Fan fiction classificatasi terza
al contest "Wicked
and... lovely, incantevole e pericoloso",
indetto da the forgotten dreamer e valutato, in seguito, da ro-chan.
Alcune note: questa storia inizialmente avrebbe dovuto partecipare al
contest "E tutti vissero felici e contenti" di Mayumi_san poi,
però, per carenza di partecipanti è stato
annullato. La storia doveva essere ispirata ad un classico Disney, io
mi ispirai ad Aladdin. Però, visto che è stato
annullato ho "utilizzato" l'idea per questo contest. Ecco
perché, noterete,
la storia si collega a quella di Aladdin o, perlomeno, alcuni elementi.
In ogni caso, potete trovare i risultati qui.
Saranno tre capitoli e l'epilogo, aggiornati quotidianamente :).
Ultissima cosa: il titolo della storia è ispirato ad una
famosa canzone degli Aerosmith, che potete trovare qui.
Fly
away from here
I
Capitolo
Da
un mese a quella parte, compiuti da poco gli agognati diciotto anni,
suo padre aveva iniziato ad incalzarla con un discorso che non si era
stupita troppo di udire.
Era
stato in un ristoratore pomeriggio di aprile che aveva deciso di
farle una certa
ramanzina: “Un
giorno, figlia mia, non ci
sarò più...”
.
Ino
aveva tossito un paio di volte, poi aveva reagito istintivamente:
“Padre, non credo sia
il momento migliore per affrontare questi
discorsi, né per conoscere pomposi e vanitosi
rompiscatole”.
In
un primo
momento sembrava aver avuto la meglio.
Qualche
giorno più tardi, all'imbrunire di un sole corallo, suo
padre aveva
insistito nuovamente ed Ino, a quel punto, era stata costretta ad
accettare.
Così,
contro la sua volontà, aveva preso parte ad assurdi festini
e
sciocche inaugurazioni che non avevano nulla in comune con i suoi
doveri regali. Fu proprio ad una di quelle feste, in un luogo non ben
precisato dell'Oriente, che aveva incontrato l'uomo della sua vita.
Il
sol vedere quelle che si sarebbero potute definire sue colleghe,
la irritava. In verità erano solamente uno stuolo di snob,
che si
accaparravano la ricchezza altrui. Obbiettivamente erano delle belle
ragazze, avevano un viso delicato ed un portamento davvero fine ma
all'interno erano vuote, superficiali, nient'altro che la copia
ingiallita di quella che si sarebbe potuta definire una vera
principessa. Questo era il motivo principale per il quale Ino non
riusciva a colloquiare con loro, ad instaurare un rapporto quantomeno
civile.
D'altro
canto aveva notato più volte lo sguardo di suo padre cercare
il suo:
allora si implorava tra sé e sé di farsi forza,
dopotutto ne valeva
la sua vita in un certo senso.
Però,
anche quei principi erano terribilmente irritanti; non riusciva
nemmeno a parlare con loro, poiché puntavano immediatamente
a
discorsi tutt'altro che inerenti alla conversazione.
L'unica
via di scampo era la fuga... E,
infatti, fuggì.
Ino
abbandonò il buffet, defilandosi tra la folla. Si
gettò
letteralmente fuori, respirando aria salubre. Si aggrappò
con le
mani alla lastra di marmo del balcone, dopodiché –
quasi fosse
stata comandata dall'istinto – si denudò di tutti
gli ornamenti
che adornavano il suo corpo.
Così,
con le lacrime che le scendevano copiosamente sul viso, i capelli
arruffati, il vestito sgualcito. Così,
l'avrebbero mai amata?
«Prenderà
freddo.»
Tutto
d'un tratto, Ino tacque.
Voltò
il capo indietro, incontrando un paio di occhi ossidiana nascosti
nell'ombra: a giudicare da quella prospettiva, v'era un baldo
cavaliere. Riuscì ad imprimere pochi tratti fondamentali
nella sua
mente, capì in quel momento che l'individuo non voleva
rivelarsi.
«E'
meglio per lei che non mi veda così», rispose Ino,
dandogli
volutamente le spalle, «Non sono un gran bello
spettacolo.»
«Come
vuole.»
Sentì
un sospiro sonoro, dopodiché udì alcuni passi
leggeri e cadenzati
venire in sua direzione. Non seppe per quale motivo ma il cuore
cominciò a tamburellare, le lacrime d'un tratto parvero solo
un
amaro ricordo e al loro posto sembrava essersi accesa una certa
curiosità. Il principe le dava le spalle, nascosto dal tetro
mantello della notte; ora respirava sul suo collo, inconsapevolmente
sensuale.
«Chiuda
gli occhi.»
Per
qualche astruso motivo, si fidò; d'un tratto
lasciò cadere le
palpebre in uno stato d'estasi temporaneo, rilassandosi
completamente.
Ad
occhi chiusi la realtà le appariva in tutt'altra maniera:
era
pacifico silenzio, sovrumana quiete, libertà assoluta. Si
sentì
levitare in aria quando le dita dello sconosciuto s'intrecciarono
alle sue, alzando di poco le sue braccia. Eppure, giurò di
aver
appena volato.
«Sentite.»
Non
capì inizialmente, ma le bastò qualche secondo
per afferrare il
senso di quella parola: ora, sentiva la rapida folata di vento che
lasciava volare liberamente i suoi capelli ed una foglia non troppo
rumorosa che si era inaspettatamente posata sopra la sua gonna. Non
sapeva spiegarne bene il motivo, ma sorrise.
Insieme
a quell'uomo si sentiva leggera come l'aria, forte e indomabilmente
orgogliosa, piena di energia vitale; ogni suo desiderio era esaudito
se stringeva le sue mani, ogni tormento magicamente svanito se il suo
respiro carezzava ancora una volta la sua pelle.
«E
se li volessi riaprire?»
Domandò,
tornando con gran fatica a quella violenta realtà.
«Potrà
sempre chiuderli.»
Poi,
poco a poco, la stretta venne meno e d'un tratto le sue dita
lasciarono quel prezioso salvagente. Si sentiva già
affannata,
quando sentì due morbide labbra venir contro le sue con
grande
audacia. Non fece nemmeno in tempo a riaprire gli occhi che lo
sconosciuto si era già defilato, lasciandole solo una
sensazione
agrodolce sulle labbra.
Ino
si voltò indietro, ma non c'era nessuno; eppure, era sicura
che
quello che aveva vissuto pochi attimi prima fosse stato reale.
Raccolse
le sue cose dando una vaga parvenza d'ordine ai suoi capelli, ormai
malmessi. Rimise i gioielli al proprio posto, s'infilò i
guanti di
pizzo, sistemò il vestito e, nel farlo, s'accorse di quella
foglia
aguzza, rossa, dalle venature vagamente giallastre, che l'individuo
qualche minuto prima le aveva menzionato.
Osservò
qualche secondo la foglia poi la infilò all'interno della
scollatura, custodendola come un segreto: forse
sarebbe stata
l'unica cosa che l'avrebbe convinta che quello non era stato un
sogno, ogni qual volta se lo fosse domandato.
Entrando
nella sala un vaghissimo odore di fragole s'insinuò
prepotentemente
nelle sue narici. Non era un frutto tipicamente orientale, anzi:
dall'occidente arrivavano nuovi sapori ogni giorno, nuovi frutti da
assaggiare, forse si stavano aprendo al nuovo mondo. Un cameriere le
passò accanto, servendola gentilmente; Ino sorrise,
prendendo un
piattino di media proporzione. In quel momento le passò
accanto suo
padre, la stava ammonendo con lo sguardo.
«Mi
auguro che qualcuno abbia attirato la tua attenzione.»
Disse,
guardandosi intorno e distribuendo finti sorrisi.
Non
poteva certo dirgli di aver conosciuto un volto senza nome, che
adesso le stava facendo battere il cuore e che, molto probabilmente,
non avrebbe più rivisto tale individuo. Suo padre le sarebbe
scoppiato a ridere in faccia complimentandosi per l'ardita fantasia
e, in seguito, l'avrebbe rimproverata.
Annuì
in segno di resa ed il genitore parve capire perfettamente.
«E
la spilla?»
«La
spilla?»
Fin
da piccola, aveva posseduto la suddetta spilla –
precedentemente
appartenuta a sua madre – una semplice farfalla d'argento con
un
rubino all'interno. Non era l'oggetto in sé ad essere
prezioso,
quanto il significato che vi era all'interno ed il fatto che
generazioni prima di lei avevano custodito tale ornamento.
Perderlo
significava cancellare parte della sua vita: all'interno della spilla
non vi erano rubini ma ricordi.
Guardò
da una parte all'altra, non vedendo alcun oggetto; poi gli occhi si
appannarono quando prese seriamente in considerazione il fatto di
averla perduta.
Non
osò voltarsi dalla parte del genitore, era certa che
l'avrebbe
fulminata con lo sguardo. Lasciò cadere il piattino dalle
mani,
correndo a gran lena agli scalini di marmo della megalomane
struttura.
Le
scale a chiocciola sembravano interminabili, i suoi piedi
però
correvano senza troppi problemi – malgrado i tacchi
vertiginosi – il suo cuore gridava e le sue labbra ruggivano
come
mai prima d'allora. Andava bene soffrire, se si trattava di se
stessa, ma aver perso la sola cosa che le rimaneva di sua madre, il
sol contatto con colei che le aveva dato vita, la faceva sentire una
fallita. Se non era nemmeno capace di tenere un ricordo, come sarebbe
stata capace di tenere in piedi una relazione, un vincolo d'amore?
Poi,
quando finalmente le scale terminarono, un pensiero le
balenò in
testa: e se lo sconosciuto non fosse stato così galante,
come lei
pensava?
***
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