Note:
I personaggi citati nella storia non appartengono a me, ma alla
scrittrice inglese J.K. Rowling, che ha inventato la saga di Harry
Potter. I fatti narrati in questa one-shot fanno parte del primo
libro della saga, ci sono alcuni dettagli contenuti del Settimo
Libro, e un amore non certificato (quello tra due uomini). Sensazioni
e svolgimenti dei fatti, per lo più, sono una mia
interpretazione, e un mio modo di spiegare quello che accadde la
notte del Trentun Ottobre 1981. Buona lettura.
[Si
consiglia, per la lettura della storia, “How it ends” e
“The Winner Is” del compositore Devotchka, entrambi i
brani fanno parte della colonna sonora del film del 2006 “Little
Miss Sunshine”].
Ringrazio
in anticipo tutti quelli che apriranno questa pagina per poi
richiuderla, che si soffermeranno a leggere le prime righe e in
particolare a quelli che la leggeranno fino all'ultima sillaba.
Grazie.
Per
ricordare l'amore
[Prompt
#23 - Famiglia]
Una
qualunque serata di Halloween in una tranquilla comunità
Inglese. Villette dolcemente circondate da giardini curati, fiori
d'ogni specie, rampicanti che coprivano delicatamente, e senza
mostrarsi eccessivamente feroci, i bianchi muri delle case pitturati
di fresco.
In
uno dei tanti camini, esattamente alle dieci e trenta, scomparvero in
un vampata di fuoco verde due ragazzi di appena vent'anni, due tra
gli ultimi diplomati a Hogwarts, una scuola in cui, da secoli,
s'insegnava a governare la Magia e scoprirne i più reconditi
segreti.
Erano
arrivati, assieme al loro amico – nonché padrone di casa
– alle diciotto e quaranta, posando le loro giacche sugli
appendiabiti, salutando affettuosamente Lily, coniuge di James, e il
loro piccolo Harry James, un pargolo di un anno adorabilmente vispo e
allegro. Spesso, per prenderla in giro, James diceva a Lily che per
fortuna Harry non aveva ereditato la violenza della madre, con
l'appoggio di Sirius, sempre pronto a scherzare.
Lily
aveva preparato una tipica cena d'Halloween, con tacchino ripieno,
mele caramellate come dessert e una montagna di porridge
ai frutti di boschi dal colorito molto pittorescamente sanguinolento.
Il pasto era stato servito al lume di candela, con i vagiti del
piccolo che rideva alla vista del Padrino – Sirius – che
si trasfigurava i denti in canini per assomigliare a un Vampiro, tra
i sorrisi tramutati subito in espressioni di sdegno di Remus che,
comunque, non riusciva a non divertirsi.
Avevano
commentato gli stravolgimenti del mondo magico, la fatica che si
respirava all'interno dell'Ufficio degli Auror, le preoccupazioni
celate di Dumbledore e degli altri componenti dell'“Ordine
della Fenice”. I più credevano che non ci sarebbe stato
modo di risolvere la piaga “Voldemort”: sarebbe riuscito
ad entrare, nel modo infido e subdolo che usava e che era
particolarmente suo, in ogni fibra del tessuto sociale,
corrompendolo e corrodendolo. Tutti sarebbero stati alleati di
Voldemort; e già in quel periodo buio, in cui si aveva la
parvenza di respirare una sorta di arietta vispa e fuggiasca di
libertà, c'erano dubbi sui propri amici o, addirittura,
familiari. Non c'erano sicurezze.
Sirius,
stranamente, non aveva cercato – sin dall'inizio, almeno –
di buttarla sul ridere, esponendo la sua opinione: secondo lui, tutto
si sarebbe risolto per il meglio, avrebbero combattuto anche fino
alla morte, se fosse stato necessario.
“...spesso
mi viene da pensare che sarebbe sbagliato morire per Voldemort,
perché sempre ci sarà qualcuno che tenterà di
prendere il potere in modo illecito e per scopi sbagliati; ma
poi mi rispondo che se vogliamo che ci sia un futuro” E guardò
intensamente il suo figlioccio che, ignaro, sbatteva contro il
ripiano del seggiolone una pallina di gomma “dobbiamo
combattere queste persone, perché non diventino la regola,
anziché l'eccezione. Gli onesti esistono, sono quelli che non
hanno tradito l'Ordine, sono quelli che sono morti per il bene del
Mondo, anche per l'universo babbano”.
Gli
altri tre adulti, rincuorati da quelle parole, sorrisero e si
servirono dell'altro porridge. Per
qualche ora potevano anche semplicemente godersi una tranquilla e
gioiosa atmosfera familiare. Perché di quello si trattava:
James, Lily, Remus, Sirius, Peter e, ora che era nato, Harry, non
erano altro che un'unita e affettuosa famiglia. In quell'ansia che
trapelava dall'umore generale c'era bisogno di rimanere uniti, di non
separarsi e soprattutto di non mentire. Proprio per quel motivo,
sotto lo sguardo indagatore di Remus, Sirius si sentiva un verme. Era
quasi certo di potersi fidare di Remus, non poteva essere lui la
talpa. Ma avrebbe mai messo a repentaglio la vita del suo migliore
amico per... qualcosa che non aveva mai saputo definire? E la
vita di qualcuno in generale, d'altronde. Era sempre stato così
Sirius, estremamente altruista nei suoi modi affettuosamente
oggettivi. Si rendeva conto che, probabilmente, se Remus fosse stato
in pericolo, e fosse stato certo che non si trattava d'altro che d'un
traditore, lo stesso lo avrebbe salvato. Perché erano legati
in un modo particolare e tutto loro.
Cercava
di mascherare questo suo imbarazzo evitando – ed era ben chiaro
agli occhi dell'altro – lo sguardo di Remus, che ad Hogwarts,
sin dal secondo anno, aveva afferrato ben chiaramente la gamma di
significati velati dei comportamenti di Black, Potter, Pettigrew e
perfino della Evans – che era una donna. “Non è
niente di che”, si diceva. Ma non poteva evitare di percepire
il suo sesto senso che gli diceva che qualcosa in tutto quello
non andava.
Dopo
i dolciumi, i compagni si stravaccarono sul divano, di fronte a
qualche bottiglia di Burrobirra e delle pinte di Whisky Incendiario.
Harry faceva la spola tra le gambe di tutti gli affascinati presenti,
gattonando da un lato all'altro del tappeto, ascoltando – e non
comprendendone che qualche nome – i discorsi degli adulti.
Ad
un tratto il signor Potter chiese agli altri se avessero idea di dove
fosse Peter, afferrando finalmente cosa non andasse nel numero degli
invitati.
“Non
ne ho idea, a dire il vero” si picchiettò il mento
pensieroso Remus “è da un paio di giorni che si comporta
in modo strano, come se avesse qualcosa da nascondere”.
“Probabilmente
avrà trovato una bella gattina che gli starà dando la
caccia”. Non poterono evitare di sorridere alla battuta del
Black, dissimulando – anche se soltanto un po' –
l'apprensione per Peter.
“Spero
soltanto che non gli sia accaduto nulla di male o che stia evitando
di rivelarci qualche suo dubbio o preoccupazione per non appesantirci
ancora di più... è così premuroso con noi!”.
James
le massaggiò la spalla dolcemente, ripetendosi per l'ennesima
volta quanto fosse stato fortunato a trovare una donna come Lily.
Dopo
il quarto bicchiere di Whisky, però, Sirius aveva abbandonato
la sua propensione verso la serietà, e aveva cominciato a
blaterare battute sconce e apprezzamenti per la sorella di Lily,
Petunia.
“Oh,
Dio, Sirius” sghignazzò il signor Potter, ricevendo una
gomitata dalla consorte. Trasformò subito la risata in un
colpo di tosse improvviso “sei uno sconcio uomo di mal affarre,
stai parlando di mia cognata!”.
“Ma
ha delle gambe davvero... hmm-!” Continuò,
imperterrito, tra le varie smorfie di Remus, che era in evidente
stato d'attesa per il momento decisivo in cui il canide sarebbe
crollato e l'avrebbe trasportato di peso nel suo appartamento, per
farlo zittire – finalmente.
“Questo
povero bambino è destinato ad essere il degno successore dei
Malandrini”. Sospirò, affranta, la Evans. “Ed io
che speravo in una brillante carriera di Prefetto, Caposcuola e
Ministro della Magia”.
“...e
Re del Mondo no?”.
“Remus,
credo proprio che tu debba portare a casa Paddy”. James era
costretto a mordersi un dito per non incominciare a ridere.
Come
Potter aveva consigliato, Remus prese sottobraccio Sirius – che
aveva cominciato ad intonare canzoni orrende su streghe affascinanti
in paludi di mutandine – che costrinse tutti a lasciarlo
stordire il piccolo James – già mezzo addormentato sulla
spalla del padre – con il tanfo dell'alcol, dandogli un bacio
delicatissimo – Lily lo trovò estremamente affettuoso –
sulla guancia.
Dopo
di ché si affrettarono ad abbracciarsi e non divagare troppo,
augurandosi un ultimo buon Halloween. Poi una vampata di fuoco verde
seguì la scomparsa di Remus e Sirius.
“Quei
due sono dei tipi...”. Abbozzò James, alle
ventitré e quindici di quella stessa sera, mentre lui e la
moglie sistemavano magicamente la confusione creatasi a seguito della
cena. Avevano già rimboccato le coperte ad Harry, e tra botte
di sonnolenza non attendevano altro che trascinarsi fino in camera da
letto e addormentarsi.
“Già,
ma sono degli amici stupendi”. Un bicchiere nella credenza,
l'altro nel lavandino, un canovaccio asciugava qualche piatto dopo
che era stato lavato. Sul volto della donna comparve un frammento di
dolore – di un dolore non ancora superato, e che per l'animo
sensibile di Lily sarebbe sempre stato complicato nascondere o
abbandonare – che la donna si costrinse a mascherare in pochi
attimi. Ma James lo percepì. Immaginava quanto dovesse essere
difficile per la moglie dimenticare l'amicizia di Snape, doveva
soffrire anche per il modo in cui i loro rapporti si erano interrotti
– sicuramente si penava tremendamente per la strada che aveva
intrapreso Severus, e si incolpava perché non era stata in
grado di mostrargli il lato meraviglioso della vita.
Le
si avvicinò, mentre si sistemava una ciocca di capelli dietro
le orecchie. “Lily... io so quant'era importante per te
Severus”.
“James,
non-”.
“No,
ascoltami. Io spero davvero – e non per lui, ma per te
– che non perda la vita cercando di perorare questa assurda e
folle causa. Ma se sopravvivrà, credimi, si pentirà di
tutto questo. Vi perdonerete l'un l'altro, e tornerete amici. E
sappi, Lily, che io non ti ostacolerò. Sai perché dico
questo? Se tu gli vuoi bene, qualcosa di non marcio dentro di lui
deve esserci. E se c'è, prevalerà dopo che avrà
compreso l'importanza della vita”.
Lily
preferì dare la colpa delle lacrime agli ormoni, mentre si
stringeva al marito. Ah, se avesse continuato a pensare che era
soltanto un emerito imbecille, quanto avrebbe perso!
Si
baciarono le labbra affettuosamente, strofinandosi le punte dei nasi.
“Ma
seconto te, è possibile che Remus e Sirius abbiano una
storia?”. Al che la rossa non poté fare a meno di
scoppiare a ridere: quell'argomento non c'entrava nulla, ed era
evidentemente posto a risollevare gli umori, ma...
Nei
seguenti secondi avvennero una sequenza impressionante di
avvenimenti, che James era sicuro non avrebbero mai potuto accadere
in così poco tempo.
Tanto
per cominciare, furono risvegliati dalla loro beatitudine da un
leggerissimo crack. Qualcuno aveva calpestato una foglia.
James,
immediatamente, spinse Lily via, e guardò atrocemente la rampa
di scale; Lily si mise una mano davanti alla bocca, mandò un
bacio al marito e corse verso il piccolo Harry.
Il
tutto in meno di dieci secondi.
Nei
pensieri dei due coniugi un flusso incoerenti di pensieri: Harry, la
loro famiglia, Harry, i loro vent'anni, Sirius, Remus, Peter... Peter
non c'era quella sera, divorato dai sensi di colpa? Oppure tremante
dall'emozione di felicità nell'aver tradito i Potter?
(Ciò
che Sirius nascondeva a Remus, infatti, era proprio che il Custode
Segreto non era lui, ma Peter, e soltanto lui poteva aver
rivelato il segreto a Voldemort).
“James
Potter, sei un idiota”. Si disse, e non per essersi fidato di
Peter, ma perché fu convinto, fino a che la porta non si aprì,
che potesse trattarsi di Peter, che si trovava lì fuori e che
era venuto ad augurar loro un “Buon Halloween”. “Sì,
deve essere così” Proseguì James.
Uno
scatto della porta segnalò che qualcuno era riuscito a
superare le difese della villa di Godric's Hollow. “Magari
Peter ha dimenticato di bussare”.
Ma
l'uscio si spalancò, mostrando la figura di un serpente dal
corpo d'uomo. Pallido come la luna, iridi di un rosso carminio,
dolorosamente brillanti – ma non di un sentimento che potesse
essere bollato come umano – fori neri e profondi: le sue
narici. Voldemort era di fronte a lui.
“Dov'è
il bambino?”. Domandò: una voce fredda, quasi metallica;
non c'era vita in quel suono, ecco tutto ciò che riusciva a
percepire James Potter. James Potter il Malandrino. ...la sensazione
di pericolo che incombeva su sua moglie, SUA MOGLIE!, e suo figlio,
il PICCOLO Harry, di poco più che un anno... non avrebbe
davvero ucciso suo figlio, no. Era sicuramente tutto uno
scherzo, Sirius si sarebbe tolto la maschera e da dietro la pianta di
oleandri in giardino sarebbero spuntati Remus e Peter.
“Dovrai
passare sul mio cadavere-”.
Non
fu una bella morte, non fu una morte con il rispetto che avrebbe
meritato James. L' “Avada Kedavra”, d'altronde, non era
neanche lontanamente una magia leale. Non c'era tempo di
contrattaccare, non c'era tempo neanche per dire addio. Era steso sul
pavimento dell'ingresso; quante volte lo aveva attraversato? Quante
volte si era immaginato suo figlio che si infilava una giacca proprio
lì, in quell'esatto punto, e usciva per incontrarsi con i suoi
amici? Aveva portato in braccio Lily, vestita candidamente da sposa;
e otto mesi prima che nascesse Harry, gli era saltata in braccio,
felicissima, annunciandogli di essere incinta.
Ora
quel punto era morte. Morte. James Potter, quello che si scompigliava
i capelli per essere adulato dalle ragazze e in particolare da Lily
Evans, afferrava sempre il Boccino d'Oro su una scopa di legno, una
scopa veloce che faceva impazzire i cuori di uno stormo di ragazze di
Grifondoro, il migliore amico di Sirius Black, il “Prongs”
della compagnia dei Marauders. Giaceva. Giaceva nel peggiore dei
sensi, senza neanche più un briciolo di qualcosa. Vuoto,
nulla. Morte... che non lascia niente, anche quando prima
c'era tutto.
Sirius
Black aveva confessato, sin da quando avevano messo piede fuori dalla
casa dei Potter, che non era realmente ubriaco, e che voleva soltanto
dare la possibilità a quei due di rilassarsi insieme, senza
Malandrini tra i piedi. Remus era scoppiato a ridere, e insieme si
erano materializzati su una delle colline più alte nei
dintorni di Godric's Hollow, per ammirare il panorama della città
silente, immersa nella neve, e le rare luci ancora accese nelle case.
Stavano
stravaccati in quel modo così comodo, e felice, e spensierato.
Non sembrava proprio che una guerra fosse in corso, che alle loro
spalle ci fossero un numero incredibilmente infelice di morti; eppure
avevano appena ventuno anni, usciti da poco dalla scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, e già facevano parte di
un'associazione segreta per combattere il più potente mago
Oscuro della storia.
Non
ricordarono, in seguito, molto delle parole che si dissero quella
sera. Ma il senso d'ansia di Remus era così palpabile,
nonostante volesse sentirsi a tutti i costi rilassato – come
era lecito, giusto, e doveroso – che respiravano affannosamente
di tanto in tanto. Si scambiavano occhiate di sottecchi, e
sospiravano profondamente. Fin quando, per un puro caso del destino,
le loro dita non si urtarono tra l'erba umida.
“Beh,
io devo proprio andare”. Borbottò scosso Remus,
alzandosi e preparandosi a fuggire lontano da quel luogo.
“D'accordo...
penso che andrò a casa di Peter, ora”.
“...
forse... forse è una buona idea”.
Sirius
però gli strinse la mano, era calda nonostante l'aria
estremamente fresca; era calda. “Ci vediamo, Remus”.
“Ci
vediamo, Sirius”.
Era
una promessa, più che un saluto.
Alle
ventitré e un quarto, la collina fu deserta.
In
casa di Peter, Sirius non trovò assolutamente nulla. Le
cianfrusaglie dell'amico, come sempre, erano sparse ovunque. Più
cartacce e bottiglie che libri e pergamene – come invece si
presentava la dimora pressoché sempre ordinata di Remus.
C'era
un odore stantio, in quell'appartamento era evidente che non ci
entrasse essere umano da almeno tre o quattro giorni, per non parlare
della lunga colonia di formiche che si muovevano più
velocemente che potevano verso dei piatti di porcellana grezza con
dei resti di una cena molto veloce sul pavimento. Un paio di sacchi
della spazzatura erano dimenticati accanto agli stipiti del piccolo
balcone, puzzavano come se vi fossero stati ammassati dei cadaveri di
animali morti.
“Per
Merlino! Ma cosa diavolo fa Peter nel tempo libero?”.
Eppure
Sirius, non appena si era reso conto che Peter mancava da casa da un
po', non poté fare a meno di sentirsi agitato, turbato. C'era
qualcosa che non andava. Perché era sparito? Dove era andato?
Indagò
per altri dieci minuti, cercando qualcosa che gli facesse intuire la
destinazione, o quantomeno il motivo, dell'assenza di Peter. In
quella casa c'era tutto, eppure niente che servisse. Sul tavolo della
cucina un'ulteriore lettera di un presunto datore di lavoro che
informava Peter di aver valutato il suo curriculum ma che era
spiacente di informarlo di non avere i requisiti adatti per essere
assunto al suo studio.
“Povero
Peter...”. Pensò Sirius.
Le
lancette segnarono le ventitré e cinquanta, Sirius si sentì
in dovere di informare i coniugi Potter. D'altronde, James aveva
sempre vicino lo specchio che permetteva loro di comunicare. Sperava
che non l'avesse lasciato sul comodino come due settimane prima,
quando si erano messi in comunicazione e aveva trovato Lily mezza
nuda.
Tirò
fuori l'aggeggio e chiamò James. Provò per due minuti a
bassa voce. “Testone”, bofonchiò, prima di
iniziare a urlare il nome del migliore amico. “L'avrà
dimenticato in bagno”.
Voldemort
era di fronte a lei. Suo marito giaceva al piano di sotto, senza
vita. Alle sue spalle suo figlio, che guardava la scena incuriosito,
senza comprendere nulla di tutta quella confusione, l'ingiustizia, la
perdita di suo padre a cui assomigliava così tanto...
“Mezzosangue,
spostati e sarai risparmiata”.
Avrebbe
potuto, avrebbe potuto davvero lasciare la via libera verso la culla.
Ma cosa sarebbe accaduto? Sarebbe sopravvissuta a James, a Harry.
Alla sua stessa morte. La sua famiglia sarebbe stata interamente
sterminata. Lei sola, sola, sola più che mai, avrebbe
avuto la possibilità di portare avanti quella casa
disgustosamente familiare.
A
quale scopo? Anche soltanto la vita senza James era inutile e priva
di forza.
Così
fece l'unico atto sensato, “la migliore azione della mia
vita”. Non aveva neanche idea di quanto stesse realmente
regalando.
Lily
Evans era una bella donna, aveva un gran cuore. Perdendo la vita per
salvare suo figlio (qualcosa le diceva che se non l'avesse fatto
sarebbe stato inutile definirsi un essere umano) non immaginava
quanto avrebbe donato al mondo. Colpita dalla stessa luce
verde, dalla stessa impossibilità di difendere, di difendersi.
Tutto
ciò che vide furono il volto di suo figlio, di suo marito e di
Severus, pregando che almeno lui si salvasse.
In
realtà, da quel Trentun Ottobre quella di Severus non fu più
possibile definirla una vita. Morta Lily Evans, seppellita, era stato
sotterrato anche lui. Per quanto quella parvenza di indifferenza e
quiete nascondesse, sin dalla nascita, un rancore e un odio che non
potevano far parte di una reale esistenza. Riscoprì cosa
voleva dire vivere soltanto quando, nel millenovecentonovantuno,
rivide una parte piccola – eppure tanto importante – di
Lily Evans che si aggirava, smarrita, tra i corridoi di Hogwarts.
Così,
anche il corpo della Evans era sul pavimento. Voldemort lo scansò
violentemente, e si avvicinò, saturo di piacere e di gioia
putrida e malevola – come lo è quella delle anime
corrotte – alla culla del piccolo Harry, che, spaventato,
mostrava due occhioni colmi di lacrime che presto sarebbero
traboccate.
Il
miracolo era proprio lì. Tutti pensavano che i Potter si
sarebbero salvati, erano dei maghi in gamba, brillanti, delle
bravissime persone. Perché qualcuno avrebbe dovuto volerli
tradire?
Sia
James che Lily perirono quella notte. È la triste storia.
Perirono con il loro corpo, in frantumi sotto il tetto della casa che
aveva ospitato in modo così egregio la loro vita.
Vedete,
Voldemort tentò di uccidere Harry. Tentò... ma
non ci riuscì. L'amore che la madre aveva provato, l'amore che
aveva di gran lunga preferito vedere morire lei che suo
figlio, aveva creato una sorta di barriera protettiva che avrebbe
salvato Harry fino alla maggiore età da Voldemort.
Una
maledizione Avada Kedavra che rimbalzò contro la fronte di
Harry, lasciando una cicatrice a forma di saetta sulla sua pelle
lisca; e, come una parte dello spirito del Mago Oscuro entrò
nel corpicino inerme del piccolo, così tutto l'affetto e
l'esistenza di Lily e James si riversarono nella sua anima e nel suo
cuore.
Sirius
arrivò di fronte alla villa di Godric's Hollow.
Fino
a quel momento aveva bestemmiato contro il suo amico, che continuava
a non rispondere.
Di
fronte a lui soltanto una casa vuota, una porta spalancata, e il
braccio di un uomo, bianchissimo, pallido. Poco più in là
c'era Rubeus Hagrid, stringeva tra le braccia il pargolo dei Potter,
che piangeva fortissimo, disperatamente. Tanto da stringere il cuore.
“C-cosa
è successo?” Domandò. In realtà non voleva
saperlo, ma doveva.
“Voldemort...
li ha uccisi... ed è sparito. È stato sconfitto”.
“Ha
ucciso CHI?”.
Hagrid
abbassò la grossa faccia, gli occhi lampeggiavano alla fioca
luce della luna: stava piangendo. Sirius si irrigidì
completamente.
“Se
solo quello stupido avesse tenuto lo specchio vicino a sé, io-
io avrei potuto...”.
“...saresti
morto anche tu” gli fece notare, poco convinto, Hagrid.
“SAREBBE
STATO SICURAMENTE MEGLIO DI QUESTO!”. Urlò,
indicando la casa, e un po' se stesso, ma anche il bambino che non
aveva più dei genitori. “Io avrei potuto... ce l'avrei
fatta, l'avremmo sconfitto... è un essere umano, dopotutto,
no? Non può vivere per sempre”.
“Sirius...”.
“PERCHÉ
DUMBLEDORE HA PERMESSO TUTTO QUESTO?!”.
Una
goccia salata scese lungo la guancia di Sirius. Erano soltanto due
ragazzi. Giacevano dentro una casa già piena di fantasmi. Come
tutto poteva finire in così poco tempo? Come, soltanto a
mezzanotte e venti minuti, tutto era passato, andato via, scomparso?
James,
perché mi hai fatto questo?
Ma
non ebbe risposta, se non un dolore al petto: erano morti. Per
sempre.
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