Fame
di te
Zoro
sedette al bancone di quella locanda, osservando con la coda
dell’occhio il padrone che puliva distrattamente un bicchiere.
“Si?”
gli chiese, rivolgendogli uno sguardo decisamente poco ospitale.
“Datemi
qualcosa da mangiare” disse Zoro, distrutto dai morsi della
fame.
Aveva
perso il conto dei giorni che aveva speso cercando un villaggio,
senza cibo. Adesso era lì, un cacciatore di taglie in un
villaggio
malfamato.
Avrebbe
mangiato da re.
Sentì
movimento leggero dietro di sé e sorrise, contento che i
suoi soldi
venissero così docilmente dal loro nuovo padrone.
“Hai
i soldi?” gli chiese scioccamente il padrone.
Zoro neanche
rispose, ma rimase impassibile ad osservare il padrone, anche quando
la mano del malfattore di turno sbattè violenta poco
distante da sé.
Non
aveva bisogno di guardarlo, l’aveva già adocchiato
appena entrato
alla locanda.
Era
un uomo grosso, quasi il doppio di lui, con una possente ascia sul
fianco, che lo guardava da sotto un grosso elmo bruno.
“Tu
sei Zoro, il cacciatore di pirati!”
"E
tu mi stai disturbando” sibilò solo per
esasperarlo.
E
in effetti ottenne quello che voleva.
“Ti farò vedere io di
cosa è capace Gorn il vichingo!”
Tirò
fuori l’ascia e si preparò ad attaccare.
Il
padrone urlò, i suoi compagni lo incitarono.
Ma
Zoro non sentì nulla di tutto ciò.
Pensava
solamente al cibo, e al combattimento.
Tirò
fuori la sua katana e si preparò a contrastare il colpo.
Che
però non arrivò mai.
L’uomo
cosiddetto Gorn fermò l’ascia a
mezz’aria e urlò, inarcando la
schiena.
Zoro
non capì l’accaduto finché
l’uomo non cadde a terra morente.
Alle
sue spalle uno spadaccino dai capelli argentati.
Non
riusciva a vederlo bene, essendo di spalle, ma sembrava lo stesso un
cacciatore di taglie nella sua situazione.
“Dannato!”
urlò Zoro, vedendo dissolversi in fumo le sue ultime
possibilità di
mangiare.
Improbabile
che ci fosse stato un altro ricercato nelle vicinanze.
“Quella
era la mia preda!” disse, sguainando la katana, mentre i
compagni
del vichingo fuggivano impauriti, insieme agli altri commensali del
locale.
Si
rendeva pienamente conto che in situazioni normali non avrebbe mai
urlato in quel modo isterico, ma la mancanza di cibo lo rendeva
nervoso.
“Non
sei riuscito ad accapigliarlo in tempo, l’ho ucciso
io…” disse
il nuovo venuto, voltandosi: “…Zoro”
Finalmente
Zoro riuscì a vederlo, ma non riusciva a capire chi fosse.
Conosceva
il suo nome certo, ma chiunque lo conosceva. Ma quel modo di
chiamarlo, quasi con familiarità.
Lo
conosceva, chi era quell’uomo?
“Non
mi riconosci?”
Zoro
non seppe cosa rispondere. Non fece nemmeno un cenno.
Cercava
ancora di ricordare, di capire, anche solo di chiedere.
Non
riusciva a fare niente, ma la sensazione persisteva, facendosi
addirittura più prepotente del principio.
“Sono
Saga!” disse il ragazzo sorridendo.
Zoro
non disse nulla, ormai il silenzio era sovrano in quella stanza.
Saga
sospirò, e ordinò da mangiare dal padrone,
rimasto attaccato al
muro tutto il tempo, tra le mani ancora il bicchiere lurido.
“Lo
porto via” aggiunse guardando malamente Zoro, che si riscosse
all’improvviso.
“Saga?”
disse alzandosi dal suo posto e rinfoderando la spada: “Che
ci fai
così lontano dal villaggio?”
Il
ragazzo non parlò per un po’, forse era deluso
dall’atteggiamento
dell’altro, così prese da mangiare e fece per
uscire.
“Credevi
di essere l’unico che volesse migliorare come
spadaccino?” disse
freddo, mentre usciva dal locale, lasciando a terra il ricercato,
come un pagamento.
Zoro
si affrettò a seguirlo.
“Sei
cambiato tanto” gli disse una volta raggiunto: “Non
ti avevo
riconosciuto”
“Tu
invece sei sempre il solito, non cambi mai” disse Saga,
finalmente
sorridente: "A parte per quei tre orecchini, quando te li
saresti fatti?”
Zoro
sorrise e gli circondò il collo.
“Mi
hai preso in un momento proprio triste” disse ridendo:
“Ma sono
molto contento di vederti”
Inspiegabilmente
Saga arrossì, ma ricambiò l’abbraccio e
continuò a camminare.
"C’è
un prato poco lontano da qui… andiamo
lì” disse rosso in volto:
“Potremmo allenarci”
Zoro
annuì e seguì il compagno, senza permettere che
il suo languore
rovinasse quel momento.
Camminarono
qualche minuto, raccontandosi qualche aneddoto di quegli anni
trascorsi per entrambi, cercando di scoprire qualche novità
o
curiosità dell’altro.
Prima
che Saga potesse aprire il bento, Zoro lo sfidò in un
combattimento,
che protrassero a lungo, definendo la supremazia del verdino.
“Sei
diventato molto bravo, Zoro” disse Saga sdraiandosi
sull’erba,
cominciando a mangiare.
Zoro
a quella vista sentì di nuovo un languore fastidioso, ma non
poteva
andarsene a cercare da mangiare e lasciare solo il compagno.
Tuttavia,
anche se si ostinava ad ignorare il proprio stomaco, Saga
notò il
suo comportamento e sorrise.
“Vuoi?”
chiese allungando le bacchette di legno colme di cibo.
Zoro
non seppe cosa rispondere, aveva troppa fame per aspettare, ma un
assaggio solo e il suo stomaco avrebbe reclamato di più.
Stanco
delle sue elucubrazioni aprì la bocca, e la richiuse solo
sulle
bacchette, deglutendo subito il cibo.
“Non
mangio da giorni” si giustificò arrossendo un
po’.
“Possiamo
fare a metà” disse semplicemente Saga arrossendo,
ripetendo
l’operazione.
Zoro
non riusciva a capire dove prendesse il coraggio per mandare avanti
quella situazione umiliante e imbarazzante.
Saga
lo stava letteralmente imboccando, e lui stava lì a farselo
fare.
Poteva
dirgli di mangiare la sua parte e lasciargli qualcosa, poteva
prendere in mano le bacchette, poteva anche solo ringraziarlo di
quelle attenzioni, invece stava lì e lo guardava.
Mangiava
e i suoi occhi erano incastonati in quelli scuri del compagno.
Dopo
qualche minuto di quel gioco pericoloso cominciò ad
assaporare il
cibo davvero, lo leccava con estrema malizia, non sapeva neanche
perché.
Sorrideva
e mangiava, si leccava le labbra, chinava il volto per raggiungere le
bacchette.
E
Saga sorrideva languido.
Cominciò
a giocare col compagno, facendogli inseguire il cibo con la lingua,
lo faceva scivolare lungo il mento, gli tormentava le labbra.
Poi
scaraventò le bacchette di legno lontano, e prese a cedergli
pezzi
di cibo con le dita.
Quello
che accadde dopo, nessuno dei due fu in grado di capirlo.
Ormai
Zoro non era più sconvolto dai morsi del bisogno di cibo, la
sua
fame era diventata un’altra.
Leccava
le dita di Saga con estrema maestria, e l’altro non toglieva
gli
occhi da lui, non diceva nulla.
Cercava
di scoprire quelle nuove sensazioni una per volta, formulando nuovi
esperimenti per il piacere di entrambi.
Gli
voleva dire molte cose forse, ma non ne aveva né il coraggio
né la
voglia. Era tutto perfetto così, non doveva distruggere
tutto con
qualche frase di rito, che avrebbe spezzato quell’atmosfera.
Mangiò
un boccone e si avvicinò a Zoro, lo fece lentamente ma
l’altro non
lo respinse.
Lo
guardò solo confuso, non sapendo cosa fare.
Provò
a spostare il braccio e a mettere l’altro sulla sua schiena,
poi
dischiuse le labbra, e l’altro lo baciò.
Rimasero
fermi parecchio, non sapendo cosa fare.
Saga
si mosse per primo, provando a muovere le labbra su e giù,
ipnotizzando con il loro movimento la mente di Zoro, che si
lasciò
completamente andare a quella bocca.
Si
stese sull’erba e lasciò che l’altro lo
seguisse, senza
staccarsi mai.
Gli
aprì le labbra dolcemente, senza forzarlo, e Zoro ci mise
molto a
capire che quello che gli stava passando era cibo, non la sua lingua.
Quando
Saga si staccò Zoro tossì, colto dalla fretta di
deglutire, non
rendendosi conto che la sua gola era stretta tra il suo cuore e il
suo stomaco, stranamente spostati sul suo collo.
Saga
lo baciò sulla gola, cercando di calmarlo, accarezzandogli
una
guancia.
Quando
il verdino smise di tossire cercò di guardare ovunque,
tranne verso
Saga.
“Zoro…”
disse questo, allarmato dal comportamento dell’altro:
“Scusa…
forse, ho esagerato…”
Zoro
abbassò lo sguardo. Di nuovo non sapeva cosa dire, ma voleva
e
doveva dirgli qualcosa, assolutamente, o Saga si sarebbe spaventato.
Ci
provò davvero, ma non riuscì a pensare a nulla da
dirgli.
Sentì
il ragazzo sospirare e spostarsi velocemente.
Non
l’avrebbe fatto andare via, non poteva.
Lo
prese per un braccio e lo baciò, riconducendolo sopra di
sé, stesi
sull’erba.
Si
baciarono a lungo, e con più foga della precedente,
sfiorandosi
affamati e massaggiandosi ovunque, respirando l’odore
dell’altro.
Quando
si staccarono Zoro respirò in modo affannato a lungo,
facendo ridere
Saga per le sue guance rosse e le sue labbra gonfie.
“Eri
affamato, eh?”
Zoro
sorrise e gli circondò il collo con le braccia.
“Avevo
fame di te”
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