-Arvad
and the Cancelled Train-
La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane, nella
zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita
da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della
seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente
impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le
lettere.
«Papà, voglio prendermi un anno sabbatico prima di
entrare all'Università dei Draghi!»
esclamò di colpo Arvad, il giovane drago rosso, appena
entrato in cucina dopo essersi alzato grazie al buon profumino della
carne cucinata da mamma drago. Pochi giorni prima, il giovane aveva
sostenuto e passato l'esame di maturità al liceo dei draghi
con un voto appena sufficiente, ed era un bel po' stanco, talmente
stanco che non aveva voglia di toccare libri per un anno intero.
«Va bene, figliolo.» cedette subito papà
drago, senza fare una piega.
Arvad si sorprese di averla già vinta su un punto tanto a
cuore per il padre, quale lo studio.
«Ma ad una sola condizione.» aggiunse il
lucertolone, girando una pagina del "Giornale Fatato" che stava
leggendo comodamente seduto sulla sedia a dondolo.
«Sarebbe?» domandò l'altro, ora sulla
difensiva.
«Ti pagherò un anno di vacanze in Italia,
esattamente a Roma, la Città Eterna, ma alla sola condizione
che tu ci arrivi in treno partendo da Pechino.»
spiegò tranquillamente.
A quelle parole Arvad si tranquillizzò. Era solo un viaggio
in treno, dopotutto; non era certo il primo che faceva!
«Va bene, papà!» sorrise raggiante,
correndo in camera a fare le valige «Grazie!»
«Non c'è di che, figlio mio...» sorrise,
mentre sul volto gli si dipingeva un terrificante ghigno.
Classificata 10°
al contest "La Stazione e il
Drago" indetto da Eylis
sul
forum di EFP
Classificata 2° al contest "La legge di Murphy"
indetto da NonnaPapera! sul
forum di EFP
• Nick dell’autore:
XShade-Shinra
• Titolo: Arvad and the
Cancelled Train
• Tipologia: OneShot
• Lunghezza: 3600 parole
• Genere: Comico/Demenziale,
Fantasy
• Avvertimenti: Stupidità in
crescendo? XD
• Rating: Verde
• Credits: Lo scritto ed i
personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
La frase "Roma Termini o Roma Tiburtina?" si
rifà ad una barzelletta che mi è arrivata via
mail dal sito di Bastardi Dentro.
• Note dell'autore: Il drago
rosso è un tipo di
drago che ha la capacità di assumere sembianze umane, forma
utilizzata da Arvad - il protagonista - per il suo viaggio. I draghi
rossi, inoltre, vivono nelle caverne delle montagne e amano raccogliere
tesori, ne sono molto gelosi. Arvad è un drago giovane,
quindi ha una ventina d’anni.
Questa storia vuole avere la pretesa di strappare un piccolo sorriso al
lettore, anche se mi accorgo che ci sarebbe solo da piangere
poiché si parla delle stazioni ferroviarie in Italia. La
storia è ambientata alla Stazione Centrale di Milano per il
semplice motivo che è quella del Settentrione che conosco
meglio, ma sarebbe potuta essere una qualsiasi altra stazione della
penisola. A causa dello studio e del lavoro sono stata pendolare per
diversi anni prima di avere la patente, e in quel lasso di tempo ne
vidi veramente di tutti i colori! Gli avvenimenti della storia,
ovviamente, sono inventati di sana pianta, visto che non deve essere
un’autobiografia.
Buona lettura!
- Arvad and
the Cancelled Train -
La mattinata trascorreva
tranquilla sulle montagne himalayane, nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita
da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della
seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente
impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le
lettere.
«Papà, voglio prendermi un anno sabbatico prima di
entrare all'Università dei Draghi!» esclamò di
colpo Arvad, il giovane drago rosso, appena entrato in cucina dopo
essersi alzato grazie al buon profumino della carne cucinata da mamma
drago. Pochi giorni prima, il giovane aveva sostenuto e passato l'esame
di maturità al liceo dei draghi con un voto appena sufficiente,
ed era un bel po' stanco, talmente stanco che non aveva voglia di
toccare libri per un anno intero.
«Va bene, figliolo.» cedette subito papà drago, senza fare una
piega.
Arvad si sorprese di averla già vinta su un punto tanto a cuore
per il padre, quale lo studio.
«Ma ad una sola condizione.» aggiunse il lucertolone,
girando una pagina del "Giornale Fatato" che stava leggendo comodamente
seduto sulla sedia a dondolo.
«Sarebbe?» domandò l'altro, ora sulla difensiva.
«Ti pagherò un anno di vacanze in Italia, esattamente
a Roma, la Città Eterna, ma alla sola condizione che tu ci
arrivi in treno partendo da Pechino.» spiegò
tranquillamente.
A quelle parole Arvad si tranquillizzò. Era solo un viaggio in
treno, dopotutto; non era certo il primo che faceva!
«Va bene, papà!» sorrise raggiante, correndo in camera a fare le
valige «Grazie!»
«Non c'è di che, figlio mio...» sorrise, mentre sul volto gli si
dipingeva un terrificante ghigno.
*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*
Solo pochi giorno dopo, Arvad era quasi arrivato a Milano con il
treno partito da Pechino con destinazione Roma. Aveva impiegato un bel
po’ ad arrivare, viste tutte le coincidenze che aveva dovuto
prendere; l’ideale sarebbe stato andare in aereo, ma il povero
Arvad era claustrofobico e, tra l’altro, soffriva il mal
d’aria: una combo micidiale. Naturalmente aveva ritenuto troppo
stancante volare grazie alle sue ali o arrivare fino a lì
facendo l’autostop, poiché, nonostante l’età,
non era ancora riuscito a superare l’esame pratico della patente
B umana. Alla fine, il padre - senza immaginarlo - aveva scelto la
soluzione più comoda per il figlio. Arvad ricordava ancora la
gentilezza e la competenza tecnica della donna che lavorava alla
biglietteria di Pechino, quando, trasformato in un giovane ragazzo
umano dai lineamenti caucasici – metamorfosi che aveva tenuto
fino ad allora per non spargere il panico tra gli uomini –, aveva
chiesto il biglietto.
«Roma Termini o Roma Tiburtina?» aveva domandato la
donna, senza nemmeno consultare il computer, né fare una faccia
sorpresa per quella strana richiesta o indagare sul motivo di tale
scelta.
«Milano Centrale. Stazione di
Milano Centrale.»
la gracchiante voce dell’altoparlante disturbò i pensieri
di Arvad, invitando tutti i passeggeri a scendere, giacché erano
giunti al capolinea.
Il drago spense il suo MP3 da 500 Giga – stava ascoltando i
Dragonforce, ovviamente – e prese la propria valigia e lo zaino
dalla rastrelliera, avvicinandosi all’uscita.
Quando il treno si fermò, finalmente mise sulla banchina un
piede munito di sandali con le calze in spugna – calzatura molto
utilizzata dai turisti, secondo le sue ricerche – e
respirò a pieni polmoni quell’aria dagli odori italiani.
Sapeva di pizza, pasta, Colosseo, Trulli, Arco di Trionfo, fumo e sudore
degli altri passeggeri.
«Ah…» espirò soddisfatto, cercando le tabelle luminose con gli
orari dei treni successivi.
Doveva prendere il Frecciarossa per Roma e, secondo Dragoogle,
aveva circa mezz’ora di tempo; avrebbe potuto prendersela con
calma se non fosse che il treno aveva accumulato un ritardo pari a
venti minuti non appena oltrepassato il confine con l’Austria,
quasi per magia.
«Ora vedo gli orari, poi corro fino al binario.» si
disse, camminando velocemente verso il tabellone, che ovviamente era
abbastanza lontano.
Ciò non bastò a scoraggiare Arvad; dopotutto si
trattava semplicemente di un piccolo inconveniente e nulla di
più: avrebbe recuperato il tempo correndo un po’
più veloce.
Man mano che si avvicinava, però, notò qualcosa che
non andava: non vi era alcun orario in corrispondenza del suo treno, ma
una scritta che con quei suoi occhi umani non riusciva a leggere.
“Maledetti uomini, sono tutti così… miopi!” brontolò, trotterellando
fino a giungere quasi sotto la sua meta.
«Allora… Treno Frecciarossa... Milano-Roma…
Soppresso.» lesse, grattandosi la nuca «Soppresso?»
si domandò «Che sia un atro modo per dire
“Espresso”? Viaggiamo con un altro treno?»
Mentre stava ancora cercando di capire quella strana parola in
italiano, sentì l’urlo di una giovane donna alle proprie
spalle, che lo fece sobbalzare:
«Porca puzzola! Mi hanno cancellato il treno ‘sti
ricchioni del menga! E ora come ci arrivo a Roma?! Mi metto a sbattere
le orecchie come Dumbo?!»
Arvad si girò e le domandò:
«Scusi, signorina, ma.. in che senso “cancellato il treno”?»
«Sei cieco forse, ragazzino?! C’è scritto: Soppresso!»
berciò, estraendo dalla borsa il cellulare come fosse
un’arma di distruzione di massa e componendo velocemente un
numero:
«Ermenegildo! Hanno soppresso il treno! Vieni a prendermi in
stazione e portami subito a Roma, intesi?! Vuoi che mio marito scopra
tutto?! No?! E allora muoviti!» urlò mettendo giù
la comunicazione e marciando a passo spedito verso l’uscita.
Arvad rimase a guardarla mentre andava via, senza capire un
accidente di quello che era accaduto, ma provando molta pena per quel
signor Ermenegildo.
«Uhn, dunque…» ponderò «Il treno è “soppresso”, quindi… visto che
quella donna non lo può prendere… Oh, no! Hanno ammazzato
il mio treno!» esclamò a voce alta, facendo girare buona
parte dei presenti «Forse era troppo vecchio per continuare il
suo lavoro e lo hanno ucciso… E ora… Come faccio?!»
fece, nel panico più totale.
Nel vederlo così disperato, un controllore gli si avvicinò, almeno
per dirgli di non urlare così forte.
«Ehy, ragazzino.» lo chiamò, posandogli una
mano sul braccio «Vuoi abbassar--» ma non fece in
tempo a terminare la frase che Arvad si girò e si
appoggiò alle sue spalle, guardandolo dritto negli occhi:
«Siete solo degli assassini! Avete soppresso il mio
treno!» disse, con le lacrime agli occhi «Ora non
riuscirò più ad arrivare a Roma! Non ho nemmeno DragonMaps con me!»
Il controllore pensò che fosse un ragazzo con gravi turbe
psichiche, e si rabbonì:
«Non preoccuparti.» tentò di calmarlo,
indicandogli il tabellone «Guarda, c’è un altro
Frecciarossa tra due ore.» gli fece notare.
«Ah…» sussurrò «E posso prenderlo?»
«Ovvio, devi soltanto aspettare.» lo rassicurò.
Arvad si asciugò le lacrime con il palmo delle mani e smise
di tremare, annuendo. Ce l’avrebbe fatta: sarebbe arrivato a Roma
e avrebbe trascorso là il suo anno sabbatico.
«Ok.» disse e se ne andò senza nemmeno ringraziare, né salutare.
Aveva due ore da trascorrere nella nullafacenza totale: ottimo
modo per iniziare la vacanza!
«Uhn, ho fame…» si lamentò, andando
verso un negozietto dal quale proveniva il buon profumino di quelli che
gli umani chiamano “pane e companatico”. Camminò
molto lento, facendosi spazio tra la gente che andava e veniva dai
treni, venditori ambulanti, controllori, piccoli alieni in gita
scolastica, cani randagi, donne delle pulizie e forze
dell’ordine. Si stava talmente stretti che sembrava di essere
dentro una scatola di sardine. A peggiorare la situazione vi erano le
lucine color arancione e gli allarmi dei lavori in corso sparsi per
tutta la stazione, ovviamente in ristrutturazione da mesi. Sembrava una
bolgia infernale.
Una volta arrivato davanti al chiosco con le varie cibarie, si
rifece gli occhi con tutto quel ben di Dio, notando solo dopo che
numerose mosche volteggiavano tra i panini, ma la gente li comprava lo
stesso, forse per la fame.
«Buongiorno.» fece Arvad al venditore «Vorrei un
panino…» ma un ragazzo vicino a lui lo interruppe:
«We, bell’ e mammà! Mittet’ in
fil’, va’!» lo sgridò, facendogli capire che prima di lui c’era
molta altra gente.
«Tsk!» fece Arvad, incrociando le braccia al petto e
guardandolo con aria di sufficienza “Umani…”
commentò mentalmente.
Così, mentre rimaneva lì ad aspettare il proprio
turno, con lo zaino in spalla e la valigia portata come trolley e
tenuta per il manico, non si accorse di un giovane uomo dietro di lui
che, con un accendino, fece bruciare parte del prolungamento del manico
(non si sarebbe sentito nessun tanfo di plastica bruciata in mezzo a
quell’odore di umanità); quando la parte si sciolse del
tutto, l’uomo prese la valigia per la maniglia fissa e
sparì con essa in mezzo alla folla. Naturalmente il drago non si
accorse di nulla, troppo preso dal controllare che nessuno gli rubasse
il posto in fila.
Dopo ben quindici minuti, finalmente toccò a lui.
«Cosa desidera?» domandò il venditore.
«Un panino con salame e formaggio.» rispose subito.
«E da bere?»
«Una bottiglietta d’acqua.»
«Liscia o gasata?»
«Liscia…»
«Dal frigo o temperatura ambiente?»
«Normale…»
«Il panino lo vuoi freddo o te lo scaldo?» domandò ancora,
grattandosi i radi capelli.
«Sì, riscaldamelo… Non mi piace la roba fredda.»
«Porti via o mangi subito?» chiese, prendendo il
panino con la mano incriminata e mettendolo in un fornetto a microonde
che sicuramente non aveva mai pulito da quando aveva aperto il locale.
«Mangio… subito…» rispose nauseato.
«Sono cinque euro e ottanta.» disse, allungando la mano per farsi
pagare.
«Cosa!?» esclamò Arvad, con gli occhi della
stazza di due mandarini maturi «Ma è troppo!» si
lamentò.
«Se non lo vuoi lo dò a qualcun altro.» disse il commerciante,
senza fare una piega.
Arvad si consumò i denti tanto ringhiare e gli diede la banconota
da dieci euro che teneva in tasca.
«Arrivederci.» il paninaro lo salutò, dandogli il
resto e il panino tutto insieme, con la mani sporche di soldi, forfora
e quant’altro.
«Addio.» disse il drago, andando via da quel negozio,
accorgendosi che la valigia gli sembrava decisamente più leggera
rispetto all’andata; ma non ci fece caso e continuò a
camminare, “trascinandola” con sé.
Arrivato ad una panchina stranamente vuota, ma coperta da cacca di
piccione per due terzi della superficie, decise di sedersi e finire di
mangiare il panino in pace. Posò lo zaino su di essa, poi mise
la “valigia” ed infine si sedette.
“Strano…” pensò, sbocconcellando il
panino con la nausea “Mi sembra che mi manchi
qualcosa…” pensò, guardando poi i suoi bagagli,
raggelando.
«La… la mia valigia!» urlò, scattando in
piedi «La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia
valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia
valigia! La mia valigia!» gridò come una cantilena,
controllando dappertutto: sotto la panchina, sotto lo zaino, sotto le
suole dei sandali, dentro le calze… ma nulla.
«Mi hanno rubato la valigia!» capì,
scandalizzato «Come faccio?! Nello zaino ho solo due
mutande!» si disperò, sedendosi in terra sul suo zaino,
unico bagaglio rimastogli, il quale conteneva anche il portafogli, e il
porta documenti dragoniani e umani.
«Meglio se li metto in tasca.» e così fece, con
il timore di perdere i suoi documenti «Che giornata.»
sbuffò. Si guardò intorno, sperando di rivedere
magicamente la valigia tornare da lui, ma invano. Una volta a Roma si
sarebbe dovuto comprare un nuovo guardaroba.
Pochi minuti dopo, passò una uomo dall’aria seria e
distinta, che parlava al telefono con l’auricolare, che si
sedette sopra la panchina dove era Arvad poco prima.
“Almeno lui sembra a posto…” pensò, convinto di aver trovato
comunque una piccolo Paradiso.
«Sì, te l’ho detto!» disse l’umano
«Devo ancora finire di mettere a posto la faccenda di quel
traffico d’armi, poi c’è quella droga da controllare
prima che qualche altro giornalista ficcanaso la trovi ed infine
quell’assassino. Sì, non ti preoccupare, penserò io
a tutto, vedrai…»
Dopo quelle parole, Arvad, lentamente, scivolò via sul suo
zaino, usando le mani come remi e strisciando il più lontano
possibile, cercando di non fare rumore.
L’uomo, però, si accorse di lui, ma non ci fece caso, continuando
a parlare:
«L’unico motivo per il quale faccio l’avvocato
è perché ho ereditato lo studio da papà, lo sai
che sono un geometra mancato…»
Una volta che il drago si reputò al sicuro da altre grane,
nascosto dietro un pilastro vicino alle scale, si rialzò e si
guardò le mani: nere come la pece, addobbate da un chewing gum
masticato di colore azzurro, una matassa di capelli neri e un mozzicone
di sigaretta.
«Ma oggi capita tutto a me?» pensò, prendendo
lo zaino e andando verso la direzione indicata dal cartello che recava
la scritta “Toilette”.
Era statisticamente impossibile tutto quello che gli stava
capitando in quel lasso di tempo nel quale si era ritrovato per forza a
dover attendere il prossimo treno; non era ancora passata un’ora,
e già si chiedeva se qualcuno non gli avesse fatto una sorta di
magia, quella che gli umani, scioccamente, chiamano
“fattura”.
Arrivato ai servizi, notò subito che c’erano delle
strane lastre in vetro a righe opache come porta. In Cina non aveva mai
visto cose di quel genere. Si avvicinò con fare cauto, reduce
dagli eventi passati, e vide una scritta che lo mandò in bestia:
“1 €”. Sì, per entrare nei bagni della stazione
doveva pagare.
«Cosa?!» sibilò con il fumo che gli usciva dalle narici «Devo pure
pagare per lavarmi le mani!?
il colmo!» esclamò, furente di rabbia, mentre chinava il
capo e cercava il resto datogli dal paninaro.
“Sto per odiare gli uomini…” pensò,
inserendo la moneta ed entrando in quel luogo, certo era pulito, ma era
vergognosa una cifra del genere “Rettifico: odio gli
uomini!” pensò, mettendo le mani sotto l’acqua dopo
averle insaponate fino ai gomiti. Peccato che non avesse pensato che
anche lo zaino doveva essere in quelle stesse condizioni e che ora ce
lo aveva attaccato alla maglietta bianca.
Mentre era intento a scorticarsi la pelle, diverse persone
entrarono in bagno, senza battere ciglio per il prezzo da aguzzino per
accedervi, quasi fosse un dazio come quelli imposti sui ponti dai suoi
amici Goblin. Forse gli umani erano abituati a tutto quello, ma Arvad
odiava sborsare denaro.
Dopo aver usufruito anche del gabinetto, uscì dal bagno, ancora
livido di rabbia.
Mancavano ancora tre quarti d’ora alla partenza del
Frecciarossa e non vedeva l’ora di potersi finalmente sedere su
una poltroncina di quel treno, sperando che, una volta abbandonata
Milano, lo abbandonasse anche la sfortuna. La speranza, dopotutto,
è l’ultima a morire.
Tanto per sprecare un po’ di tempo, decise di rifare tappa
al tabellone delle partenze, per controllare se anche il suo secondo
treno non fosse stato ammazzato.
Fortunatamente non vi era riportato alcun ritardo o soppressione: il
treno era perfettamente puntuale.
«È quasi strano…» borbottò il
drago, prima di rimettersi a camminare verso i binari: aveva notato che
le sfortune maggiori gli capitavano se stava fermo per molto a lungo in
un unico luogo.
«Ma non posso mandare all’aria la vacanza per
così poco…» borbottò, sprofondando le mani
nelle tasche e facendo l’ennesima, pessima, scoperta della
giornata.
«Il… mio…» sussurrò, prendendo
tra le mani solo il porta documenti «Il mio
portafoglio…» sussurrò, tremando di rabbia. Glielo
avevano rubato. Ma quando?
Cercando di rimanere un po’ lucido, capì che doveva
averlo perduto per forza in bagno, dato che aveva appunto cercato un
euro prima di entrare ai servizi, quindi era stato sicuramente
taccheggiato da uno di quegli uomini entrati dopo di lui.
«Umani… umani…» ringhiò, mentre
perdeva lentamente il controllo della propria metamorfosi
«Io… io vi distruggo…» continuò a
grugnire, mentre le unghie si trasformavano in neri e lunghi artigli,
il volto si allungava e i denti diventavano aguzzi; anche la carnagione
si modificava, diventando rossa e squamosa, gli occhi da neri
diventavano dorati e dal collo compariva la livrea «Vi riduco in
cenere…» continuò a maledirli, prossimo ad
aumentare di dimensioni e tornare al suo aspetto normale per ridurli
tutti in poltiglia.
Ma non aveva tenuto conto di una cosa, un particolare che avrebbe
dovuto considerare prima di perdere le staffe. Un treno si stava
fermando vicino a lui, un treno con un carico tanto speciale quanto
pericoloso; ed il vagone davanti ad Arvad trasportava il contenuto
più disastroso: due classi di studenti di quinta superiore in
gita di fine anno.
Non appena le porte furono aperte, il treno vomitò carne
umana e i cinquantasei studenti più quattro insegnanti si
riversarono sulla banchina, non facendo ovviamente caso al fatto che
già ci fosse qualcuno.
«Milano, sono arrivato!»
«Donne, fumo, alcool!»
«Qui prende il cellulare! Devo chiamare mia madre!»
«Devo pisciare! Dove sono i cessi?!»
«Ma io volevo ancora dormire…»
«Oh, non posso crederci! Era la prima volta che viaggiavo in
treno!»
«Così questa è Milano! Che bella!»
«Chi ha visto Rufus?»
«Chi è Rufus?»
«È il mio gatto!»
«Chi ha portato un ratto?!»
«Professoressa! Abbiamo dimenticato De Santis alla scorsa
fermata!»
«Ho fame! Prof, fermiamoci a comprare da mangiare!»
«Non voglio vedere il teatro! Voglio andare ad ubriacarmi!»
«Che barba! Stavo per finire il livello di Mario!»
«Penso che presenterò Milano come tesina di fine anno.»
«Professoressa, Milena è ancora nel bagno del treno!»
«Ragazzi! Il primo che fa il fesso rimane in camera, stanotte!»
«Ho lasciato la digitale a casa!»
Le voci si accavallavano tra loro, rendendo molte parole o intere
frasi addirittura incomprensibili; ma ciò era completamente
irrilevante per Arvad, che si vide letteralmente travolto da quella
fiumana di ormoni inferociti con quattro nababbi al seguito che lo
calpestarono, come se non lo avessero neppure visto; eppure in forma di
umano perdeva tutte le abilità dei draghi, quindi era
impossibile che avesse usato il potere dell’invisibilità!
Lo avevano semplicemente ignorato, avevano ignorato il loro futuro
carnefice. Oppure lo avevano visto e lo avevano devastato e spiaccicato
sul piano di calpestio prima che potesse nuocere all’intera
comunità? Ad Arvad sembrò più probabile la sua
prima supposizione.
Non appena quelle bestie si furono allontanate da lui,
lasciandogli addosso il segno delle suole delle scarpe, il drago
cercò di riprendersi. Era tornato alle sue sembianze umane ed
ansimava, sapendo che aveva rischiato di morire, ucciso per mano degli
esseri umani.
«Non ne posso più…» uggiolò, vedendo un altro treno arrivare.
Con le poche forze che gli rimanevano, strisciò di qualche
metro, mettendosi bene attaccato al treno in sosta, in modo da non
essere travolto da un’altra folla indemoniata.
Una sagoma sui binari, però, catturò la sua
attenzione. La guardò con un groppo alla gola, notando che altro
non era che…
«Il mio zaino!» urlò, alzandosi sulle braccia.
Nella colluttazione doveva essere volato via fino ad atterrare sul
binario adiacente, con il risultato che, prima che Arvad potesse fare
una qualsiasi cosa, l’ultimo suo bagaglio superstite venne
maciullato dal treno, riducendo in briciole il suo contenuto.
«No…» sussurrò, ad un passo dal suicidio
«No…» ripeté, non avendo nemmeno la forza di
piangere.
Ormai l’aveva capito. Era un segno del destino: non sarebbe mai
giunto a Roma.
Mancavano solo quindici minuti alla partenza del Frecciarossa,
che, ironia della sorte, era proprio quel treno che gli aveva appena
atomizzato lo zaino.
Con il moccolo al naso e i lacrimoni agli occhi, Arvad si
ritrovò davanti ad un’ardua scelta: prese il porta
documenti e guardò intensamente il biglietto di andata-ritorno
per la Città Eterna, per poi andare ad obliterarlo. Dopo tre
tentativi in tre diverse obliteratrici, di cui due non funzionanti ed
una rotta, alla quarta macchinetta riuscì finalmente a vidimare
il biglietto; non per Roma, ma per Pechino!
Cercò il treno Milano-Vienna che aveva preso
all’andata e vi salì sopra, senza né un bagaglio,
né un soldo.
«Che vacanza da sballo…» borbottò,
mentre si sedeva su un divanetto e attendeva che il treno
partisse «Non ce la farò mai da solo… ho bisogno di
alleati…» aggiunse, ringhiando ad una vecchietta che stava
per sedersi sul sedile accanto al suo.
*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*
La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane,
nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita
da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della
seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente
impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le
lettere.
«Papà!» urlò Arvad, aprendo la porta di
casa con un calcio ben assestato «Papà!»
chiamò di nuovo, mentre avanzava verso la cucina.
«Oh, già di ritorno, figliolo?» domandò papà drago, mentre fumava
la pipa con fare ozioso.
«Papà! Devi distruggere tutti gli uomini che vivono
in Italia! Devi ridurli in cenere!» urlò, battendo i pugni
sul tavolo. Fortunatamente era riuscito a darsi una lavata nei bagni di
Pechino, ma i vestiti che aveva indosso puzzavano non poco, lerci come
erano; nella fretta di tornare a casa si era addirittura dimenticato di
riprendere le sue vere sembianze.
«Oh, ma figliolo… come i manga insegnano, la
distruzione della razza umana può avvenire solo ed
esclusivamente partendo dal Giappone.» rispose tranquillo, come
se nemmeno cento tempeste insieme potessero smuoverlo.
«Allora, se non mi vuoi aiutare, li sterminerò
io!» urlò, mentre mamma drago si affacciava dalla porta
della cucina, chiedendosi cosa stesse succedendo.
«Non puoi, figlio mio.» disse ancora il lucertolone
«Non sei abbastanza forte. Solo quando finirai
l’Università dei Draghi saranno sbloccati tutti i tuoi
poteri e apprenderai nuove tecniche.» spiegò, porgendogli
dei voluminosi libri con il marchio dell’Accademia «E ora
va’ a studiare per l’esame di ammissione del mese
prossimo.» lo invitò con un caldo sorriso in volto.
«Vado, vado!» disse, prendendo i tomi e andando nella propria
camera, sbattendo la porta alle sue spalle.
«Caro…» mamma drago intervenne solo in quel momento «Non dirmi che
era tutto calcolato…» sorrise, dando un bacio al marito.
«Certamente, moglie mia. Ero sicuro che questa vacanza
sarebbe stata l’ideale per lui.» ghignò nuovamente,
come il giorno in cui gli aveva dato il permesso di andare in Italia.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note:
Ovviamente papà drago non ha mosso un dito in tutta questa
faccenda: era semplicemente certo del fatto che al figlio gliene
sarebbero successe di tutti i colori non appena avesse messo piede in
Italia.
P.S. Ma avete notato anche voi che nel 95% dei manga la distruzione del
mondo inizia dal Giappone?
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