… sogno un mondo blu scuro e
lacrime di sangue nero… apro gli occhi e c’è solo buio
intorno a me… non è ancora ora… ricado nel mio mondo onirico…
… sogno un mondo blu scuro e
squarci di fredda luce bianca… luce che ferisce, che
strappa un uomo dal dolce balsamo dell’oblio… sarà l’ora? Apro gli occhi, e
vedo effettivamente una luce confusa che illumina la mia stanza. Non riesco a
focalizzare, qualcosa mi appanna la vista: sbatto le palpebre
ma non va via, è come se vivessi in un manto di nebbia… allora mi arrendo
al buio e abbasso le palpebre… non dura molto: poco dopo qualcosa ancora mi
colpisce e mi sveglia. Apro gli occhi di botto con uno spasmo e un sussulto, un
dolore atroce allo stomaco, tossisco e gemo, mi
rattrappisco e rimango fermo a soffrire per alcuni minuti, poi il dolore se ne
va, come al solito, allora mi rovescio pancia in su e rimango a fissare il
soffitto, maledicendo la mia vita… e, puntuale come sempre, il mio tormento
perenne mi assale, occupa totalmente il mio cervello malato corrompendo come un
tarlo ognuno dei pochi neuroni rimasti, esiliando ogni altro pensiero… e
ricordo come, un tempo, c’era qualcuno di fianco a me al mio risveglio, e ogni
altra cosa non aveva più senso, i dolori svanivano, la rabbia veniva attenuata,
questo desiderio di distruzione verso il mondo intero svaniva seppur per poco,
tutta la mia mente scivolava nel torpore del piacere…
Qualcosa di freddo scivola sulla
mia guancia… rabbioso e insieme stupito passo il palmo della mano sulla faccia
“Una lacrima?? Ma stiamo scherzando??”.
Mi scrollo di dosso le coperte e, con fatica, mi alzo, a piedi nudi brancolo
nella semioscurità e mi dirigo verso la finestra, la apro, spingendo con forza
le imposte verso l’esterno. Il vento autunnale penetra nella stanza avvolgendo
il mio corpo come una gelida coperta e la mia pelle nuda rabbrividisce
e comincio a tremare, ma rimango immobile, assaporando quel tenue dolore,
abituato a pene ben maggiori. Poi, assuefatto dall’aria fresca, richiudo la
finestra e, con gli occhi scioccati dall’improvvisa e forte luce, mi dirigo
verso l’armadio per scegliere cosa mettere, ma l’ennesimo dolore corrode il mio
stomaco, stavolta con più violenza: stavolta non ho altra scelta se non
dirigermi verso il bagno e vomitare quell’angoscia nel water, per poi sentirmi
ancora peggio. Stremato, mi rizzo in piedi, barcollando raggiungo il lavandino
e mi ci aggrappo x non cadere, apro l’acqua gelata e ci ficco sotto la testa,
quasi non urlo per la temperatura artica, ma lascio che mi scorra lungo tutta
la faccia, pulendo, purificando.
Di nuovo nella mia stanza, vestiti
sparsi sul letto, magliette nere con loghi di gruppi musicali e scritte oscene,
felpe pesanti con cappuccio e jeans di tutti i tipi e tutti i colori, e
l’immancabile paio di All Star nere buttate ai piedi
del letto. Scelgo un sobrio paio di blue jeans larghi,
una maglietta dei Nirvana e una felpa nera, allacciandomi al polso il bracciale
di pelle borchiato. Indosso le All Star e mi dirigo
verso l’uscita, afferrando mentre cammino una bottiglia di tè al limone
appoggiato sul mio comodino, e me la scolo mentre giro le chiavi.
Sono fuori, anche con la felpa il
tipico freddo di un mattino post-alba autunnale mi provoca brividi violenti. Mi
metto le cuffie, riprendo da dove avevo lasciato la
notte prima: un urlo assordante carico di rabbia di Corey Taylor mi scuote
definitivamente dal sonno. Cammino senza una meta precisa, non c’è nessuno in
giro, senza accorgermene attraverso tutto il paese e giungo
davanti alla casa di Riccardo… “Perché no?” penso, tolgo il cellulare dalla
tasca e lo chiamo…
<< tuuuuuuu…
tuuuuuu…>>
<< Rispondi stronzo!
>> mormoro a denti stretti.
<< tuuuuuuuuuuuuuuuuuu…
pronto, Umby? >> risponde una voce rauca e
assonnata.
<< Ciao, rifiuto umano! Ben
svegliato? >> comincio sarcastico.
<< Prendi pure per il culo adesso? >> avverto frustrazione e una tonalità
più rauca nella sua voce.
<< Immagino
di no, dopotutto… esci? >>
<< Per andare dove? Sono le
sei del mattino. >>
<< Sono esattamente davanti
a casa tua, chiama Roby e digli
che andiamo a Como, poi scendi… >>
<< A Como?!
>> esclama irretito.
<< Al Tempio! >>
<< Ci sto! Arrivo subito!
>>
<< tuuuuuu…
tuuuuu… >>
Chiudo e mi siedo per terra, fra
polvere e foglie, frugo nella tasca… nulla…. “Dannazione!”
Dopo pochi minuti avverto un
calcio nelle costole, alzo lo sguardo e vedo un tizio dannatamente alto, magro
e dritto come una picca, capelli neri abbastanza corti e vividi occhi blu
elettrico, vestito da B-Boy con un medaglione raffigurante l’aquila fascista al
collo.
<< Alzati, schifoso barbone!
Non ti ha insegnato la mamma che non si dorme per strada? >> ride lui.
Mi alzo distrutto e contraccambio
il calcio con un destro nella pancia, che gli fa perdere il fiato per un
attimo. Ma non gli faccio niente, la forza delle mie
braccia se n’è andata… da molto tempo. Ricky mi afferra
sotto l’ascella e mi tira su del tutto.
<< Roby
ha detto che ci aspetta alla fermata. >>
<< Ce li abbiamo i
biglietti? >> sussurro sorridendo.
<< Umpf…
>> sbuffa Riccardo, e ci dirigiamo verso Via Matteotti.
Due Heineken
più tardi arriviamo alla fermata. Ci sono già diverse
persone, non riconosco nessuno, tranne una persona. Un
ragazzo vestito sobriamente, jeans stretti, maglietta nera a maniche lunghe
raffigurante la faccia di Bush con le orecchie di
Topolino, capelli corti castani e spenti occhi verdi. Ci guarda arrivare
con l’immancabile sorriso sulle labbra.
<< Ciao, Rob!
>> saluta Ricky.
<< Ciao, Rik!
>> rimanda l’altro.
<< Ciao, R... cough cough…>> non finisco
la frase.
I due se ne sbattono e cominciano
a parlare.
<< Hai una siga, Rik? >> chiede Rob.
<< No! >>
<< Ah… peccato… >>
Alzo lo sguardo.
<< No??!! >> esclamo
con una voce che non riconosco come mia.
<< No, tossicodipendente!
>> scatta lui.
Odio s’insinua nei miei occhi. Prima improvvisa consapevolezza e poi contrizione nei suoi.
<< Scusa, Ú… >>
<< Fottiti…
>> gemo.
Arriva il pullman, la manica di coglioni che
ci circonda si affretta a salire come un branco di pecoroni castrati
dall’entrata davanti x pagare il biglietto. L’autista è idiota e apre anche
dietro, saliamo senza farci notare. Giungiamo ai posti più dietro e ci
stravacchiamo. Di fianco a noi c’è una faccia conosciuta.
<< Wela, Fra! >>
esclamo.
<< Ciao a tutti, raga! >> fa lui da figo.
Prima che gli altri due spiccichino parola comincio:
<< Hai mica dietro… della
roba? >>
Lui ride.
<< Ti pare una domanda da
fare? >>
<< No... >> dico
sorridendo.
Estrae dalla tasca un pezzetto di
carta, lo poggia sul ginocchio, estrae una bustina piena di roba marrone scuro
e ne riversa un po’ sulla cartina. Chiude e arrotola il foglietto con
precisione certosina. Poi, dopo un ultimo sguardo bramoso, me la passa, accendino già nella mano, brucio l’estremità più
larga e mi ficco il foglietto in bocca per l’altra estremità, aspiro e mando
giù per i primi tiri. Poi passo a Rob e mi accascio
con espressione ebete sul sedile mente per tutto il pullman si sparge una
nuvola di fumo che la gente fissa con disgusto. Anche l’autista ci guarda dal
finestrino preoccupato, indeciso se buttarci giù dal pullman o no, ma per sua
sfortuna incrocia lo sguardo di Fra che lo fa
decidere. Dopo quel breve attimo di suspence
riaccendo il lettore e mi rilasso con un pezzo lento dei Dream Theater: la voce cullante di “James”
LaBrie e l’ipnotico giro di piano di Kevin Moore amplificano
gli effetti della marijuana e lo stato di relax raggiunge livelli indecenti.
Ma, nonostante il vuoto mentale, un unico pensiero rimane fisso sul fondo della
mia scatola cranica, momentaneamente schiacciato dalla mia effimera felicità
chimica: un miscuglio scellerato di piacere e di dolore, di odio
e di… amore…
Il risveglio dal viaggio è sempre crudele, tutti i tuoi sensi tornano al loro posto, e tutti
riprendono a funzionare in modo doloroso: gli occhi bruciano, le orecchie sono
così disabituate a udire che il più lieve rumore fa un’ecatombe dei tuoi
timpani, le narici sono intasate e il disgustoso gusto del fumo ti ottura la
gola e ti fa marcire la lingua. Mi sporgo dal finestrino e sputo uno spesso
grumo di catarro grigio, inspiro vento dal naso e mi risiedo, e incontro lo
sguardo di una ragazza carina voltatasi a guardarci. Sorrido e mi svacco con
aria disinvolta fissando nessun punto in particolare sul soffitto, poi do un
buffetto alla spalla di Ricky, lui si gira e io gli indico con gli occhi la ragazza che non ha smesso di
osservarci, a metà fra l’ammirazione e il disgusto. Lui assume un’espressione
corrucciata, si sporge in avanti, la fissa negli occhi, alza la mano e con un
gesto poco carino le dice ad alta voce: << Cazzo
vuoi? >>, lei si gira di scatto e non si volta più per il resto del
viaggio. A me un po’ dispiace ma scrollo le spalle e
dico a Rob: << Bè era
carina, no? >> e Rob
<< Cazzo, SÌ! >> esclama, in modo che
anche lei ci senta… ridiamo come due ebeti mentre Riccardo sbuffa e mormora
<< … de gustibus… >>.
In poco tempo il pullman si
svuota, Francesco è sceso non so dove agli inizi di Como, noi usciamo al
capolinea, al solito. Salutiamo ironici l’autista e saltiamo giù dallo scalino
con baldanza. Ci guardiamo intorno e cominciamo a camminare per il lungolago,
con una sola, vera, meta: il disfacimento.
In un lasso di
tempo indefinito ci ritroviamo sdraiati schiena contro schiena nel bel
mezzo di uno lurido prato in riva al lago, a pochi metri dal palco. Non c’è
ancora nessuno, aspettiamo, chiudo gli occhi e sogno un mondo verde marcio spazzato
dal vento gelido e tormentato dal sole inclemente.
Stavolta il mio riaprire delle
palpebre è dolce… accompagnato da ombra, da fresco e da incenso. Mi metto a
sedere e la prima cosa che vedo è un uomo sdraiato a braccia e gambe aperte di
fianco a me, occhi dilatati e senza pupille, bocca aperta e un vasetto
metallico da cui esce fumo appoggiato in equilibrio sul suo petto. La solita striscia di gomma stretta intorno all’avambraccio e il
solito eloquente buco: siringa poco distante. D’un
tratto mi domando: “Chi mi ha spostato sotto quest’albero? E
perché c’è così poca luce? Che ore sono?”, cerco con
lo sguardo Roberto e Riccardo ma c’è il nulla davanti ai miei occhi. Mi
rassegno, frugo nelle tasche del drogato e trovo l’ennesima canna: tiro,
stavolta espirando, e rimango ad aspettare. Dopo 15 minuti il tizio apre gli
occhi di botto, sussulta e il vasetto d’incenso cade sull’erba.
<< Ciao, Doc…
>>
Lui sbatte gli occhi e cerca di
focalizzare, poi si ricorda che ha 5 diottrie di miopia, estrae gli occhi da un
taschino del giubbotto, se li spinge su per il senso con il gesto abituato
dalle migliaia di volte in cui l’ha fatto e mi fissa. Poi tira un sospiro.
<< Ah, Ú! M’hai
fatto prendere un colpo… pensavo fosse un infame… >>
<< I casi della vita…
>> la mia frase quando non c’è nulla da dire << Piuttosto, quale
genere di follia ti ha posseduto per spingerti a farti una pera qui alla luce
del sole senza nessuno a coprirti il culo?? >>
<< Nessuna follia, Ú, tu lo sai bene… >> sussurra fra i denti con frustrazione.
Non c’è bisogno di nient’altro, la
dipendenza ha preso il controllo del suo cervello, è fatto, finito, senza
speranze.
<< Condoglianze… >>
faccio con cinismo, ravvivandomi i capelli.
Odio nello sguardo.
<< Proprio tu fai le condoglianze a me? Ci siamo per caso scambiati i
ruoli? >>
Rido.
<< Nessun cambiamento, Doc! Io vivo, tu muori… >>
derisione negli occhi e disgusto nella posizione del labbro superiore.
La rabbia, l’invidia e la paura lo
sconvolgono dai tremiti. Un uomo così grande e grosso destinato a una tale debolezza. 23 anni, ne dimostra 50, capelli
lunghi, luridi, selvaggi, che cominciano a diradarsi, barba identica. Altissimo e muscolosissimo, asciutto e atletico come uno sperone
roccioso, blandi occhi castani e rughe su rughe sulla sua devastata pelle pallida.
Ma il suo
aspetto è solo una parte della sua tragedia. Aveva cominciato a drogarsi poco
prima del suo quattordicesimo compleanno: ma sempre con moderazione,
raggiungendo l’assuefazione solo dopo pochi anni, affrontandola prima senza
paura e con volontà di vincerla, poi con rassegnazione e angoscia infinita.
Uscito dal Liceo con un brillante curriculum vitae: genio della chimica (aveva
anche vinto una borsa di studio), stella nascente del centometrismo, cantante e
bassista di un apprezzato gruppo progressive rock…
dopo un anno non riusciva neanche più a correre, era stato cacciato dal gruppo
e da casa, la sua ragazza l’aveva lasciato e gli amici gli avevano voltato le
spalle. Cominciò a sfruttare la sua genialità nella chimica per produrre
diversi tipi di droga e per spacciarla ai miglior offerenti e anche per
soddisfare il suo sempre più impellente bisogno.
Ora era arrivato
alla fine della corsa, l’assuefazione psichica era una pista senza
sbocco, un quiz a crocette con due sole chance: o la morte o la morte.
<< Sai che anche tu non
potrai vincerla per sempre, maledetto stronzo! >> sbotta.
<< No! Ma la morte non mi
avrà così facilmente… >> la mia voce si affievolisce ma la sua carica di
dolore e cinismo aumenta << Da un anno sono
seduto a un tavolo, e davanti a me siede lei… bella e oscura come un peccato di
lussuria, così invitante di fronte allo schifo che mi si stende davanti agli
occhi, a partire da me stesso… ma tu lo sai: io ho sempre diffidato di tutto
ciò che è bello e così semplice da ottenere, e le ho sputato in faccia il mio
disprezzo. Ora stiamo disputando l’ultima partita, una sola consapevolezza: lei
non lo sa ancora, ma sarò io a perdere… però la voglio
sfiancare quella vecchia puttana, voglio farla crepare dalla rabbia… >>
abbasso lo sguardo e mi lascio cadere nel manto erboso.
Anche se
non posso vederlo percepisco il suo sguardo su di me, percepisco la sua
ammirazione e la sua compassione.
<< È incredibile, comunque… >> mormora.
<< Cosa?
>>
<< Tu! >>
<< Perché?
>> mi puntello su un gomito e lo fisso negli occhi.
Mi guarda come se fossi un idiota.
<< Ma
come perché? Hai cominciato a venire da me neanche un anno fa. Senza paura hai
cominciato subito a bucarti abitualmente con dosi che normalmente avrebbero
stroncato un novellino. In neanche un mese hai raggiunto l’assuefazione. Dopo
due essa era penetrata nel profondo della tua psiche, ma sei riuscito a
dominarla quanto basta per vivere il tuo schifo di
vita ancora per 7-8 mesi… e ora sei senza scampo… >>
Ricado a faccia in
su e dormo, sbuffando ironico.
“one
baby to another says I’m lucky to have met you…”
La voce di Kurt Cobain mi culla
con quella sua carica così rabbiosa e dolorante soffocata a stento dalla sua
apparenza così dolce e vellutata.
Sento qualcosa di
umido, morbido e caldo che passa delicatamente sulle mie labbra, le
dischiudo leggermente e un alito di menta si spande per la mia bocca. Non apro
nemmeno gli occhi e lascio che continui, scosso da brividi di
eccitazione e da un moto d’amore infinito: il suo corpo suscita in me
stimoli carnali, certo, ma la cosa che più mi soddisfa e mi estasia è il sapere
di amare e di essere amato. La mia mano destra si solleva percorrendo la curva
dei suoi fianchi e si insinua sotto la maglietta,
accarezzando la sua pelle liscia e soffice… incapace di contenere il desiderio
apro totalmente la bocca per accogliere la sua lingua… ma ciò non accade e la
sento staccarsi da me… percepisco il suo sorriso prima di aprire gli occhi e
sorrido a mia volta…
“I don’t care what you
think unless it is about me…”
e la
vedo: occhi castani simili a due gocce di miele immerse nel latte, poiché tale
è il colore della sua pelle: pallida ma da una tonalità rosata che la rende
quasi timida. Accenni di lentiggini ai lati del naso la rendono ancora più
attraente, più predisposta all’amore. I lunghi capelli neri come la notte
ricadono sul mio petto solleticandomi ad ogni suo movimento. Soffocato dalla
passione mi sporgo in avanti per baciarla ma lei ride
e si ritrae, allora io le circondo il bacino con il braccio e la attiro a me
fra le sue proteste divertite e finalmente le nostre lingue si toccano e tutti
i miei tormenti svaniscono in una sensazione di piacevole freschezza e libertà.
Dapprima a bocca aperta ci sfioriamo teneramente e danziamo uno intorno
all’altra, assaggiando il sapore della saliva. Poi anche le labbra si
congiungono e ci esploriamo vicendevolmente la bocca.
Rimaniamo così abbracciati a
baciarci per diverso tempo fino a perderne la cognizione nella nostra estasi…
“Chew your meat for
you…
Pass it back and
forth...
In a passionate kiss...
From my mouth to
yours...”
La canzone finisce e mi sveglio.
Gli occhi mi bruciano ma riesco comunque a capire che
ormai è sera. Doc è sparito ma
sono riapparsi Rik e Rob,
in compagnia di due attraenti ragazze che avranno su e
giù la nostra età. Carine complessivamente ma senza nessun segno distintivo.
Tutti e quattro si passano un cilum e vedo bottiglie
vuote di molti tipi di alcool pesanti sparse
sull’erba: Riccardo è totalmente partito e dice solo cazzate,
non riuscendo nemmeno a formulare pensieri sensati senza prima non inserirci
qualche parola a caso, qualche balbettio o colpo di tosse o tirata di naso.
Roberto è visibilmente brillo ma mantiene un certo
contegno… le due ragazze ridono per ogni idiozia che Rik
dice ma per il resto rimangono a osservarli a metà fra lo sconcertato e il
divertito, pur avendo il tipico luccichio dovuto al fumo negli occhi. Il mio
risveglio interrompe tutti, sorrido alle tipe poi mi alzo con aria
strafottente, sputo per terra e me ne vado
ciondolando, seguendo un qualcosa che non riesco inizialmente a focalizzare.
Nel mio viaggio
verso questa meta sconosciuta incontro diversa gente (ormai il Tempio s’è
riempito) che conosco, saluto tutti con un cenno e la mia tipica smorfia cinica
che è una pallida imitazione di quella di Sid Vicious. Dopo una canna liberatoria passatami da un
amico riesco finalmente a capire cosa sto cercando… un
angosciante ma graffiante giro di basso riecheggia per tutto il prato… lo
seguo.
Doc,
totalmente e irrecuperabilmente strafatto, è salito
sul palco e sta improvvisando pesantemente con il suo basso,
amplificatore a palla, tutti i tipi di pedali conosciuti schiacciati e
l’equalizzatore che sembra calibrato da un alano. Si esibisce in diversi
virtuosismi e in qualche tentato emulo di fare un pezzo ritmico come se stesse
suonando una chitarra, col risultato di rompere una corda, di spaccare il basso
con un violentissimo colpo sull’amplificatore e di svenire tenendosi forte allo
stomaco per le risate. Salto sul palco, do un calcio nel costato al redivivo e
cerco di rimettere a posto alla bellemeglio
l’amplificatore che sembra sul punto di esplodere. Riesco nel tentativo, lo ricalibro e grido: << C’è nessuno che ha una chitarra
elettrica?!!! >>.
Sale sul palco un pischello dai lunghi capelli rossi a portarmi la sua Gibson Diavoletto, riproduzione di quella di Angus Young,
anche quella rossa, e me la porge con espressione neutra… come altre mille
persone in quel luogo di perdizione. Impaziente mi infilo
la tracolla, regolo il volume e il tono e l’impostazione dei pick-up con
movimenti febbrili.
Finalmente le mie dita della mano
sinistra toccano le corde, e una sensazione di potenza mi inebria.
Con calma e tranquillità estraggo un plettro dalla
tasca e lo appoggio alla terza corda, con l’aiuto della memoria imposto
l’accordo e comincio ad arpeggiare senza un brano preciso in mente… per poi
accorgermi che sto suonando l’assolo di Tom Morello
alla fine di “Darkness of Greed”,
un pezzo da brivido. Poi tutto si confonde, i sensi si mischiano, i suoni
diventano odori, gli odori immagini e le immagini di
nuovo suoni… e quei suoni vengono riprodotti nella folle psichedelia
improvvisata della mia chitarra, i trucchetti e tutti
gli accorgimenti sonori che conosco si sprecano… suono come nessuno ha mai
suonato prima: un caos di slide, bending, hammer e pull off interrotto da
brevissimi spezzoni in legato che si trasformano in tapping
per poi tornare a usare anche la mano destra. Il plettro striscia e gratta
contro le corde provocando un suono graffiante e
fastidiosissimo all’orecchio umano, contornato da una melodia senza senso… una
discreta folla si era subito raccolta intorno a me per osservare quel pazzo che
suonava… dal principio ammaliati, poi disturbati, infine sdegnati e
pesantemente irritati da quel canto primordiale che scaturiva come sangue in
una ferita infetta dall’amplificatore. Cominciano a gridarmi insulti, a imprecare, a bestemmiare, a sbraitare di far finire questo
tormento, alcuni a supplicare… ma io sono ipnotizzato dalla sinfonia prodotta
da me stesso in questo delirio di onnipotenza… ma anche se sentissi non me ne
importerebbe nulla… finché suono tutto il resto non ha importanza, esistiamo
solo io, la chitarra e quel rumore maledetto che si alza come una sfida fino
all’alto dei cieli.
In quel disordine sensoriale
percepisco qualcosa di freddo che mi colpisce la mano durante una pennata
particolarmente violenta, la nebbia che mi offuscava gli occhi si dissipa e vedo
stretta nella mia mano una levetta… sorrido a trentadue denti e sgrano gli
occhi, illuminati dal luccichio rosso dello squilibrio mentale. Suono accordi
violenti ancora e ancora e ancora e schiaccio la leva con forza, più e più
volte fra le imprecazioni del ragazzo che mi ha prestato la chitarra e poi…
bang! Tutto si rompe, la chitarra, la melodia, la mia sanità mentale… un
pomodoro… e il mio setto nasale.
Sangue e succo di pomodoro mi
colano sulla faccia velandomi gli occhi… tingendo il mondo di scarlatto… vedo
la figura confusa di capelli rossi che si agitano e per la seconda volta il
davanti di una mano chiusa a pugno… e ancora crack! Stavolta si rompono i miei
denti e io cado a terra, in una cascata di sangue… sento qualcuno che grida e
dolore alla costola, gente che applaude e gente che
strilla spaventata… dolore alla schiena… oblio…
… sogno un mondo rosso sangue e
gocce di succo di pomodoro… gelo alla fronte e fiumi di liquida freschezza che
mi attraversano il viso… il rosso scompare, purificato, sciacquato, lavato via…
Mi sveglio
<< FOTTUTO
FIGLIO DI PUTTANA!!! >> urlo a nessuno in particolare.
Una figura familiare mi si pone
davanti… lunghi capelli scuri, occhi scuri, un sorriso
bianco e splendente come il sole che si riflette sulla neve e divertimento
nelle pupille... una ragazza? Lei sogghigna sarcastica e io realizzo di chi si tratti…
<< Oddio… Vale nooo… ‘zzo
fai qua? >> mi metto una mano sulla fronte con disperazione e roteo gli
occhi… “Presumo sia chiedere troppo morire di overdose
proprio adesso, vero?” domando a quel dio a cui non credo.
Valeria sbuffa e incrocia le
braccia fingendo di essere offesa.
<< Bel ringraziamento per
chi ti fa rinvenire… bravo bravo
continua a fare lo stronzo, bravo… >> sbotta dandomi improvvisamente le
spalle.
Mi puntello su un gomito e la
guardo.
<< Eddaaaaaaai…
tre anni che mi conosci e non capisci ancora quando
scherzo? >> mormoro con voce “tenerosa”, come dice lei, preparandomi già
a sembrare pentito per quando lei si girerà.
Il che accade puntualmente: lei
smette di darmi le spalle e mi fissa negli occhi… il suo broncio dura per poco,
cerca di mantenere un’espressione corrucciata ma il
suo labbro inferiore comincia a tremare e il sorriso allargarsi… le vengono
lacrime agli occhi nel tentativo di non scoppiare a ridere… io sorrido tentando
una faccia infantile ma mi va buca… Valeria esplode in una fragorosa risata
puntualmente seguita da me…
<< Mwuahahaha
avresti dovuto vedere la tua espressione mwuahahaa…
>> dico fra le risate.
<< Ahahahah
e perché la tua?? Sembravi l’imitazione di Ozzy Osbourne
(“come fa a sapere chi è Ozzy Osbourne??”
penso io!) da piccolo con le guance barbute ahahah…
troppo pazzesco… >> sbotta lei.
Tronco la mia risata col mio
solito fare sarcastico e la guardo con strafottenza… alzo il pugno, lo
schiaffeggio con l’altra mano e… un dito medio si alza solitario in mezzo alle
altre dita..