tracolla ricolma di
libri.
Si sedette e
sospirò, prima di slacciarsi la cerniera del pail bianco.
"Sei in
ritardo." la novergese non si voltò neanche nel pronunciare
quelle parole mentre la finlandese socchiudeva gli occhi nel cogliere
la leggera melodia in sottofondo.
"Scusate ma ho
avuto dei problemi in università: una collega ammalata, un
esame che senza di me saltava... roba così."
accavallò le gambe slanciate e versò il
tè nella propria tazza. L'aroma pungente dell'Earl Grey le
invase le narici, beandola col proprio tepore.
"Ti ricordo
che possiedi un cellulare." osservò compunta e in modo
saccente quasi Cornelia, le ginocchia perfettamente incollate e i
polpacci reclinati, in una posa la cui eleganza era rotta solo
dall'eccessiva legnosità che lasciava
trasparire la svedese.
Ilona fu abile
a glissare, prendendo la propria tracolla ed estraendone velocemente un
libro sottile e malconcio.
Continuarono a
bere indisturbate, senza rivolgersi la parola per lunghi minuti, ognuna
persa nella propria spirale di pensieri. Eva, colei che possedeva due
vispi occhi di ghiaccio, guardava con misurata placidità e
un'espressione serafica in volto le altre donne che non si accorgevano
neanche di queste occhiate.
All'improvviso
la norvegese posò l'elegante tazzina, si allisciò
la lunga gonna verde scuro e parlò con voce pratica.
“Allora,
mie giovani compagne, cosa avete portato oggi?”.
Cornelia si
alzò con un gesto fluido dal divano, sporgendosi di dietro e
afferrando una busta di carta. Così facendo
scoprì due gambe corte ed emaciate, di un candore virgineo.
“Io
ho letto Essendo
donna...
di Kat Levy.”
Ilona
continuava a tenere le palpebre serrate, bevendo gli ultimi sorsi del
proprio tè e oscillando la magra gamba avvolta dal jeans a
ritmo di musica, perdendosi nella sinfonia che ancora permeava il
sottofondo dello studio.
“Decantaci
la trama.” disse Eva, osservando la piccola figura di
Cornelia rigirarsi il grosso tomo tra le mani, da dietro le sottili
lenti degli occhiali da lettura.
La svedese si
passò, incerta, una mano tra i lunghi fili dorati prima di
parlare tentennando appena e movendo freneticamente un piede sul
tappeto.
“Ecco,
questo libro sarebbe l'unione di molteplici storie di donne sotto lo
stesso nome. Tradimenti, violenze sia fisiche che psicologiche, litigi,
nuovi amori, fine di storie ormai consumate.” si
schiarì la voce prima di continuare. “Sapete,
l'autrice riesce a catturare dopo poche righe, catapultando
immediatamente il lettore nella realtà di questa donna. Ha
uno stile essenziale, quasi 'ridotto all'osso'. Mi è
piaciuto molto.” annuì con convinzione.
“Mh.
Ilona, tu avevi mai letto questo romanzo?” domandò
Eva alla diretta interessata, che aprì svogliatamente gli
occhi e si richiuse la cerniera del pail bianco latte prima di
articolare il semplice monosillabo “No.” ella
sedeva con calma e tranquillità, adattando il magro corpo al
morbido schienale della poltrona, movendo il capo verso la norvegese.
“Nemmeno
io... bhe, sarei proprio curiosa di poter sentire la tua candida voce
leggercene un pezzetto, che ne dici Cornelia?”
La svedese
annuì e aprì il libro nel punto dove fino ad
allora aveva trovato alloggio il suo dito indice, scorse le fitte righe
della pagina prima di fermarsi ad un nuovo capoverso e cominciare a
leggere, modellando la voce alle diverse richieste del testo.
“Ecco
uno dei miei pezzi preferiti: “Hayden
si ritrovò ginocchioni sul pavimento, gli occhi vacui.
Comprese in uno squarcio di secondo perchè era finita
ancora; debolezza. Debolezza quella che l'aveva spinta a cercare di
distruggere il proprio dolore e la propria frustrazione, facendole
collimare violentemente con la più mera e sporca
soddisfazione carnale, distruttiva e devastante. I segni li portava
ancora, indelebili: lunghe strisce che spiccavano sul diafano
incarnato, scure e tortuose. I segni asimmetrici di amori, dolori,
lacrime, felicità tutti nati, sbocciati, cresciuti e poi
appassiti. E in quel momento, Hayden capì che la svolta alla
propria vita, andava data nel punto opposto alla spaccatura che si era
venuta a creare. Basta uomini. Basta donne. Basta scheletrici appigli
cui ancorarsi febbrilmente: doveva vivere. Vivere il breve battito di
ciglio che la separava dalla fine di tutto. Scendere dal filo di cotone
che l'aveva sostenuta a mezz'aria per tanti anni e camminare
stabilmente. Le cicatrici sarebbero sempre rimaste, per ricordarle il
delitto che aveva commesso: appassire tra le illusioni.”
Un intenso
silenzio, carico di pensiero, calò sulla stanza. Ognuna
rifletteva sulle poche parole che erano scivolate fuori dalle bianche
pagine del libro. Cornelia che fremeva, tremava appena e gli occhi le
si appannavano di ricordi: gli uomini, le notti, i sogni, le ancore
fatte di fumo, gli appigli inconsistenti, le cicatrici che portava
sotto il maglione.
Richiuse il
tomo lentamente, senza rumore e lo poggiò sul tavolinetto,
poi si versò dell'altro tè.
Un'ulteriore
pausa -breve come solo l'attimo prima di esalare l'ultimo respiro
potrebbe essere- perdurò tra le tre donne.
Cornelia si
rinchiuse nel proprio animo ottenebrato dai ricordi, tenendo
compostamente la tazzina sbeccata con una mano, e il piccolo piattino
con l'altra, eccessivamente composta.
“Interessante”
esordì Ilona con voce cordiale, assumendo uno sguardo che a
chiunque sarebbe parso canzonatorio ma che in realtà non
voleva essere altro che vivo. Intanto continuava ad oscillare
nervosamente la gamba e ballava col capo da una all'altra commensale.
“Molto interessante.” enfatizzò.
Eva produsse
un flebile “Mmh” pensieroso, quasi stesse
ragionando su quali parole utilizzare. “Inebriante, senza
dubbio, con un malinconico sfondo che ben si cuce al contesto... credo
che lo leggerò!” dichiarò,
sorreggendosi il capo con il pollice e l'indice, posati uno sotto al
mento, l'altro sul labbro superiore.
La Svedese si
limitò ad assentire col capo e a reprimere l'ombra di un
sorriso.
“Ilona?”
chiamò con verve Eva “Cosa sottoponi al nostro
giudizio?” parve quasi serafica la norvegese, osservando
l'amica da sopra gli occhiali.
Ilona si
limitò a sorridere, assumendo l'aspetto di un gatto sornione
e pigro, col mento poggiato sul pugno e la gamba che ancora si muoveva
nervosa nell'aria.
E senza
distogliere lo sguardo celeste dall'altra si sporse e prese il piccolo
e malridotto libriccino, il quale era stato abbandonato precedentemente
accanto alla teiera.
Scorse con
calma estenuante le pagine, fino a chè non
incappò nel punto che desiderava leggere alle proprie
colleghe.
“E'
di un ragazzo, Aleh Schwartz... si intitola... aspetta... L'altalena
arrugginita.
Ve ne leggo un pezzetto: L'alba
scivolò nella camera di Alice come acqua su un piano
reclinato e una sottile pioggerellina primaverile perdurò
per pochi minuti. La piccina aprì gli occhi e si sedette
sulle morbide coperte di quello che per lei era un letto immenso,
stropicciandosi le palpebre appesantite dal sonno. Il piccolo orologio
sul suo comodino segnava le 5:47. Mentre osservava il cielo screziarsi
d'arancio, e i primi pallidi e timidi raggi stiracchiarsi tra le rade e
sfilacciate nuvole grigiastre, la sua bocca venne sigillata da una mano
ruvida e callosa, che puzzava di Whiskey. Non oppose resistenza, non
quella volta. Mentre le mutandine dal simpatico motivo a coniglietti,
le venivano sfilate piano e delicatamente ella si concentrò
sul panorama fuori della finestra. Un timido uccellino
iniziò a cantare, e mentre quello strazio imposto dall''uomo
perdurava, lei si immaginò di essere un rosso
colibrì che volava libero tra le fronde verdi degli alberi,
senza impedimenti, senza costrizioni... e senza il suo papà
che gli sfilava i vestiti.”
Richiuse il
libro e dovette socchiudere gli occhi innanzi alla scarica di immagini
che le comparirono nella testa.
Le urla
ovattate dalla grande e sporca mano di suo padre le pervasero le
orecchie e si risentì i polsi incatenati tenacemente come
all'epoca, tanto che per un attimo credette di non riuscire davvero
più a muoverli. Era irrigidita allo spasmo e teneva gli
occhi serrati, alla strenua ricerca di riportare equilibrio nella
propria mente con qualche risultato appena soddisfacente..
Quando ebbe
ripreso un minimo di controllo sulle proprie sinapsi riaprì
le palpebre e vide che Eva, incassata nella poltrona e col tozzo corpo
avvolto nell'opaco tessuro verde scuro, la stava fissando. E non come
al solito, con qualche sentimento di derisione, di malcelata
sopportazione o scherno: oh no, la norvegese abbassò tutte
le proprie difese nel donare quello sguardo spento e dolce, materno
quasi.
Ilona lo
sigillò nella propria mente, mentre la gamba riprendeva a
muoversi più frenetica di prima.
Nessuna disse
nulla per molti secondi, nei quali la finlandese, oltre ad allentare la
cerniera del pail che rischiava di soffocarla assieme al groppo alla
gola che sentiva, rialzò il proprio sardonico muro.
“Tu
non hai portato niente?” domandò poi a Eva, che
ridacchiò prima di alzarsi dalla poltrona con un accenno di
fatica e trascinarsi fino all'appendino di frassino incassato dietro la
porta, prendere la propria enorme borsa nera e cavarne fuori un libro
dalla copertina verde e rigida. Si risedette con uno schiocco delle
molle della poltroncina.
“Cinque
più uno di Jeff
Steffhord.”
Il libro
presentava molteplici segnature, ottenute ripiegando l'angolo estremo
della pagina. La norvegese aprì su uno di questi segni e
prese a leggere col tono flemmatico che solo una paziente ed addestrata
madre racconta-storie può possedere.
“Si
inchina davanti al crecefisso, tenendo stretto quel piccolo fagotto
urlante, e prega. Prega per sé. Prega per il paese. Prega
per il mondo. Prega per il marito. Prega per sua sorella. Prega per sua
madre. Prega per Sarah. E poi fa un ultimo disperato appello per il
piccino che stringe al seno. Ma il cielo è affollato e non
sempre, lassù, riescono ad ascoltare tutto. Così
anche lui muore.”
Chiuse con
estrema lentezza il volume, poggiandosi poi un'angolo sulle labbra.
Dopo pochi eterni secondi lo ripose nella borsa che ora giaceva al suo
fianco e si levò gli occhialetti, prendendo a massaggiarsi
il setto nasale tra pollice ed indice.
“Lui
ti guarda ancora da lassù...” a parlare fu Ilona,
con voce comprensiva, ma col solito volto austero e inviolato da
qualsivoglia ruga d'espressione.
Eva sorrise
stancamente dai suoi sessant'anni di polvere, prima di proclamare con
tono concitato “Ci rivediamo qui tra un mese esatto, il sei
di maggio. Arrivedervi care.” le congedò
così, con un sorriso mezzo trattenuto e le tre tazze di
thè che giacevano scopostamente sul tavolino, vuote e velate
di zucchero.
La prima ad
andarsene col suo passo legnoso e composto fu Cornelia, la svedese
salutò brevemente prima di richiudersi la porta alle spalle.
Ilona ripose
tutto nella tracolla che si gettò su una spalla, poi
poggiò l'affusolata mano sulla maniglia. Ma ebbe un
ripensamento, si voltò e disse “Non ti pare
strano?”.
Eva
rialzò lo sguardo che si era posato sulla trama cosunta del
tappeto. “Cosa?”
“Che...”
ma sembrò avere l'ennesimo ripensamento che la spinse a dire
“Ci vediamo Eva.” sorridendo.
La norvegese
ricambiò il saluto con un cenno del capo e poi Ilona
scomparve.
Si
alzò dalla poltrona, riordinò le tazze da
tè, le portò nel bagno attiguo allo studio e le
lavò, riponendole.
E
mentre stava per togliere la puntina dal giradischi chiuse gli occhi e
si inebriò ancora un poco del profumo di rose che permeava
lo studio.
Note dell'Autrice.
Tale storia è nata per un concorso
letterario del mio liceo ma non è mai stato presentato
perchè ho decisamente sforato per il numero di parole ^^
l'ho riscritto in alcune parti e credo che così la
narrazione risulti più scorrevole.
Koneko adorata, lo so che dedicarti un'original è un grosso
azzardo, ma spero che tu l'apprezzi :) ti voglio bene *le spacca le
ossa in un abbraccio*
Alla prossima!
g.
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