FF hetalia 1
Loud Quiet
CApitolo 1
Arthur e Alfred erano due persone irrimediabilmente diverse.
Uno, il classico lord inglese
pacato e dai modi aristocratici, l'altro un giovane scapestrato che
come obiettivo dei suoi giorni ha il divertimento.
Eppure, erano cresciuti assieme.
Arthur aveva visto crescere il
piccolo Americano sotto i suoi occhi, da quando non era che uno
scricciolo di pochi centimetri, fino a vedersi superato da un fusto di
quasi due metri di altezza, sempre sorridente.
Alfred era così, solare ed
allegro in tutte le occasioni, pensò Arthur, divertito, mentre
assisteva allo spettacolo teatrale di opera lirica.
Arthur amava il tranquillo teatro, Alfred preferiva il chiassoso cinema.
Arthur amava la tranquilla musica classica. Alfred preferiva la chiassosa musica rock.
Arthur amava andare ad assistere ai
tranquilli spettacoli lirici. Alfred preferiva assistere ai chiassosi
concerti moderni, saltando con un accendino in mano con fischi e urla.
Arthur amava stare tranquillamente
sul proprio letto a leggere un libro. Alfred preferiva saltare
chiassosamente sul letto con l'ipod alle orecchie, urlando a
squarciagola le canzoni, stonato come una campana.
Arthur amava i tranquilli e pacati animaletti dei boschi. Alfred preferiva i chiassosi alieni.
Arthur amava mangiare con forchetta e coltello, tranquillamente.
Alfred preferiva ingozzarsi con le mani, chiassosamente.
Arthur amava vedere tranquillamente
la televisione seduto composto sul suo divano di pelle, possibilmente
con le gambe accavallate. Alfred preferiva stravaccarsi sul divano in
pose improbabili ingozzandosi di patatine, chiassosamente.
In una parola, la loro più
grande differenza era che Arthur era tranquillo ed Alfred chiassoso, ma
condividevano la casa, dal momento che per il biondino l'altro era come
un figlioccio, ormai.
Lo conosceva da troppo tempo...
E durante quelle quattro ore,
Arthur che era comodamente seduto al concerto di lirica, non poteva
certo sapere che l'altro aveva già terminato di fare tutte
quelle cose chiassose che tanto decantava ed amava, e adesso si stava
annoiando, camminando avanti ed indietro per il salone.
I suoi occhi color oceano si posarono per un attimo sul telefono e brillarono di gioia: ecco cosa doveva fare!
Si sarebbe divertito di certo!
Con un sorriso quasi sadico afferrò la cornetta ed iniziò a comporre un numero...
x
«Bellissima voce!» si
complimentò Arthur con la cantante alla fine dello spettacolo, e
quella rispose con un sorriso.
«Grazie! Torna a sentirmi!»
Con un ultimo cenno del capo
l'inglese uscì fuori, i vestiti attillati scossi dal vento
d'autunno e dalle foglie rosse, arancioni e gialle che cadevano dai
ciliegi.
Sospirò chiudendo gli occhi
e stirando le labbra in un sorriso: quanto amava la pace e la
tranquillità dell'aria fresca d'autunno e la natura nel suo
complesso!
Fosse stato per lui, più che
quegli alti ed ingombranti palazzotti dove era costretto a vivere,
avrebbe preferito abitare in un bosco, in compagnia dei suoi amici
folletti ed unicorni.
Fece una smorfia all'impossibilità dell'idea, e con un'alzata di spalle intraprese la tranquilla stradina che l'avrebbe portato a destinazione.
Casa sua non era molto distante, o
meglio, fortuna che il teatro non fosse poco distante, perché
l'avrebbe disturbato l'idea di dover prendere la macchina, la chiassosa ed inquinante macchina, per quei pochi metri.
Ma eccola, la sua piccola villetta
inglese, proprio dietro l'angolo, immersa nella pace e nella
serenità di alcuni ciliegi.
Arrivò al tappetino, si
spolverò le scarpe e poi con un gesto fluido e misurato estrasse
dalla tasca dei pantaloni le chiavi di casa, le inserì nella
toppa, girò producendo uno scatto, e spinse la porta quel poco
che gli bastava per entrare.
«Eccomi!» cantilenò oltrepassando la soglia «Sono torn-Ah!»
Scivolò su qualcosa e finì faccia a terra, già tremante di rabbia.
Quando rialzò gli occhi verdi impallidì: la casa, la sua
casa era un disastro: cose, sì cose perché non
riuscì nemmeno a comprendere cosa fossero, forse cartacce, forse
pezzi di pizza, forse patatine, forse i suoi vestiti, volavano da un
lato all'altro della stanza, il cui pavimento era...irriconoscibile.
Pieno di macchie, di cartacce, di...di unto!
Sporco, disordine, confusione!
Tutto era un casino e Arthur detestava il casino.
«Ma che diavolo...?»
quasi urlò, rimettendosi in piedi. Le pareti erano schizzate di
grasso, vicino alla cucina, la musica era a livelli così alti
che quasi gli dolevano i timpani e a stento riusciva a sentire la sua
stessa voce.
Per non parlare del salone: da lì proveniva il vero macello.
Una dozzina di voci che urlavano sommandosi una all'altra, chiassosamente.
«Questa è sicuramente
opera di...» strascicò sull'orlo dell'isteria, afferrando
con rabbia la maniglia del salone, e spalancando la porta.
Come volevasi dimostrare.
Sul divano, davanti al televisore, erano riuniti tutti quelli che fino al giorno prima avrebbe definito amici.
«...ALFREEEEEEEEEEEEEEEEEEEED!»
Da quella marmaglia si
sollevò una testa biondo cenere, che lo osservò con
l'espressione stupita di un pesce lesso, facendolo infuriare ancora di
più.
«Ohi Art!» lo
salutò allegramente con una manina il tanto odiato coinquilino
«L'ha portata Ivan: Vuoi?» aggiunse allungando verso di lui
una bottiglia di Vodka.
Arthur arrossì, con il
respiro affannoso «NO!» urlò isterico, per poi
sussultare quando qualcuno gli era spuntato improvvisamente davanti,
inchinandosi con fare teatrale.
«Bongiour, Mon Cheari!»
Fransis sorrideva con fare sensuale, una rosa in bocca, facendogli segno con le sopracciglia.
«Mon cherì un corno!» urlò Arthur facendo il suo ingresso nel salone.
Tutte le teste che spuntavano dal divano si voltarono, con esclamazioni di gioia, salutandolo.
Riconobbe Feliciano, come al solito
con gli occhi chiusi (ma li apre mai questo qui?! O.ò
n.d.Art) e l'aria da svampito, che teneva una pizza in mano e che, nel
tentativo di raggiungerlo, era inciampato a terra, scoppiando poi a
ridere.
Ivan, sull'orlo del divano, a
scolarsi il contenuto della decima (forse ventesima) bottiglia di
Vodka, lanciando sospiri di piacere ogni volta che ne terminava una.
Accanto a lui Roderich, intento a
litigare con Vash per una coca cola, poi Ludwig, infastidito, che
tentava di far rialzare Feliciano, affiancato da un imbarazzato Kiku
Honda.
Wang Yao cantava una canzone stordendo tutti, mentre Gilbert tentava di zittirlo serrandogli la bocca.
Matthew, naturalmente, era isolato in un angolino, tentava di parlare ma nessuno gli dava ascolto.
Antonio e Lovino discutevano della partita di calcio sullo schermo, e Heracles accarezzava un gatto.
Hey un momento, ma Arthur era sicuro di non avere mai avuto un gatto!
«MA CHE STA SUCCEDENDO QUI?!»
«Ho organizzato una...»
Alfred singhiozzò producendo delle bolle «Feeeesta!»
concluse con la voce strascicata di un ubriaco.
Arthur avanzò deciso e gli
strappò di mano la bottiglia incriminata, puntando gli occhi
irritati in direzione dell'americano.
«Alfred F. Jones!»
Essere chiamato col nome completo
non era mai un buon segno e Arthur se ne serviva tutte le volte che
desiderava l'attenzione del casinista.
«Cosa hai da dire in tua difesa?»
Il moro tentò di parlare ma
quando aprì la bocca gli uscì un sonoro rutto che fece
calare il silenzio per il salone.
Poi gli altri, uno più
ubriaco dell'altro, scoppiarono a ridere contemporaneamente sotto lo
sguardo omicida di Arthur che osservava il castano con un misto di
noia, esasperazione e disgusto.
«Accidenti, Al!» imprecò, restituendogli la bottiglia con un gesto violento.
«Vi voglio tutti fuo-»
«Mon Cherì non gradiresti dei deliziosi cereali cheerios? Li ho preparati io stesso!»
«Ma va al diavolo,
Francis!» biascicò spingendoselo via: era assurdo come
quel ragazzo avesse la capacità di sparire e riapparire
all'improvvisamente davanti alla gente.
Sbuffò contrariato al pensiero e si diresse verso la porta, perdendo ormai ogni speranza.
Ma proprio quando l'aveva quasi
raggiunta Ivan, con una luce folle negli occhi, si mise davanti alla
porta, una mano stretta attorno al beccuccio di una bottiglia di Vodka
alla fragola.
«Vade retro» recitò Ivan attorniato da una nebbia scura.
Arthur sbiancò, terrorizzato: quel ragazzo era davvero strano.
Aveva l'aspetto del gigante buono,
sempre affettuoso e gentile, eppure ogni tanto aveva degli strani
attacchi di...l'avrebbe definita pazzia.
«O-ok» balbettò
cominciando ad indietreggiare, fino a scontrarsi con Gilbert, ancora
intento a zittire il cinese.
Il re della Prussia si voltò
verso di lui con uno sguardo omicida e tentò di picchiarlo,
così Art con un urlo spaventato corse via dalle sue grinfie.
«Accidenti!» imprecò guardandosi intorno «Ma siete tutti ubriachi, dannazione!»
«Non è vero...» disse una vocina debole, da un angolino, ma non venne ascoltata.
«Nùn tuttì, mon
cheeeerì!» esclamò con un forte accento francese
Fransis, prendendogli tra le mani la giacca.
«Manchi tu!» esordì con quell'aria folle Ivan, prima di scoppiare in una risata malvagia.
Arthur deglutì, iniziando a sudare freddo, mentre il russo si avvicinava verso di lui, armato di...vodka.
«Noooooo! Nooooo, non
voglio!» iniziò a lamentarsi come un bambino, mentre
sempre provvisto di ampio sorriso Ivan avanzava, fino a spingergli la
bottiglia fino alle labbra, quel poco che gli bastava per bagnargli la
bocca.
«Nooo-kolkolkol-ooo» concluse dopo aver ingoiato l'ultimo sorso, singhiozzando.
«Uffa, ma non è giusto!» continuò cercando di divincolarsi dalla stretta.
Qualche ora, o forse minuto, o
forse secondo dopo -non riusciva a capacitarsi del tempo che scorreva,
ormai non c'era nemmeno più il giorno o la notte- Arthur, con
quel poco di lucidità rimastagli -ormai anche lui era
praticamente andato- scandagliò con occhio critico le condizioni
del salone e dello status mentale dei suoi amici con la a minuscola.
Ormai Gilbert si era accodato al
cinese, cantando in una lingua sconosciuta parole insensate, e stonati
com'erano, avrebbero distrutto il vetro della finestra.
Ivan con tutta la birra che aveva
in corpo si era addormentato in un angolino insieme a Matthew, e nel
sonno gli chiedeva chi fosse, mentre il povero canadese si perdeva in
spiegazioni che l'altro non stava nemmeno a sentire.
Il greco si era messo ad
accarezzare il giapponese scambiandolo per un gatto e quello dal suo
canto miagolava e produceva strani suoni simili alle fusa.
Arthur lo guardò
scandalizzato, per poi passare oltre: Lovino e Antonio erano
avvinghiati sul divano a...fare ben altro che parlare, mentre Roderich
e Bash avevano intrapreso una gara di rutti, cosa che schifò il
londinese non poco.
Infine, nell'altro divano, Ludwig,
l'impassibile tedesco, fissava con gli occhi allucinati per l'alcol ed
un sorriso ebete sulla faccia Feliciano che urlava "Pastaaa" sulle
ginocchia di...Nonno Roma?!...che gli cantava il ballo del qua-qua.
Il biondo batté le palpebre per assicurarsi di non aver sognato...
Il ballo del qua-qua?! Ma era finito in manicomio?!
Mancava però qualcuno e....
Aspetta, ma poi chi lo aveva invitato il nonno di Feliciano e Lovino?
Da dove era sbucato?!
Come era entrato in casa sua?!
Fu interrotto da una mano pallida che gli impedì la visuale poggiandoglisi sulle palpebre.
«Ma cosa...?»
«Chi sooono?»
«Un idiota con l'accento francese, che io odio.»
«Odi l'accento o me?»
«Entrambi.»
Fransis scoppiò a ridere, voltandolo ed afferrandogli il colletto della giacca «Comunque hai indovinato!»
«Era logico!» rispose vantandosi Arthur, mentre Fransis gli faceva una pernacchia e gli rideva in faccia.
«Che sc'è?»
«Per te è tutto logico, mon cherì?»
«Tutto tranne la stua
escistenza, mon scherry» gli rispose sarcastico accorgendosi che
l'alcol iniziava a farsi sentire.
«Beh qui si stanno divertendo tutti, cherì, tranne noi due...»
«Hey ora che sci penscio! Prima guardando la sgiente ho visto che mancava una persciona...»
Bene. Iniziava a parlare con fare strascicato, era preoccupante!
«Ero io!» gli soffiò sulle labbra il francese, per poi sorridergli con sensualità.
«Oh» fece Arthur stupendosi di aver dimenticato di cosa stava parlando fino a poco prima.
«Ti va di fare qualcosa di illogico, per una volta?»
Il biondino fece una smorfia senza capire «Che inten-»
Fu interrotto dalle labbra di
quello, che si poggiarono avidamente sulle sue, baciandolo con
così foga da lasciarlo senza fiato.
«Scei passo?» chiese singhiozzando per l'alcool. Accidenti, stava messo proprio male!
«Sì, mon amour, di te!» con un salto gli fu di nuovo addosso, spingendolo contro il muro.
«Scei un bbbaka!» strascicò Arthur iniziando a traballare «Sci scitanno vedendo tutti!»
Fransis sorrise e presolo per la
cravatta, se lo tirò fino alla prima porta che trovò, per
poi spingerlo dentro con uno sguardo eccitato «Adesso nessuno ci
disturberà, e ti insegnerò qualcosa di illogico!»
«Ah sci? Tipo la sgeometria?»
«Più che la geometria...la fisica» gli rispose con fare sarcastico, facendo per chiudere la porta «Molto fisica.»
Con una risatina richiuse la porta, isolandosi dal resto della festa...
Ma voi vi starete chiedendo: dove accidenti è finito Alfred?
Il nostro caro americano aveva
saggiamente -o forse in preda ai fumi dell'alcol- pensato di salire sul
soffitto e puntare una torcia verso il cielo, in una fantomatica
imitazione della statua della libertà.
Il motivo a noi non è pervenuto, mi spiace, ma conoscendolo, sarà insensato come questa fan fiction.
x.X.x
Questa
storia nasce principalmente come una long, ma dal momento che questo
capitolo potrebbe rappresentare da solo la fan fiction, vi chiedo
umilmente di recensire per farmi sapere se la storia piace, se vale la
pena continuarla o se forse è meglio terminarla così
com'è. In caso, quando avrò scritto tutti gli altri
capitoli, la continuerò, per ora la inserisco come one-shot
completa. Spero a presto!!! =)
Che dirvi, se non...
Pastaaaaaaaaaa!
=D
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