Uno, due, tre, quattro. Asfodelo. di Elos (/viewuser.php?uid=75887)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
1. come sei veramente
Giovanni Allevi
Il pianoforte era un lago di sassi neri sospesi al di sopra del riflesso bianco di una giornata nuvolosa, ogni
dito una pietra lanciata a percuotere l'acqua: si allargavano cerchi di suono lento, liquido, e poi le dita
erano altrove, a picchiettare nuove note in un punto solo un soffio più in là, e ancora indietro, ancora.
Salivano le scale. Tre dita, cinque dita, certe volte erano tutte e dieci e certe volte non ce n'era nessuna, e
quelle erano le volte in cui il suono era più profondo, silenzio; e poi di nuovo un dito sbucava fuori e
- fa diesis - si ripartiva.
Pioveva musica nella stanza. Il pianoforte dorato ne era intriso.
Le dita bagnate di note erano la cosa più bella; poi c'erano le mani - belle anche quelle - e i capelli
lunghissimi strappati via ad una favola e piantati su un corpo tutto spigoli asciutti e curve mancate. Portava
una camicia bianca e calzoni neri da maschio, da uomo: le sue gambe magre, là dentro, sembravano un po' meno
ossute, i suoi passi scoordinati si sentivano appena appena se non indossava le scarpe con i tacchi. Andava bene
per il pianoforte, lei, con le sue dita lunghissime dalle unghie arrotondate e le nocche distanziate. Mani
snodate da marionetta.
Lui sbadigliò rumorosamente, stiracchiandosi, e allungò la mano per abbassare il coperchio sulla tastiera,
costringendola a ritrarre le dita per non farsele schiacciare.
Questo, finalmente, la spinse ad alzare gli occhi per guardarlo. Aveva sempre avuto degli occhi molto grandi,
Andrea, occhi grandi e un poco infossati con iridi liquide, pupille strette e ciglia lunghe: non belli, no, però
gli piacevano un sacco. Gli piacevano un sacco da sempre.
- Penso di non aver mai sentito nulla di così noioso. - le disse.
Andrea non ne parve né contrariata né offesa.
- Potrei dirti che nessuno ti ha obbligato a rimanere qui, oggi pomeriggio. - replicò piattamente. - O che il
tuo parere non è stato richiesto; e, nel caso, sarebbe stato comunque considerato in funzione di un parametro di
valutazione basso. Estremamente basso, e dovutamente. Ora, potresti togliere la tua mano dal coperchio? Per
quanto io mi senta propensa a concordare con te per quanto concerne il grado di coinvolgimento dei
Notturni, questo è sfortunatamente il pezzo che ho tutte le intenzioni di portare al saggio. -
Dovutamente, scandì lui tra sé e sé, dovutamente. Cinque sillabe.
- Uh, adesso mi traduci quel che hai detto? In qualcosa che assomigli all'italiano, per cortesia. -
- Ma certo: leva la mano dal mio pianoforte, gentilmente, o te la frantumo. -
Non suonava come stesse scherzando. Le dita gli servivano: il pollice in particolar modo, perché con un indice
rotto avrebbe potuto suonare, forse, con il medio rotto anche, con il pollice rotto sicuramente no - a meno che
lui non avesse trovato un qualche modo per incollarsi l'archetto al palmo della mano. Tolse la mano dal suo
pianoforte. Molto, molto gentilmente.
- Concerne è il passato remoto di quale verbo? -
- Di nessun verbo. E' il presente semplice di sé stesso. Concerne, concernere. E' un sinonimo di
riguarda. Stavo banalmente comunicandoti che mi trovavo concorde con il tuo parere. - Lui le rivolse uno
sguardo opaco e lei sospirò, risollevando con amorevole cura il coperchio per poter far scorrere ancora le dita
sui tasti: - Concordavo. Ero d'accordo. -
- Sul fatto che è noioso? -
Lei si tenne sul vago:
- Sul fatto che non è coinvolgente. -
- Coi-nvol-gen-te, quattro sillabe. -
- Sono cinque sillabe, non quattro. Scandisci, non sezionare. -
- Cinque sillabe... peggio ancora! Cosa avevamo detto delle parole lunghe? -
- Avevamo detto che ti avremmo comprato un dizionario e che l'avresti letto. Io il dizionario l'ho comprato,
ottemperando alla mia parte di dovere, ma tu l'hai mai sfogliato? -
- No, ma non si può dire che non sia stato un acquisto utile. E' fantastico sotto alla gamba rotta del tavolino,
molto meglio del libro che ci avevo messo prima. Cos'era quel mattone che mi hai regalato la scorsa estate...?
-
Lei sospirò ancora, scuotendo la testa, ma subito dopo dové reprimere un ghigno.
- Era L'Idiota, e tu sei senza speranza. - sentenziò signorile. - Usami la cortesia di trovarti un
passatempo che si discosti dall'importunarmi mentre m'esercito e ti tenga altrimenti occupato. -
- … sottotitolato? -
- Va' a farti un giro, Luca. -
Tornò a prenderla tre ore più tardi - il tempo minimo necessario prima che giudicasse prudente riaffacciarsi
nella sala prove - e trovò la porta chiusa.
- Andrea? - la chiamò forte, bussando; e poi, quando nessuno gli rispose, guardò su e giù lungo il corridoio
vuoto e riprovò più piano: - Ti stai cambiando? -
La voce di Andrea suonò ovattata appena oltre il battente di legno:
- Sì. -
- Andiamo a prendere qualcosa da bere? -
- Un gelato. -
- Un gelato. - ripeté lui, sarcastico. - Vuoi anche un leccalecca, piccina? Due caramelle, un palloncino...?
-
- Solo un gelato, grazie. -
- Andrea, sono le otto di sera. Le otto, capisci? Non è orario da gelato. Andiamo a prendere una birra, una
tequila, una coca-cola, un... un... -
- Un gelato. -
Luca appoggiò la fronte alla paratia di legno, sospirando pesantemente:
- Un gelato. -
Andrea scelse proprio quel momento per aprirgli la porta davanti alla faccia, facendolo barcollare in avanti.
Gli sorrise, candidissima, e confermò:
- Gelato. -
Aveva addosso la gonna: un'altra delle sue gonne-divisa, di un verde pallido dalle pieghe strettissime, che le
arrivava appena sopra il ginocchio. Anche le calze corte erano verdi, e così la maglietta decorata di pizzo. A
qualcun'altra il completo sarebbe stato bene; su una ragazza con la carnagione giusta, con i capelli giusti, con
il viso giusto, sarebbe stato meravigliosamente. Su Andrea era - molto semplicemente - tremendo.
Andrea non portava mai la gonna in classe. Andrea non portava mai altro che la gonna fuori dalla classe. Aveva
un armadio intero pieno di gonne - le sue divise da donna - e le stavano tutte più che orribilmente.
Andrea era andata a comprarsi un vestito nuovo per il saggio di fine giugno: lui lo sapeva perché l'aveva
accompagnata in giro per negozi e le aveva retto la borsa, sette tonnellate di libri e spartiti e album pieni di
disegni sfatti e scomposti, frammentati, finché le spalle non avevano cominciato a dolergli. Chissà come faceva
lei a portarsela sempre dietro ovunque andasse.
Il vestito nuovo di Andrea era rosa. Un vestito rosa. A fiorellini. Un vestito rosa a
fiorellini su Andrea.
Luca non osava pensare a quanto male le sarebbe stato indosso: avrebbe avuto l'aspetto di un'undicenne
anoressica che l'avesse sottratto all'armadio della madre prosperosa, avrebbe dato l'idea che il vestito non
fosse indossato da nessuno, che stesse semplicemente passando da una stampella a un'altra, come un fazzoletto
per signora drappeggiato addosso ad una piattissima patata cruda.
Andrea era come i suoi occhi, gli piaceva un sacco, da sempre. Andrea, però, non gli piaceva per niente quando
si sforzava di trasformarsi in qualcosa che non fosse Andrea.
Luca sapeva che Annalisa - l'adorabile, infiorata, morbida e dorata signora Annalisa - aveva fatto a sua figlia
un certo discorso sulle rose che sbocciano solo un paio di settimane prima. Le aveva detto che era un
bocciolo. Un bozzolo. Che da lei sarebbe uscita una farfalla, una bellissima, radiosa, raggiante farfalla.
Il termine radiosa non aveva nulla a che vedere con Andrea: Andrea non irradiava un bel niente - di certo
non irradiava luce. Qualche volta faceva piovere musica. Parecchie volte faceva sgocciolare sarcasmo. Il
discorso sulle rose e le farfalle lei gliel'aveva riferito piattamente: Andrea diceva molte cose piattamente,
che era un modo come un altro per mentire senza nascondere la verità, pensava Luca.
Andrea non era un bozzolo, Andrea non era un bocciolo. Andrea era fiorita anni prima, ma quel che ne era uscito
fuori era stato uno stelo violaceo di belladonna e asfodelo.
Fece per toglierle la borsa dalle spalle - era così pesante che le aveva infossato un segno rosso sul collo
pallido - ma lei si limitò a scansargli gentilmente la mano e a sistemarsela meglio in schiena. Le chiese:
- Come lo vuoi, il gelato? -
- Fragola e panna. - rispose lei, subito. - Voglio un gelato alla fragola. -
Forse, si disse lui, dopo una, due, tre grosse cucchiaiate di gelato, Andrea sarebbe stata meno propensa al
latinorum e un po' più propensa a spiegare estesamente come e perché avrebbe portato al saggio -
il saggio, non un saggio ma il saggio, davanti a tutta la scuola e a tutti i loro compagni,
amici, professori e conoscenti, i bidelli e i genitori e i fidanzati e le fidanzate e quelli che passavano di lì
perché non avevano nulla di meglio da fare - niente poco di meno che
Sua-Signoria-ti-faccio-finire-in-coma-al-pianoforte Frederich Francois Chopin.
Chopin. Bah.
Note della storia: Questo racconto in quattro
capitoli partecipa al concorso Ragazze
al pianoforte indetto da Harriet.
Il bando richiedeva di scrivere una storia che ruotasse attorno ad un personaggio femminile, ad un pianoforte e
ad una tra le citazioni, canzoni e video proposti come prompt da Harriet. Io ho scelto la stupenda Runs in the family, di Amanda Palmer (per il testo,
qui).
Un enorme grazie a LaureDeTroyes e a Salice, le mie eterne e infinitamente pazienti
beta.
Modifico per aggiungere che i risultati di Harriet sono arrivati e che questa storia si è classificata prima.
Qui sotto riporto il giudizio della giudiciA, con i miei ringraziamenti per i bellissimi commenti:
L'autrice riesce a raccontare una vicenda semplice, un breve momento nella vita di alcune persone, come fosse la più grande delle imprese epiche, ricolmando di significato ogni minimo gesto e soprattutto la canzone, che diventa simbolo di una liberazione attesa da troppo tempo.
Sono ammirata dalla scrittura: elaborata senza essere pretenziosa, pesante o eccessiva, è capace di disegnare sensazioni e scene in modo molto vivo e spontaneo. Si entra davvero nella mente di un adolescente, piena delle due cose che gli interessano di più: la musica e la protagonista. Il suo punto di vista è perfetto per descrivere la vicenda. Anche gli altri personaggi sono caratterizzati benissimo: la ragazza al pianoforte è splendida, non scontata e ben raccontata. La madre, con la sua dolcezza che fa male senza che lei se ne renda conto, è terribilmente realistica, e mi sono piaciute molto le metafore così efficaci per far capire il suo affetto soffocante che impone una personalità non sua alla figlia.
Il tema è davvero ben svolto: la protagonista è apprezzabilissima e l'utilizzo della canzone è molto elaborato, in quanto compare all'interno della storia (nel momento massimo del climax finale), concettualmente definisce la storia ed è ripresa in altri particolari (per esempio, il titolo del racconto richiama l'inizio della canzone.)
Questi motivi, insieme al potere che ha avuto questa storia di tenermi incollata a leggerla, la spediscono in cima alla classifica.
Unica nota pignola: mi sa che è da riguardare la grafia del nome di Chopin.
Note del capitolo: Il titolo di questo capitolo, Come sei veramente, è preso da una composizione
di Giovanni Allevi che potete trovare qui. I Notturni sono una serie di composizioni per
pianoforte di F.F.Chopin, estremamente
delicate... e sia ben chiaro che lungi da me è il disapprovarle. x°D L'idiota è un'opera letteraria di F.M.Dostoevskij, estremamente
affascinante e molto, molto particolare; e sì, è - fisicamente parlando - un mattone. Per il latinorum si
ringrazia Manzoni. E per questa volta, That's all
Folks! |
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=572816 |