Note iniziali: piccolo
esperimento di oneshot su una delle coppie che ultimamente sto amando con tutta
me stessa... Blaise Zabini e Millicent Bullstrode. (All'interno troverete un
piccolo -non proprio piccolo- accenno di DracoxPansy, DracoxGinny e HarryxGinny).
Voglio dedicare questa piccola
oneshot (eddai co sto piccolo, non esageriamo...) a Nemsi, perché il suo
Blaise mi ha fatta totalmente innamorare, quindi pigliatevela con lei se sono
diventata così ossessiva con questo personaggio!
Buona lettura...
Acqua di Rose
Così fa il destino: potrebbe filar
via invisibile e invece brucia dietro di sé,
qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita.
Nella notte del ricordo, ardono quelli, disegnando la via di fuga della sorte.
Fuochi solitari, buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.
[Castelli di rabbia - A. Baricco]
Aveva avuto il presentimento che
quella serata sarebbe stata negativa e non si era trattato di un momentaneo
pensiero o magone. No, lui aveva avuto quella sensazione di disagio e
premonizione sin da quando il suo Capo aveva accennato alla faccenda. Senza
tralasciare ovviamente una velata minaccia, che a lui era tanto suonata come un
"osa non presentarti e l'appoggio per quella gara di appalto te lo scordi". E
come poteva lui di fronte a quell'accorato appello voltare le spalle e ignorare
tutto? Impossibile.
Per questo era lì, con indosso il
suo perfetto completo da sera, abbinato perfettamente alla perfetta cravatta in
tinta, i capelli ormai lunghi legati in un'altrettanto perfetta coda bassa, ad
elargire sorrisi e inchini a presuntuose, altezzose e a dir poco oscene (l'aveva
detto presuntuose?) signore di mezza età che se lo mangiavano con gli occhi.
Tutte agghindate come nelle migliori serate di gala, con addosso i gioielli più
brillanti e pacchiani che avesse mai visto, impegnate nel loro passatempo
preferito: il pettegolezzo.
Era facile intuire di cosa
parlassero, nascondendo le labbra alla vista con una mano guantata, o un
ventaglio finemente decorato a mano.
La sua famiglia.
Per quanto lui fosse diventato uno
dei dipendenti più meritevoli del Ministero, il passato di suo padre lo seguiva
come un'ombra, rendendogli impossibile un completo riscatto agli occhi della
comunità magica. Non era certo un segreto l'appartenenza di Velius Zabini alle
file dei seguaci dell'Oscuro Signore e sebbene in quella Sala riconoscesse molti
degli ex colleghi di suo padre, era certo che l'attrazione della serata
sarebbe stato lui soltanto. E questo di certo non dipendeva esclusivamente dal
tipo di carriera che il genitore aveva scelto (e che aveva quasi tentato di
imporgli). Probabilmente gran parte del gossip riguardava anche i suoi
amatissimi fratellastri Franz ed Hanna e la sua carissima matrigna
Nirilla, che in quel momento erano impegnati in chissà quali interessatissime
conversazioni, in un angolo qualsiasi dell'immenso salone da ricevimento.
Blaise aveva salutato con un cenno
del capo un suo collega più anziano, sollevando il calice di pregiato champagne
francese all'indirizzo della moglie dello stesso, che (come al solito) si era
sciolta in un sorrisino tutto miele. Il giovane non aveva fatto una piega,
storcendo poi le labbra in una smorfia disgustata solo quando la donna gli aveva
voltato le spalle, prendendo a braccetto il marito.
-Tutte uguali- era stato il suo
pensiero, mentre scrollava le spalle e appoggiava la flute vuota sulla tovaglia
bianca del tavolo da buffet.
Era solito apprezzare i complimenti
o gli sguardi furtivi delle donne sì, ma quando queste superavano una certa
soglia di età, si ritrovava a pensare che non era poi così piacevole, anzi forse
sfiorava l'imbarazzante (o il disgustoso, a voler essere pignoli).
"Che ti prende?"
Blaise aveva voltato pigramente il
capo, incrociando gli occhi grigi del suo migliore amico. Aveva scosso la testa
e piegato le labbra in un ghigno storto dei suoi.
"Niente, perché?"
Draco Malfoy non era certo abituato
a ripetere la stessa domanda due volte, o ad insistere e pregare chi non aveva
voglia di parlare. Erano gli altri a dover pregare lui per qualcosa, non
viceversa.
L'altro si era quindi visto
costretto a rilasciare il fiato, in modo tale che sembrasse un sospiro e a
parlare per primo. "Mi annoio mortalmente."
Il biondo aveva alzato il bicchiere
di vino rosso, che aveva in mano, in segno di saluto per qualcuno, senza neppure
prendersi la briga di fingere un sorriso. "Non sei l'unico." Aveva borbottato
con voce strascicata, mantenendo gli occhi incollati in un punto della sala.
Blaise si era lasciato scappare una
risatina, ben celata dietro il palmo della mano e un po' meno bene mascherata da
un leggero colpo di tosse. "La tua adorabile moglie?"
Draco si era stretto nelle spalle,
prendendo un sorso del vino e infilando la mano libera in tasca. "Qui, in giro
da qualche parte."
"Sei piuttosto rigido stasera..."
Aveva espresso quel pensiero con tono quasi ingenuo, per nulla credibile, poi si
era corretto con un gesto della mano. "Voglio dire, più del normale."
"Temo che stasera ci saranno brutti
incontri." Lo aveva detto con una tale naturalità...
Blaise aveva allargato gli occhi,
divaricando appena le gambe e guardandolo come se gli avesse appena rivelato che
aveva perso i poteri. "Non mi dire... è venuta anche lei..."
Un sorrisino piuttosto tirato,
tendente all'acido, era comparso sulle labbra del giovane Malfoy. Aveva annuito,
salutando con un altro cenno del bicchiere l'ennesimo conoscente.
"E che ci fa qui?"
"Sai perfettamente che ha mollato
quella famiglia di piantagrane e si è messa in proprio." Vi era stata una
leggera nota di ironia nella voce, ma per l'inespressività che il suo volto
aveva in quel momento, avrebbe potuto benissimo essere stata una sua
impressione.
L'altro mago aveva infilato le mani
in tasca, scrutando con gli occhi blu la sala. "Uuuh ha fatto fortuna allora, la
piccola Weasley."
Draco aveva inclinato il capo,
stringendo le labbra. "Se la becca Pansy, sono dolori."
E Blaise non aveva potuto far altro
che scoppiare a ridere, immaginando una combattiva Pansy Parkinson attaccata
alla gola di Ginevra Weasley. Non che la scena non potesse avere i suoi risvolti
interessanti, ma d'altro canto, se ciò fosse avvenuto, per Draco
sarebbero stati cazzi amari.
"Divertente."
L'ultima scarica di riso si era
arrestata di colpo al tono, quasi un ringhio, dell'amico. Si era ricomposto e
aveva tossicchiato, coprendo la bocca con il pugno chiuso e passando una mano
sulla giacca a lisciarne il tessuto con aria improvvisamente seria. "Mhm, ma no!
Vedrai che non si incontrano e poi... Pansy." Blaise si era illuminato
all'arrivo della diretta interessata.
Pansy era una di quelle persone che
riescono ad essere eleganti e impeccabili in ogni circostanza. L'insulsa
ragazzina avvezza ai colori sgargianti e costantemente appiccicata al braccio
dell'erede dei Malfoy era scomparsa nell'estate tra il quinto e il sesto anno ad
Hogwarts, lasciando posto ad una ragazza completamente nuova. Fredda,
indisponente e altezzosa quel tanto da riuscire a compiacere persino i più
diffidenti della sua Casa. In quel momento osservandola bene, altera e
ineccepibile nel suo vestito di seta verde scuro che la fasciava come una
seconda pelle, era certa a tutti la motivazione che aveva spinto Draco Malfoy a
chiederla in moglie e probabilmente in seguito, ad innamorarsi di lei.
La donna gli aveva sorriso con il
suo solito modo accattivante, porgendogli la mano e permettendogli di sfiorarla
con le labbra. "Blaise." Aveva accennato un piccolo inchino.
"Stavamo giusto parlando di te."
L'occhiata che gli aveva riservato Draco per quell'uscita, avrebbe potuto
benissimo passarlo da parte a parte. "...in bene, ovviamente."
Pansy aveva osservato il marito di
sottecchi, sforzando un sorrisino terrificante e togliendo gentilmente la mano
da quella del giovane Zabini. "Non ne sono poi tanto sicura. Ma lascerò
correre..."
Blaise le aveva rivolto un sorriso
quasi dolce, in risposta, come a volerla silenziosamente rassicurare.
"Piuttosto... ho fatto un incontro
interessante." Il colpo di tosse che era seguito a quell'affermazione,
preannunciava un principio di strozzamento di Draco col vino. L'amico si era
costretto a non ridere ancora, battendogli una pacca al centro della schiena
come incoraggiamento a riprendere ogni funzione vitale... respirare in primis.
"Che succede tesoro?"
L'uomo aveva fatto un cenno della
mano, come a voler liquidare la questione soffocamento e incitandola a
continuare. Ancora un po' perplessa da quella reazione, Pansy si era rivolta a
Blaise, sogghignando con un nonsochè di divertito, aveva incrociato le braccia
al petto con fare elegante e spostato il peso del corpo da un piede all'altro.
"Ho incrociato la Bullstrode nei bagni delle signore." Era toccato a Blaise,
stavolta, rischiare lo strozzamento. E senza neppure l'alcool come scusa, per
giunta.
Il ghigno sulle labbra di Pansy si
era allargato, prendendo vagamente somiglianza con quello che aveva sfoderato il
marito. Gli ci era voluto qualche minuto per riprendersi dallo shock iniziale e
assumere la solita aria indifferente al mondo. Tempi di reazione troppo lunghi,
perché Draco e consorte non se ne accorgessero.
Tutto intorno a loro era proseguito
come se niente fosse. Un paio di colleghi del Ministero si erano avvicinati ai
coniugi, salutandoli con mille deferenze e ossequi, segno che facevano parte di
una classe sociale inferiore alla loro, ma Blaise non aveva dato segno di
reazione. Si era limitato ad allungare una mano per prendere un'altra flute di
champagne, dal vassoio di un cameriere che passava loro di fronte.
"Sei solo un dannato codardo,
Blaise!"
In
un atto di estrema magnanimità, Draco aveva schioccato le dita davanti al volto
granitico dell'amico, non appena la deliziosa moglie si era congedata con un
gruppetto di amiche. "Direi che è il caso che ti riprendi. Stai dando
spettacolo... pessimo, oserei aggiungere."
Blaise aveva sbattuto gli occhi e si era umettato le labbra, finendo il
contenuto del bicchiere in un unico sorso. “Ero soprapensiero”
Draco aveva fatto roteare gli occhi. “Ma davvero?”
Non c’era stata risposta a quella provocazione. Aveva preferito lasciare l’amico
agli ennesimi saluti, perdendosi nuovamente nei suoi pensieri e accennando un
movimento del capo in direzione di uno dei colleghi.
I desideri sono la cosa più importante che
abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto.
Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di stare dietro ad un proprio
desiderio.
Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante:
che quando arriva il momento di pagare uno solo non pensi a scappare e stia lì,
dignitosamente, a pagare.
Solo questo è importante.
[Castelli di rabbia - A. Baricco]
Lei era lì. Fantastico. Non avrebbe saputo desiderare di meglio. Ovviamente era
ironico quel pensiero così positivo. Non appena Pansy aveva pronunciato quel
nome, aveva chiaramente smesso di respirare nel modo più corretto. Senza
contare che erano almeno quindici minuti, abbondanti, che non apriva bocca e
scrutava la sala da ballo con apparente discrezione e una meno evidente ansia. E
questo poteva anche andare bene, se non fosse stato per l’acume quasi irritante
del suo migliore amico (e consorte), che aveva già intuito la serie di pensieri
non proprio felici che avevano preso a sfrecciargli nel cervello, a velocità a
dir poco impressionante.
Da
quanto non la vedeva? Un anno, poco più… o poco meno, neanche se lo ricordava
bene. E c’era una vena di disinteresse in quel pensiero? Affatto. Più
semplicemente gli sembrava di averla rivista appena un giorno prima e in realtà
il peso che sentiva addosso era così grande, che tante volte gli pareva di non
rivederla da secoli.
L’ultimo incontro decisamente non era stato dei migliori, se si considerava il
contesto (e sì, le cene di beneficenza non sono esattamente un’ottima occasione
per un dialogo civile) e soprattutto la compagnia. Si era sentito immediatamente
a disagio, quando se l’era vista comparire di fronte (e soprattutto aveva
ricollegato bocca e cervello, evitando così di dire qualche cazzata o di sbavare
sul costosissimo Marmo di Carrara del pavimento) e si era reso conto di trovarsi
a braccetto con quella serpe senza scrupoli di Daphne Greengrass -chi
gliel’avesse fatto fare di invitarla ancora doveva capirlo-. Lei non aveva fatto
una piega, lui aveva evitato accuratamente di commentare l’appunto acido e
sarcastico di Daphne e gli era toccato ingoiare il rospo peggiore. Nel suo
attimo di defaillance non aveva potuto realizzare che, così come a lui era stato
intimato di presentarsi accompagnato da una dama…
E
di certo non era stato piacevole vederla raggiungere dal suo migliore amico
di sempre Adrian Pucey. Noto Auror di un’altrettanto nota Squadra Speciale,
con la ormai più che nota fama di Playboy incallito.
Era altrettanto ovvio però che lui si sarebbe ben guardato dal dare prova di
debolezza. Non sarebbe stato da Blaise e anche se in cuor suo smaniava
dalla voglia di alzarsi da quel tavolino e raggiungerla al suo, pregandola di
ascoltarlo, di capire, di dargli una seconda possibilità, non si era mosso da
lì. Aveva continuato a sorseggiare il vino Italiano fatto arrivare a Londra per
l’occasione, ascoltando distrattamente gli ultimi pettegolezzi made in Daphne,
annuendo di tanto in tanto e gettando occhiate furtive al suo tavolino,
dove lei come se nulla fosse rideva per chissà quale battuta di Pucey.
“Con permesso.”
Si
era accomiatato dal gruppetto formatosi intorno a lui e Draco, socchiudendo gli
occhi e rilasciando il fiato. Draco non aveva detto una parola, limitandosi a
rivolgergli un cenno positivo del capo. Gli era grato per quel silenzio e per
non averlo forzato a parlare, ma del resto lui era così. Non era abituato a
forzare lui stesso, figuriamoci gli altri (specie se non ne traeva un personale
tornaconto).
Con ancora il bicchiere in mano aveva percorso ad ampie falcate tutta la sala,
fermandosi solo per appoggiare quello che doveva essere il decimo bicchiere di
champagne della serata. Le portefinestre che conducevano all’ampia balconata
erano socchiuse, permettendo ad un venticello estivo di smuovere le tende di un
bel tessuto blu cangiante.
Fuori il cielo era meravigliosamente aperto. Nessuna nuvola, neanche
all’orizzonte e uno spettacolo di stelle come mai prima. Sarebbe stata una
perfetta serata romantica, se di romantico ci fosse stato qualcosa o almeno
l’idea. E lui era lì fuori, sul balcone, con le mani appoggiate alla balaustra
di pietra lavorata, cercando di non mostrarsi più insicuro e confuso di quanto
non fosse già dentro di sé.
“…ma dai non fare lo sciocco.”
Era stato raggiunto prima dalla sua voce e poi da quell’inconfondibile essenza
di acqua di rose. Non si era sporto subito, perché in fondo non era affatto
sicuro di ciò che udito e olfatto gli stavano trasmettendo e sarebbe stato
piuttosto imbarazzante (nonché deludente), trovarsi faccia a faccia con qualcuno
che non era lei. Poi la voce aveva continuato a parlare e sì, le sue certezze
aumentavano parola dopo parola, assieme alla consapevolezza che non era sola. La
voce che l’accompagnava era maschile, bassa e profonda e gli era bastato
sporgersi quel tanto in più dal balcone per vedere due persone che passeggiavano
tra i roseti del parco.
Ogni dubbio era stato spazzato via alla vista della ragazza. L’avrebbe
riconosciuta fra mille, anche con addosso quel vestito nuovo, color salmone,
tanto elegante quanto semplice, lungo fino a terra, che probabilmente aveva
maledetto almeno una dozzina di volte prima di riuscire ad indossare. Ricordava
ancora con quanta stizza era solita mettere certi tipi di abito,
litigando con cerniere, bottoni e nel peggiore dei casi bustini. Non era fatta
per quelle cose, non era un tipo così sofisticato da sentirsi a proprio agio con
quelle che chiamava “trappole”, eppure ogni volta che la vedeva vestita così,
non poteva fare a meno di sorriderle e tranquillizzarla su quanto fosse
semplicemente splendida, godendo poi del classico rossore che le coloriva le
guance ogni volta.
Da
quell’altezza non riusciva a distinguere bene il suo volto, quella luce
particolare nei suoi occhi verdi, il sottile tendersi delle sue labbra ad ogni
sorriso e lo ammetteva, avrebbe pagato oro per poterlo fare. Per sentire ancora
una volta quello sguardo su di sé, compiacersi di quel sorriso che riservava
solo a lui, gustare il sapore di quelle labbra sulle sue. Da che ricordava lui,
lei non aveva mai usato rossetti o lucidalabbra e sebbene fosse abituato, quella
era una delle tante abitudini di lei che semplicemente adorava. Il sapore delle
sue labbra al naturale era quanto di più assuefante avesse mai provato, persino
più delle ricercatissime sigarette svizzere di Draco.
“Dacci un taglio, te la stai mangiando con gli occhi.”
Blaise aveva alzato gli occhi al cielo, riscosso dai suoi paradisiaci (anche se
un po’ malinconici, doveva ammetterlo) pensieri ed era indietreggiato di quel
tanto che gli impediva la vista. Si era sforzato di apparire normale,
tranquillo, senza tuttavia illudersi di risultare convincente agli occhi
dell’unica persona che tutto vedeva e tutto sapeva.
“Mhm”
Draco si era avvicinato a lui, sfilando il pacchetto di sigarette dalla tasca
degli impeccabili pantaloni firmati e prendendone una con le labbra. Aveva
appoggiato le altre sulla balaustra, accanto alle mani dell’amico e aveva
recuperato dall’interno della giacca del completo l’accendino (anche quello
finito a far compagnia alle sigarette pochi istanti dopo). Era rimasto in
silenzio un po’, prendendo qualche boccata di fumo e buttandola subito fuori,
emettendo un verso di pura soddisfazione.
“Non ce la facevo più.”
L’altro aveva sorriso e poi imitato l’amico, rubandogli una sigaretta (di quelle
pregiatissime svizzere) e accendendola però con la bacchetta. “Pansy controlla
ancora quante ne fumi?”
“Ovviamente.” Aveva ribattuto naturale, forse anche un po’ scocciato, Draco.
“Per questo mi porto dietro due pacchetti, è così facile trasfigurarne uno in
spilla ferma-banconote.”
Blaise era rimasto un attimo interdetto dall’affermazione dell’amico, quindi
aveva alzato un sopracciglio e lo aveva scrutato con evidente aria perplessa,
lasciando cadere la cenere all’interno del balcone.
Draco aveva scrollato le spalle, inclinato la testa da un lato e curvato le
labbra in uno dei suoi tipici ghigni furbi. “Non è stupida, ma è una donna… ed è
viziata. Usa la carta di credito magica, pensi che faccia caso al fatto che i
soldi del maghi sono tutti in moneta?”
Il
giovane Zabini era scoppiato in una risata divertita, rischiando per giunta di
bruciarsi con il mozzicone di sigaretta stretto tra le dita e in procinto di
sfuggirgli.
“Non ci avevi rinunciato?” Il ghigno ancora in bella mostra, nonostante le
parole un tantino pungenti e forse inopportune (semmai qualcosa detta da Draco
Malfoy potesse considerarsi tale).
In compenso lo
scoppio di ilarità dell'altro si era spento di colpo e anche il sorriso era
svanito dalla sua faccia, fatta eccezione per una smorfia -piuttosto tirata-.
Rinunciato? Non che avesse molte opportunità ell'epoca dei fatti e anche allo
stato attuale delle cose, la possibilità anche solo di avvicinarla e parlarci
era talmente tanto remota, che preferiva non vagliarla neppure.
"Non è un po'
troppo semplice gettare la spugna... a priori?"
Se non fosse
stato certo che, seppur Legilimante, Draco era un vero amico, avrebbe potuto
pensare che gli stesse leggendo i pensieri. E quello sì che l'avrebbe fatto
incazzare perbenino. L'occhiata che gli aveva rivolto in risposta, comunque, non
era stata delle più amichevoli, ma l'altro non sembrava essersene curato neanche
un po'. O almeno questo diceva l'atteggiamento strafottente che sfoggiava con
assoluta nonchalance.
"Draco dovresti
sapere che non ho gettato la spugna, a priori." Infastidito dal fumo del
mozzicone spento male, Blaise lo aveva schiacciato meglio con la scarpa,
infilandosi poi le mani in tasca. "Mi pare di essermi sudato ogni briciola di
attenzione che in passato sono riuscito ad ottenere, o mi sbaglio? Eppure lei è
lì e io sono qui."
Malfoy aveva
emesso un verso sarcastico, stringendosi nelle spalle e spegnendo a sua volta la
sigaretta, lasciata cadere a terra. "Errore caro mio. Lei è qui e tu sei qui."
"Hai capito
cosa voglio dire."
"Anche tu."
Blaise era
rimasto in silenzio, a prima vista zittito dal tono duro dell'amico e in realtà
molto vicino alla soglia dell'irritazione. Una volta rilasciato il fiato e
provato a scendere dal gradino della frustrazione (perché sapere che qualcun
altro non aveva tutti i torti, e che quel qualcun altro era Draco Malfoy, ovvero
Mister-io ho sempre ragione, non rendeva più facili le cose), gli aveva scoccato
uno sguardo a metà tra l'esasperato e il rassegnato, sperando che ciò servisse a
sedare ogni discussione. Ovviamente non c'era riuscito.
"Non intendo
farti la predica Blaise, non sono quel gran pezzo di merda di tuo padre." Aveva
incominciato con tono serio, evitando di proposito di accorgersi
dell'irrigidimento provocato dalle sue parole. "Voglio solo farti aprire gli
occhi su una realtà. Hai ventitré anni e ti comporti come un'anima in pena da
almeno tre."
"Io non-"
Ma una mano di
Draco, a palmo aperto, l'aveva zittito. "Risparmiami qualsiasi altra frase. Le
cose sono due amico mio. O apri gli occhi e ti arrendi all'evidenza dei fatti,
smettendola di tormentarti come un povero dannato oppure cerchi di risparmiarti
il rimpianto di averla perduta e te la riprendi."
Blaise non
aveva distolto gli occhi da quelli di Draco, mantenendo tuttavia un'aria
assolutamente fredda e imperscrutabile. "Non è così semplice."
"Per l'anima di
Potter e Weasley! Blaise! Niente è semplice... dove cazzo è finito quello
studente Slytherin che andava in giro a proclamare «Ciò che voglio, io lo
ottengo» eh?" Era sbottato.
Si erano
studiati in silenzio per qualche minuto, ognuno fermo sulle proprie convinzioni.
Quello era il loro problema, da sempre. Entrambi dotati di una tale quantità di
orgoglio che sarebbe bastata per almeno dieci persone ed entrambi ben decisi a
non abbatterlo mai, per nessuna ragione al mondo.
"Draco!"
La voce di
Pansy era servita a spezzare gli attimi di tensione che quel silenzio aveva
creato. Era entrata, o uscita che dir si voglia, sulla balconata a passo di
marcia, con aria severa e le mani strette a pugno lungo i fianchi. Draco aveva
alzato gli occhi al cielo e si era preoccupato di fare a Blaise un cenno,
ricordandogli delle sigarette abbandonate sulla balaustra. Questo non aveva
fatto troppe storie e con una mossa piuttosto veloce le aveva intascate assieme
all'accendino, appoggiandosi alla pietra del parapetto e mettendo le braccia
conserte.
-Comincia lo
spettacolo- era stato il suo pensiero, forse un po' sadico, ma decisamente
soddisfatto dopo la ramanzina ricevuta.
"Che succede
tesoro?" Forse il tono accondiscendente, quasi troppo per i gusti della moglie,
non era servito a placare neppure in parte l'animo esagitato della donna. Certo
era che, l'entrata in scena di Ginevra Weasley, subito dopo, aveva contribuito
ad agitare il suo di animo.
Blaise non
aveva potuto fare a meno di sorridere, in quella maniera storta e divertita che
era solita del suo modo di fare.
Pansy aveva
sollevato un sopracciglio, incrociando le braccia al petto e fissando il marito
dritto negli occhi. "Che ci fa lei alla festa?"
"Scusa? Mi pare
di averti già detto, Parkinson, che la mia presenza qui non ha niente a che
vedere con Malfoy." Era stata la replica secca della giovane Weasley,
infastidita quanto e più di Draco per quella sceneggiata. Altrettanto
infastidito, in verità, dal modo con cui era stato pronunciato il suo (sacro)
cognome.
In tutto
questo, la Signora Malfoy non aveva perso d'occhio il coniuge, come se la
risposta della donna-rivale non fosse neppure da registrare e anzi,
probabilmente seccata da quell'intrusione nella scenata di gelosia che doveva
mettere in atto a discapito dell'uomo.
"Infatti."
Aveva rimarcato Draco, con un livello di voce molto simile ad un ringhio, senza
però tradire alcuna emozione col viso. "Sai perfettamente che non ho niente da
spartire con lei." E com'era ovvio, l'inclinazione che aveva usato per il
"lei" non era passata inascoltata alle orecchie di Ginevra. La quale, con
assoluto distacco sia sul volto, che nella voce, aveva assunto una posizione
indolente e aveva imitato il suo ghigno . "Certo è per questo che venivi a letto
con me, fuori e dentro Hogwarts, Malfoy."
Draco l'aveva
fissata orripilato, rigido come un blocco di marmo. Pansy aveva invece scambiato
un'occhiata con Blaise, in procinto di ridere e li aveva lasciati sfogare per
qualche minuto, chiusa in un regale mutismo, fin quando una terza voce non aveva
rotto quel divertente scambio di insulti e frecciatine degni dell'asilo
infantile.
"Che sta
succedendo qui?"
-Oh oh San
Potter protettore del Regno Magico e delle fanciulle bisognose... - Zabini aveva
tenuto per sé quel pensiero acido, notando che all'arrivo dell'Ex Bambino
Sopravvissuto, gli animi non si erano semplicemente raffreddati, forse congelati
era il termine più adatto.
A nessuno, men
che meno al diretto interessato, era sfuggito il sibilo di Draco che stava ad
indicare un "Potter..." Harry dal canto suo, cercando di dominare il
temperamento impulsivo e irragionevole (non tanto per maturità, quanto per paura
della reazione di Ginny), si era avvicinato alla ragazza dai capelli rossi,
posandole una mano sulla spalla. "Malfoy..."
"Se avete
finito le presentazioni..." Il tono acre di Pansy aveva per un attimo fatto
vacillare l'indissolubile sicurezza di Draco. "Gradirei sapere come mai-"
Blaise alla
fine si era deciso. Aveva ascoltato sin troppo e decisamente quella non era la
serata adatta per assistere alle scaramucce di quattro adulti che si
comportavano da bambini. Aveva avuto un attimo di tentennamento di fronte alla
portafinestra, ma di certo non gli pareva il caso di tornare indietro per
riconsegnare pacchetto e accendino a Draco, sicuramente l'ira di Pansy si
sarebbe triplicata e il suo caro amico gliel'avrebbe fatta pagare salata. Si era
visto costretto, quindi, a scrollare le spalle, ripromettendosi di riconsegnare
il maltolto almeno l'indomani e a rientrare, venendo investito all'instante dal
suono di un valzer.
"Viva
l'originalità..." Si era lasciato sfuggire a denti stretti, prima di percorrere
a passo svelto tutto il perimetro della sala e riuscire ad uscire nei
labirintici corridoi della villa. Avrebbe preso una passaporta messa a
disposizione dagli organizzatori del galà. Di certo non si sarebbe fatto a piedi
tutta quella strada e altrettanto ovviamente, i suoi cari superiori (superiori
di che poi? Era socio quanto loro, dovevano piantarla di trattarlo come un
sottoposto...) non gli avrebbero permesso di sfrecciare via con una scopa. Era
poco elegante. Comunque lui il suo dovere l'aveva fatto, si era presentato. Il
resto erano fatti loro.
Aveva
attraversato corridoi su corridoi, fermandosi giusto di fronte ad uno specchio
con cornice laccata in oro, per aggiustarsi la cravatta e i capelli, sicuramente
scompigliati dal vento. Gli erano bastati due gesti e il nodo era tornato in
ordine, così come la chioma nera trattenuta dal nastrino di raso. Non aveva
preventivato però che alzando gli occhi, vedesse riflessa nello specchio la
presenza di qualcuno alle sue spalle.
La vita è sostanzialmente
incoerente e la prevedibilità dei fatti una illusoria consolazione.
[Castelli di rabbia - A. Baricco]
Era rimasto
gelato dalla consapevolezza di chi si trovava dietro di lui. Senza volerlo si
era ritrovato a scrutare quella figura nello specchio, senza neppure osare
voltarsi per paura che si trattasse di una sua fantasia, o che più semplicemente
fuggisse via da lui come al solito. Aveva passato in rassegna ogni più piccolo
dettaglio di lei. Il corpo ora piuttosto magro, ma formoso, stretto nel vestito
cangiante, le mani abbandonate lungo i fianchi e le braccia non proprio
rilassate, le spalle rigide lasciate scoperte in gran parte dalla stola in
tinta, che probabilmente aveva il compito di preservarla dal fresco serale e
quando si era attardato sul collo, ornato da una catenina di oro bianco,
rendendosi conto che non riusciva a guardarla negli occhi, si era accorto che il
ciondolo era sempre quello. E non aveva potuto fare a meno di sorridere
contento, fermandosi qualche istante in più a scrutare quella piccola rosa che
luccicava sul decolleté della ragazza.
"Ti piace?" Le aveva domandato,
finendo di agganciare la collanina al suo collo e posandole un bacio lieve sulla
spalla nuda.
Si era guardata ancora una volta
allo specchio della camera da letto, lisciando con la punta delle dita il
ciondolo "Blaise è... splendida..."
"No. Tu sei splendida..."
Era sceso ad accarezzarle gentilmente i capelli, raccolti in una coda bassa.
L'aveva osservata sollevare gli
occhi, un tantino lucidi, su di lui e non era riuscito a trattenersi, sorridendo
del tenue rossore che le aveva colorato le guance. "Perché una rosa?"
Blaise aveva scosso la testa,
ancora sorridente. "Perché ogni volta che ne vedo una, mi torni alla mente tu...
e il tuo profumo... non posso farne a meno."
Si era sforzato di non annegare in
quei ricordi, vincendo la reticenza ad andare oltre con lo sguardo. Si era dato
mentalmente dello stupido per la reazione esagerata del suo corpo, al solo
soffermarsi con gli occhi sulle sue labbra. Aveva dovuto socchiuderli un attimo
e calmarsi, imporsi quel dannato autocontrollo che in quegli istanti sembrava
essere volato chissà dove. E quando li aveva riaperti, puntandoli nei suoi, si
era giocato la carta respiro ancora una volta. Se non fosse stato così
orgoglioso, così attaccato alla propria dignità e così sicuro di essere
respinto, avrebbe probabilmente avuto abbastanza slancio da avvicinarsi a lei. E
forse non gli sarebbe più bastato starle vicino, ma avrebbe osato di più.
Merlino quanto desiderava poterla stringere tra le braccia, dimenticare quei tre
anni d'inferno, poterle accarezzare il viso, stringere i suoi capelli castani
tra le dita, sciupando quei boccoli perfetti che in quel momento le
incorniciavano il volto e baciarla con quanto fiato aveva in corpo; baciarla
fino a non capire più dove finiva lui e incominciava lei, fino a fondersi in
un'unica sola persona, fino a che nessuno avesse più potuto dividerli. In quel
modo tanto particolare che per lui era sempre valso più di mille "Ti Amo" e che
forse, in fondo, era stata la sua rovina. Quella sua silenziosa maniera di
amarla, aveva reso più facile al colpevole separarli.
E nonostante la sua mente gli
intimasse di girarsi e perlomeno salutarla, si era limitato a chinare il capo e
rialzarlo, in un misero cenno. Lei lo aveva studiato, muta e distaccata come una
bambola di porcellana, le labbra tese in una postura indifferente e poi si era
voltata, decisa ad ignorarlo così come lui l'aveva ignorata.
-Idiota- Si era detto guardandole
le spalle e sentendola scivolare via da lui ancora una volta, l'ennesima di
milioni di volte.
Non c'aveva visto più. Aveva
stretto le mani a pugno e l'aveva seguita di quei pochi passi, bloccandola senza
troppa forza per un polso e dandosi del cretino un attimo dopo, trovandosela di
nuovo faccia a faccia. "Aspetta..."
"...cosa?" La sua voce aspra era
stata come doccia fredda seguita ad un caldo soffocante. Così come i suoi occhi,
di solito verdi e rassicuranti e in quel momento distanti come era certo di non
averli mai visti. "Ciao. Oh sì anche io sto bene, e sì... è un bel po' che non
ci si vede, oh certamente me la passo bene, ovvio, tu invece?........... cos'è
non sai mettere in fila neanche una frase di senso compiuto, ora... Zabini?"
-Zabini... ora ti chiama per
cognome...-
Aveva cancellato pensieri e inutili
distrazioni, lasciandole il polso e abbandonando la mano lungo il fianco. Non
aveva smesso un solo istante di guardarla negli occhi, di cercare un appiglio
che lo spronasse a continuare, anche solo per il puro gusto di sentirla parlare
ancora... ancora... e ancora. Poi aveva scosso la testa, distendendo le labbra
in un sorrisino amaro. "Ciao. Ehi è un bel po' che non ci si vede. Tutto sommato
me la passo bene e tu? E no... no... non sto bene, questo no."
Millicent aveva allargato gli occhi
un istante, forse sorpresa da quella reazione, per poi indossare nuovamente la
sua maschera glaciale. "Non immagini quanto mi dispiace..." Aveva replicato
piatta, con la stessa intensità con cui avrebbe annunciato che sarebbe andata
alla toilette.
"A me dispiace..."
Il tono era stato chiaro e
l'allusione anche. Così tanto che la donna era stata costretta a lasciar cadere
il velo di indifferenza, per assumere una posa risentita o forse colpita, non
avrebbe saputo dire quale delle due. Non con assoluta certezza perlomeno. "Il
dispiacere non cambia le cose..." E ora dove diamine era finita la sua
indisponenza? Possibile che le fosse bastato guardarlo negli occhi per perderla
del tutto?
Blaise aveva scosso il capo con
decisione, non accennando però a tralasciare quella smorfia di amarezza. "Non
cambierà la cose, ma..." Si era zittito e l'aveva guardata. Ma che? Non cambiava
le cose, in questo aveva ragione lei.
Millicent aveva inclinato il capo
da un lato, squadrandolo non troppo curiosa per un po', ma non aveva parlato.
Perché parlare avrebbe significato mostrare interesse per la questione e lei, di
interesse non ne aveva più. O meglio... non ne doveva dimostrare più, altrimenti
avrebbe sofferto e lei era stanca di star male per quella storia. Non ne poteva
più di inseguire una persona che non la voleva, o che se la voleva, non aveva
mai fatto abbastanza per tenerla con sé e per dimostrarle qualcosa.
Alla muta richiesta della donna,
Blaise aveva incrociato le braccia al petto e distolto lo sguardo, puntandolo su
uno dei tappeti che ricoprivano il pavimento del corridoio. "Niente."
L'espressione stizzita era tornata
a farla da padrone immediatamente, sul volto di Millicent. Aveva stretto le mani
a pugno e gli aveva rivolto un'occhiata astiosa, risentita, carica di rancore...
poi così com'era arrivata, se n'era andata. Senza un ciao, senza un "no ora
spieghi", come era solita fare in passato; sapeva che se avesse chiesto
spiegazioni, avrebbe creduto a qualsiasi fandonia fosse uscita dalle labbra di
Blaise e lei questo, non poteva permetterselo.
Perché è così che ti frega la vita.
Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine,
o un odore, o un suono che poi non te li togli più.
E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.
E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri
da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva..
[Castelli di rabbia - A. Baricco]
Erano passati sei giorni da quella
sera. Sei giorni come se non fosse accaduto niente, almeno apparentemente.
Nessuna lettera, nessun tentativo di contatto, ma un grande rimpianto nel cuore
di entrambi. Eran lì, a pochi passi l'uno dall'altra e ancora una volta tutto si
era concluso con un nulla di fatto.
Draco lo aveva rimproverato ancora
una volta. Rimproverato... quasi fosse un bambino... ridicolo. Aveva smesso
qualche minuto prima, quando si era ricordato di un appuntamento di lavoro ed
era stato costretto a dileguarsi via metropolvere, lasciando Blaise ai propri
pensieri.
Un temporale estivo imperversava in
tutta Londra, non risparmiando neppure Zabini Manor, che si trovava molto in
periferia. E il buffo era che lui lo trovava confortante. Mai come in quei
giorni si trovava perfettamente a suo agio di fronte alla finestra, seduto alla
sua poltrona, senza leggere o scrivere nulla che sapeva non avrebbe seguito con
la massima attenzione, ma semplicemente guardando fuori la pioggia che cadeva e
pensando. Gli sarebbe andato in fumo il cervello, aveva ragione Draco, ma lui
non poteva farne a meno.
"Tu devi lasciare Millicent
Bullstrode..." Quel ghigno storto così simile al suo e quegli occhi colmi di
perfidia. No non aveva paura per sé, aveva paura per lei, per ciò che avrebbe
potuto farle se non avesse obbedito. Doveva prima stroncare lui e la sua dannata
carriera di DE e poi, solo poi avrebbe potuto averla completamente e senza alcun
rischio. "Lasciala o ne pagherà le conseguenze..."
"Io non..."
"Sei un dannato codardo Blaise!"
Per tutti i maghi se aveva ragione, ma lei non conosceva la cattiveria di Velius
Zabini, lei non c'aveva convissuto per vent'anni, non poteva neanche immaginare
di cosa era capace. E non poteva non ringraziare il cielo per questo.
Blaise aveva stretto le labbra e
ingoiato il boccone amaro. "Lo so."
"Lo sai?! Lo sai?! Possiamo
combatterla insieme questa guerra! Possiamo vincere insieme... ma separati...
io... Blaise senza di te io non... non sono nulla." Le era costata un'immensa
fatica pronunciare, di nuovo, quelle parole. Ma l'aveva fatto, per lui. Lei
faceva tutto per lui. E lui cos'era capace di fare?
Lasciarla alla prima difficoltà,
al primo accenno di pericolo.
Non aveva potuto replicare
nulla, non era degno di rispondere a una tale prova di amore nei suoi confronti.
L'aveva vista sciogliersi in lacrime e sfoderare uno sguardo pieno di rabbia e
dolore. "Ti detesto Blaise, mi hai sentito? TI DETESTO! E prima o poi imparerò
ad odiarti..." Ed era scappata senza neppure guardare indietro.
Suo padre gli aveva portato via
in un soffio l'unica persona che era stato capace di amare veramente. L'unica in
grado di dargli la certezza che non sarebbe finito come lui, incapace di provare
sentimenti umani.
Erano tre anni che pensava
costantemente alla stessa cosa, un giorno in più o in meno non avrebbe fatto
tutta questa gran differenza.
"Signorino Blaise... Signore..." Si
era corretto l'elfo domestico. Blaise non aveva neppure sentito la porta che si
socchiudeva, prima o poi avrebbe dovuto insegnare al suo elfo che era meglio
bussare, anche quando non era da solo. In fin dei conti lui non era mai solo,
era sempre in compagnia dei suoi pensieri e questa era una più che valida
motivazione.
"Dimmi..."
"C'è una visita per lei...
Signore."
-Draco adesso si fa anche
annunciare- Aveva pensato sarcastico, facendo leva sulle mani per alzarsi dalla
poltrona. Non si era neppure voltato, limitandosi ad avvicinarsi ulteriormente
alla finestra e incrociando le braccia dietro la schiena. "Fallo entrare." Si
stava preparando psicologicamente alla prossima strigliata? No, non ne poteva
davvero più di sentirsi ripetere fino allo sfinimento la storia dei rimpianti e
dei pentimenti. Ma cosa pretendevano da lui?
Aveva udito stavolta la porta
richiudersi e si era deciso a cambiare posizione, assumendone involontariamente
una un po' sulla difensiva. Aveva incrociato le braccia al petto, giocherellando
con la stoffa della camicia leggera e seguitato a osservare la tempesta.
"Ciao."
Era toccato a lei fare la prima
mossa e Merlino solo sapeva quanto tempo era rimasta davanti al portone del
maniero, indecisa se suonare o meno, a lasciarsi bagnare dalla pioggia,
incurante di un possibile raffreddore. Che le importava di buscarsi o meno una
polmonite? Tutto ciò che le interessava veramente e che più temeva era là
dentro. Era disposta a perdonargli tutto, pur di averlo nuovamente per sé. Era
stupido? Era irrazionale? Ebbene l'amore è tutto questo, no? Quindi cosa le
importava ciò che pensavano gli altri, o cosa gridava il suo orgoglio
calpestato? Già troppe volte lo aveva ascoltato, allontanando la sola persona
che era in grado di farla sentire viva...
Blaise si era irrigidito. Aveva
rubato qualche istante al tempo per perdersi in mille elucubrazioni mentali,
prima di voltarsi e accorgersi che non erano abbastanza, che nessuna delle
ipotesi che aveva vagliato poteva spiegare la sua presenza là. Aveva curvato le
labbra in un sorriso agrodolce, vedendola zuppa d'acqua, col candido vestito
verde pastello appiccicato addosso e i lunghi capelli castani ancora
gocciolanti. Era nervosa e non ci voleva che lui per capirlo, dal modo in cui
stringeva il ciondolo nella mano, era così abituato a vederla compiere quel
gesto... ma era realmente così tanto che non si vedevano?
"Sei fradicia."
Millicent era vagamente arrossita
per quello sguardo, un po' troppo penetrante, su di sé, ma non aveva mollato la
presa sulla collana. Si era stretta nelle spalle e aveva abbozzato una smorfia.
"Sì beh... facevo una passeggiata..."
"Qui?"
"Qui."
"Capisco."
Non aveva voluto chiedere oltre.
Era libera di fare tutte le passeggiate che voleva, se ciò fosse servito a
condurla da lui ogni volta. L'avrebbe aiutata a creare quel solco invisibile che
legava le due case, se necessario. Era disposto a tutto.
Si era avvicinato di poco,
prendendo la bacchetta da un mobiletto di legno intarsiato e aveva richiamato un
asciugamano dal piccolo bagno adiacente allo studio. Aveva avuto quasi timore di
fare un altro passo e allungarglielo, poi si era deciso, facendo appello a quel
coraggio che non era di certo tipico della sua vecchia Casa. E quando era stato
ad un passo da lei, quell'inconfondibile profumo di acqua di rose lo aveva
nuovamente avvolto. Gli ci era voluto un po' più di una manciata di secondi per
riprendersi ed aveva aiutato molto anche il leggero colpo di tosse che aveva
avuto lei.
A quel punto era tornato in sé
quasi del tutto e l'aveva guardata come un pittore ammira le sue opere, o uno
scrittore i suoi amati libri, o più semplicemente -com'era solita dire Pansy-
come solo Blaise poteva guardare Millicent. "Posso?"
Millicent c'aveva pensato un attimo
prima di dare quel consenso. Averlo vicino era come tuffarsi in un passato di
ricordi più o meno belli e se non fosse stato per il suo già scarso orgoglio,
quando si trattava di lui, forse l'avrebbe allontanato, intimandogli di starsene
al suo posto. Ma poi le sue mani le avevano sfiorato i capelli bagnati,
alternando quelle morbide carezze al passaggio dell'asciugamano caldo e i suoi
muscoli si erano rilassati all'improvviso, così come il nodo che aveva racchiuso
nel petto da troppo tempo; ed era scoppiata in silenziose lacrime, che aveva
cercato di nascondere abbassando il volto.
Semplicemente, senza che un solo
angolo del suo volto si muovesse,
e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere,
in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con
gli occhi,
come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella
goccia di troppo alla fine li vince
e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre,
e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.
[Castelli di rabbia - A. Baricco]
A Blaise invece era sembrato di
impazzire. I battiti del cuore, i pensieri folli e insensati nella sua mente, il
controllo sulle sue mani... tutto era perduto. C'aveva provato davvero a
controllare il tremito delle dita mentre l'accarezzava, a non lasciarsi andare
alla fantasia, alle sensazioni, ma aveva fallito di nuovo. L'aveva costretta ad
alzare il volto, spingendole due dita sotto al mento e no, davvero non aveva
pensato di poterla trovare in lacrime. A quel punto anche l'asciugamano gli era
caduto di mano ed era stato il panico.
"N-non ci sono riuscita, Blaise..."
Aveva detto Millicent tra i singhiozzi, stringendo ancora nella mano la
catenina. "Non sono riuscita ad odiarti..." Lui non aveva potuto far altro che
rilasciare il fiato in maniera così piena e liberatoria, che gli era parso di
averlo trattenuto per tutti e tre gli anni in cui si erano divisi.
Aveva appoggiato la fronte alla
sua, piegando la schiena di quel tanto che gli concedesse di arrivarci e le
aveva tenuto il volto tra le mani, ignorando le lacrime che continuavano a
scenderle sulle guance, bagnandogli le mani. Solo quando lei aveva riaperto gli
occhi, leggendoci dentro la stessa identica necessità, aveva socchiuso le
palpebre e l'aveva baciata.
Stavolta era toccato a lei perdere
ogni controllo delle proprie azioni. Gli aveva gettato le braccia al collo,
aggrappandosi alle sue spalle e schiudendo le labbra per avere un contatto più
approfondito con lui, con le sue labbra, schiacciandosi contro il suo corpo come
se volesse fondersi in un'unica persona. Non si era lamentata neppure quando
Blaise l'aveva sollevata da terra, continuando a baciarla come se da quel bacio
dipendesse la loro stessa vita.
Aveva mugolato qualcosa,
dispiaciuta, non appena l'aveva lasciata coi piedi al pavimento, staccandosi per
riprendere fiato, ma continuando a sfiorarle la bocca con la propria,
riempiendola di tanti piccoli baci e tenendola ancora stretta a sé. "Blaise...
i-io non ce la faccio... io non riesco a vivere senza di te. E se anche... se
anche ci riesco, poi ti rivedo... e tutto il mondo che mi sono creata mi crolla
addosso come un castello di carte."
Lui le aveva sorriso in risposta,
spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardandola dritta negli
occhi, in un modo così intenso... "Da adesso in poi lo ricostruiremo assieme..."
Millicent aveva semplicemente annuito e gli aveva permesso di baciarla ancora e
ancora, in maniera sempre più bruciante.
Avevano bisogno l'uno dell'altra e
ne avevano bisogno subito. Per questo erano usciti dallo studio ancora intenti a
baciarsi, lei camminando all'indietro e lui cercando di ricordare dove fosse la
sua camera, la loro camera, che da tanto di quel tempo sentiva così vuota.
Solamente quando si erano richiusi
la porta alle spalle, col respiro affannoso per quel bacio che sembra non voler
avere mai fine, Blaise si era bloccato e l'aveva guardata. Si era perso a
contemplarla per qualche minuto, in silenzio, cercando i suoi occhi annebbiati
dalle lacrime e dal desiderio, sfiorando le sue guance arrossate dall'imbarazzo
e le sue labbra, morbide e rosse per i baci. Poi aveva lasciato scivolare le
dita lunghe fin sul collo, a toccare la catenina d'oro chiaro e la pelle dello
sterno, arrestandosi non appena aveva incontrato i piccoli bottoni che
chiudevano il vestito estivo, ma era stato fermato dalle mani della donna, che
aveva preso a slacciarli da sola e aveva avuto l'ardire di farlo guardandolo
negli occhi.
A lui era toccato il compito di
sfilare l'abito e di contenersi quando se l'era ritrovata davanti completamente
vulnerabile, con lo sguardo pieno di aspettativa, le labbra dischiuse, un
leggero tremito di freddo in tutto il corpo e i capelli ancora fradici attaccati
alla pelle, creando un contrasto che ricordava tanto latte e cioccolato.
Da lì in poi e cioè quando le aveva
sorriso dolcemente, prendendola tra le braccia e baciandola quasi con reverenza,
era stato tutto troppo confuso e febbrile per metterne in ordine i pezzi. Le
mani di Blaise sulla sua pelle, le dita di Millicent sulla sua schiena e baci,
tanti piccoli baci su quel corpo di bambola che era sempre stato suo e suo
sarebbe stato per sempre. Il letto li aveva accolti come un conforto e se anche
Millicent aveva effettivamente pianto quando l'aveva sentito entrare in lei e
aveva allungato le mani sulle sue spalle, stringendole e baciandolo per
reprimere un gemito un po' più forte e se in quel momento si era sentita
veramente una stupida bambina, lui non gliel'aveva fatto pesare. Blaise l'aveva
aspettata, confortata e fatta sua con una passione e una dolcezza così forti,
che le era stato impossibile non sentire quel "Ti Amo" silenzioso, bisbigliato a
fior di labbra contro il suo collo; e aveva ricambiato a suo modo,
sussurrandogli tutto ciò che in tre anni non aveva potuto sussurrare e
modellandosi tra le sue braccia come cera.
Avevano perduto il controllo
innumerevoli volte, ritrovandolo poi sulle labbra dell'altro, tra mezzi sorrisi,
parole smozzicate, bisbigli ansanti e gemiti incomprensibili. Si erano persi e
si erano ritrovati l'uno nell'altra, persi in quel calore così a lungo
aspettato.
Nessuno aveva chiesto, nessuno
aveva parlato. Il passato era passato e il presente e il futuro era qualcosa da
cui ricominciare insieme, senza "perché" o "mi dispiace".
L'alba li aveva trovati
abbracciati, nascosti in parte alla vista dalle coperte di raso, con le dita di
Blaise troppo impegnate a pattinare i capelli di Millicent e le labbra ancora
unite in quel bacio che non riuscivano proprio a far cessare. Era stato uno
scambio di promesse, che molti avrebbero trovato banale e smielato.
Per loro era stato confortante;
come rinascere a nuova vita, l'uno negli occhi dell'altra.
La guardò. Ma d'uno sguardo per cui guardare
già è una parola troppo forte.
Sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta.
Qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine- uno sguardo che
non prende ma riceve,
nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe
salvare
- vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del sapere
- sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose
quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire-vedere-sentire-
perché sarebbe nulla di più che un meraviglioso stare davanti, noi e le cose,
e negli occhi ricevere il mondo - ricevere - senza domande,
perfino senza meraviglia - ricevere -solo- ricevere- negli occhi - il mondo.
[Oceano Mare - A. Baricco]
Note dell'autrice: dunque
come avrete visto non me la sono sentita di mettere la parola FINE a questa
storia. Il perché è semplice, fine non ci può essere se dalle ultime frasi si
capisce chiaramente che questo è solo un nuovo inizio e allora che senso ha
mettere un The End, quando la storia proseguirà (ovviamente non descritta,
lascio libero arbitrio alla vostra fantasia). Se vi è sembrato che ci fosse
troppo poco distacco tra l'incontro e il chiarimento, beh è solo perché se mi
fossi messa ad elencare le pare mentali di due giovani innamorati in quell'arco
di tempo, ne sarebbe uscita una long fic (e io ho troppi lavori arretrati per
potermi permettere che ciò accada) quindi spero di essere riuscita a mostrare
l'incertezza, l'angoscia e il bisogno già solo con le loro parole o i loro
gesti.
Come al solito mi pare superfluo
dirvi il perché amo questa coppia, profondamente e continuerò ad amarla...
perché sono il mio Blaise e la mia Millicent... e semplicemente li adoro. Mmm
che altro, ah le frasi sono dei miei due libri preferiti di Alessandro Baricco...
Oceano Mare e Castelli di rabbia.
Un grazie in particolare a Ryta che
mi ha seguita nella stesura di questa fanfiction che, vi assicuro, mi
alleggerito il cuore... ^^
Alla prossima!
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